L’ospitalità e la fedeltà sono temi ricorrenti nei testi omerici, in particolare nell’Odissea, considerato il poema del viaggio e del ritorno per eccellenza.
Entrambi i temi sono presenti sin dai primi canti, dedicati alla Telemachia, dal nome del suo protagonista, Telemaco appunto, che, fedele al ricordo del padre e desideroso del suo ritorno, parte alla ricerca di sue notizie. Ma i due temi si ripresentano lungo tutta la narrazione, nel corso della quale incontriamo personaggi che li rappresentano molto bene: Nausicaa e suo padre Alcinoo, re dei Feaci, sono il simbolo dell’ospitalità, mentre Telemaco, Penelope, Eumeo, Euriclea e perfino il cane Argo sono l’espressione della fedeltà nei confronti di Odisseo, re di Itaca.
Nausicaa e Alcinoo: il rispetto dell’ospitalità
L’incontro di Nausicaa con Ulisse è voluto da Atena: la dea, sotto le spoglie di un’amica, appare in sogno alla fanciulla e la invita a recarsi alla foce del fiume, per lavare le sue vesti nuziali.
Ed è sempre Atena che infonde coraggio nell’animo di Nausicaa quando Odisseo, risvegliato dalle grida delle ancelle, le si fa incontro, coperto solo dalle foglie di un ramo, «orribile… bruttato dalla salsedine». Mentre le ancelle fuggono spaventate, Nausicaa non si mostra impaurita e, dopo aver ascoltato le parole del naufrago, lo accoglie nel suo regno e lo invita a presentarsi al palazzo di suo padre, re Alcinoo. Prima, però, invita le ancelle a dar da mangiar e da bere all’uomo e a farlo lavare e vestire.
Il re Alcinoo e la sua sposa, Arete, accolgono con tutti gli onori lo straniero, senza sapere chi sia, se un nobile, un mendicante, un naufrago, e ascoltano il racconto delle sventure che lo hanno condotto fino al loro regno. Poi, gli assicurano che lo accompagneranno a Itaca, non prima di aver organizzato dei festeggiamenti e delle gare in suo onore e di avergli offerto doni di grandissimo valore.
L’incontro di Odisseo e Nausicaa in presenza di Atena, particolare della decorazione di un’anfora della fine del V secolo a.C.
Telemaco: la fedeltà filiale
I primi canti dell’Odissea contengono il racconto del viaggio di Telemaco che parte alla ricerca di notizie del padre. Fedeltà filiale, dunque, che il giovane esprime con coraggio e anche a rischio della propria vita, dal momento che i Proci, scoperta la sua partenza, decidono di ucciderlo al ritorno dal suo viaggio.
Il sentimento di Telemaco è tanto più forte in quanto espresso da un figlio che era piccolissimo quando il padre partì per la guerra e che si manifesta in pieno quando Odisseo gli svelerà la sua vera identità nella capanna di Eumeo.
Telemaco e Odisseo progettano insieme la vendetta, prima di nascosto e poi, finalmente, fianco a fianco, la porteranno a compimento nel drammatico finale che vede la strage dei Proci.
Telemaco e Penelope dinanzi al telaio, particolare della decorazione di un vaso del V secolo a.C.
Penelope: la fedeltà coniugale
Si intuisce che la fedeltà di Telemaco è il riflesso di quella della madre, Penelope, che nei venti lunghi anni dell’attesa ha coltivato e alimentato in lui il ricordo del padre. Quante volte avrà raccontato al figlio del coraggio, dell’astuzia e delle imprese di Odisseo! E questo ha dato forza anche a lei, l’ha resa determinata e forte nei suoi sentimenti, fiduciosa nel fato, nel ritorno del marito. Soprattutto, ha resistito con astute risorse alle pressanti richieste dei Proci senza mai cedere.
Penelope e Odisseo vestito da mendicante in un rilievo del V secolo a.C.
Eumeo: la fedeltà nell’amicizia
Eumeo è il guardiano di porci di Odisseo, ma è soprattutto suo amico. Figlio di un re siriano, Eumeo ancora fanciullo era stato venduto come schiavo a Laerte, padre di Odisseo. Si presume dunque sia cresciuto insieme al giovane eroe. Nonostante i lunghi anni trascorsi dalla partenza del padrone, Eumeo ne coltiva il ricordo e cerca di salvaguardare il suo bestiame che, in quell’epoca, rappresentava il patrimonio del re. Arrivato a Itaca, Odisseo si reca subito dal guardiano che non lo riconosce, ma lo accoglie degnamente, secondo le sacre leggi dell’ospitalità e soprattutto più volte rimpiange l’assenza del padrone, spera nel suo ritorno, ma ne teme anche la morte. Dimostra così la sua lealtà a Odisseo che ne è commosso e, nello stesso tempo, è sicuro di avere un alleato quando sarà il momento della vendetta contro i Proci. Il nostro eroe però continuerà a non rivelarsi al guardiano.
L’uccisione dei Proci raffigurata in un cratere campano del IV secolo a.C. Il personaggio in alto a destra è stato identificato come Eumeo che, a fianco di Odisseo, Telemaco e Filezio, compì la strage dei Proci.
Euriclea: la fedeltà di una nutrice
Euriclea, l’anziana e fedele nutrice di Odisseo, riconosce immediatamente l’eroe da un segno inequivocabile: la cicatrice che risale all’adolescenza di Odisseo, quando durante una battuta di caccia era stato ferito da un cinghiale. Euriclea, profondamente emozionata, si ferma per un momento riuscendo a pronunciare poche e affettuose parole per il suo signore, che ama come un figlio. Odisseo reagisce in modo duro imponendo all’amata nutrice il silenzio perché non vuole che si scopra che è tornato. Euriclea rassicura l’eroe dimostrando ancora una volta la sua assoluta fedeltà.
Odisseo riconosciuto da Euriclea, particolare della decorazione di un vaso del V secolo a.C.
Il cane Argo: la fedeltà nei confronti del proprio padrone
Il cane Argo riconosce immediatamente Odisseo: suo fedele segugio, forse uno spinone, era stato allevato dall’eroe come cane da caccia. Ma Odisseo lo lasciò che era ancora un cucciolo per andare in guerra contro Troia. Non accudito, probabilmente reso cieco dalla vecchiaia riconosce il suo padrone fiutandolo e ascoltandone la voce. Con un grande sforzo Argo solleva la testa, muove la coda e, per l’emozione, muore di crepacuore, dimostrando grande fedeltà e attaccamento nei confronti di chi lo ha amato.
L’episodio ha un valore universale, che non tiene conto del passare del tempo, oltre che un alto livello di commozione tale da fare morire Argo come un eroe.
Il cane Argo riconosce il suo padrone Odisseo, rilievo risalente al 180 a.C.<