Ipazia nacque ad Alessandria d’Egitto forse intorno al 370. Figlia del filosofo Teone, studiò fin da giovanissima nella enorme biblioteca cittadina, dove il padre insegnava matematica e astronomia.
Ella, prima allieva e poi collaboratrice del padre, alla di lui morte, nel 405, assunse la guida della scuola filosofica.
Come riporta Damascio, filosofo bizantino del V-VI secolo, “poiché di natura più nobile del padre, non si accontentò della conoscenza delle scienze matematiche a cui lui l’aveva introdotta, e volle dedicarsi anche allo studio delle altre scienze filosofiche”. Ipazia fu infatti donna di amplissima cultura, ammirata e apprezzata per la sua saggezza come per la sua bellezza; era solita indossare il mantello del filosofo e camminare per le vie cittadine commentando pubblicamente il pensiero di Platone, Aristotele o altri filosofi per tutti coloro che desiderassero ascoltarla. E molti, per seguire le sue lezioni, affrontavano viaggi lunghi anche interi giorni.
Ipazia fu molto probabilmente autrice di numerose opere, purtroppo non pervenuteci, forse andate perdute in uno dei tanti incendi che distrussero la biblioteca di Alessandria. Sappiamo però da filosofi a lei contemporanei che formulò ipotesi sul movimento della terra, che inventò alcuni strumenti astronomici (tra cui l’astrolabio, il planisfero e l’idroscopio, uno strumento per misurare il peso specifico dei liquidi) e che si dedicò allo studio della meccanica.
Quanto alla sua filosofia, Ipazia abbracciò il pensiero della scuola neoplatonica, anche se in modo originale ed eclettico, e non si convertì mai al cristianesimo.
Si occupò inoltre di tradurre e divulgare molti testi greci, quali ad esempio quelli di Euclide, Archimede e Diofanto.
Forse anche per l’amicizia che legava Ipazia al prefetto romano Oreste, nemico politico di Cirillo, vescovo di Alessandria, ella rimase vittima del fondamentalismo religioso allora circolante, che vedeva in lei una pericolosa minaccia per la diffusione del cristianesimo.
Così, come racconta lo storico Socrate Scolastico (380-450), per volere di Cirillo una sera di marzo dell’anno 415 un gruppo di monaci le tese un’imboscata mentre tornava a casa. “Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l'ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brani del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli”.
Da quel momento la figura di Ipazia ha iniziato a vivere come simbolo dell’amore per la verità, per la ragione, per la scienza e per il libero pensiero capace di non inchinarsi ad alcun dogma.