Masada era un’antica fortezza situata su un altopiano di circa 6 km2 a 400 metri di altitudine rispetto al mar Morto, nella Giudea settentrionale.
Grazie alla sua particolare collocazione geografica Masada era anche una fortezza naturale; inoltre, a prescindere dalle sue caratteristiche difensive, le condizioni di vita in un tale luogo erano singolarmente sfavorevoli all’abitazione: non vi erano sorgenti d’acqua nella zona, né vegetazione.
Nel I secolo a.C. la fortezza di Masada era stata il palazzo di Erode il Grande, che tra il 37 e il 31 a.C. la fece fortificare; nel 66 era poi stata conquistata da un gruppo di zeloti, che vi si insediarono insieme alle loro donne e bambini guidati da un intrepido e valoroso capo, Eleazar Ben Yair.
La fortezza di Masada divenne nota per le vicende a essa legate durante la prima guerra giudaica (66-70 d.C.) e per il suo tragico epilogo: eventi che oggi conosciamo grazie a Flavio Giuseppe, scrittore e storico romano di origine ebraica che redasse le sue opere in greco.
Tra il 75 e il 79 d.C. Giuseppe, di pensiero filo-zelota, completò il suo Bellum Iudaicum, nel quale narrò le vicende della prima guerra giudaica, in essa dedicando ampio spazio al racconto dell’assedio della fortezza di Masada.
Grazie ai racconti di Giuseppe abbiamo conoscenza di quale fosse all’epoca la struttura di Masada.
All’esterno, mura alte cinque metri cingevano la fortezza per circa un chilometro e mezzo di perimetro; una quarantina di torri alte oltre i venti metri consentiva ampie vedute in lontananza; un unico sentiero, detto “del serpente”, rendeva ancora più arduo l’accesso a un luogo già così impervio e difeso: una strada ripida, stretta e tortuosa difficile da percorrere per la fanteria.
All’interno, gli edifici abitativi si concentravano nella parte a nord-est, per lasciare la restante parte adibita a coltivazione. I magazzini, esposti a nord secondo l’uso romano, erano stanze lunghe e strette all’interno di cui grandi giare venivano utilizzate per la conservazione dei cibi, quali principalmente grano, olio, vino, legumi, datteri. Negli stessi magazzini trovavano posto, oltre alle armi, grandi quantità di metalli quali ferro, bronzo e piombo.
La fortezza ospitava un edificio dedicato alle terme, che venivano alimentate da una fornace; altre porzioni della fortezza erano invece composte da quartieri residenziali; una sinagoga era poi il centro della comunità, sia per la vita spirituale sia per le attività sociali: era infatti qui che venivano prese le decisioni importanti.
Quando, durante la guerra giudaica, i romani si decisero a conquistare la città, la posero sotto assedio per oltre 2 anni. Eressero un altro muro, dotato di torri di sentinella, a circondare la rocca, e scavarono un ampio terrapieno; costruirono poi una rampa, nella parte meno ripida della rupe, che doveva servire per raggiungere la sommità.
Dopo molti sforzi i romani riuscirono a fare breccia nella fortezza. Ma una volta all’interno la sorpresa fu grande: Eleazar, resosi conto di non avere più alcuna possibilità di scampo o resistenza, aveva deliberato che giungesse la morte per tutti gli abitanti della fortezza. Così, dieci uomini estratti a sorteggio avevano ucciso le donne e i bambini, per poi togliersi la vita a vicenda fino al suicidio dell’ultimo uomo.
Ciò che trovarono i romani una volta all’interno della fortezza furono solo alcune donne che si erano nascoste in dei cunicoli, e che raccontarono loro il tragico epilogo cui si erano consegnati gli abitanti della fortezza.
Così descrive Giuseppe il momento dell’incontro tra i soldati romani e i pochi superstiti al suicidio collettivo: “Quando [i soldati romani] furono di fronte alla distesa dei cadaveri, ciò che provarono non fu l’esultanza di aver annientato il nemico, ma l’ammirazione per il nobile proposito e per il disprezzo della morte con cui tanta moltitudine l’aveva messo in atto” (VII, 9).