Tra il 27 e il 28 ottobre dell’anno 312 il Ponte Milvio, presso Saxa Rubra, fu teatro di una cruenta battaglia il cui esito fu decisivo per il successivo corso della storia. In questo scontro, infatti, affondò le sue radici quel processo di cristianizzazione dell’impero che dal 313 in poi, con l’Editto di Milano per volere di Costantino, consentì la libertà di culto, non solo per il cristianesimo ma per ogni altro credo religioso.
Sul Ponte Milvio si affrontarono gli opposti eserciti di Costantino e Massenzio: il primo deciso a divenire unico sovrano dell’impero d’Occidente, il secondo risoluto a mantenere il titolo di imperatore quale si era fatto acclamare in Roma nel 311.
Nella primavera del 312 Costantino discese da Treviri, diretto verso Roma. Dopo aver sconfitto le truppe che Massenzio gli aveva inviato contro, prima presso Torino e poi presso Verona, Costantino percorse la via Flaminia, e si accampò alle porte dell’Urbe presso la località oggi conosciuta come Malborghetto, sulla riva destra del fiume Tevere a poca distanza dal Ponte Milvio.
Se Costantino era forte di un esercito composto da 90.000 fanti e 8.000 cavalieri, secondo le fonti Massenzio lo attendeva con un esercito pari a circa il doppio di quegli uomini.
Secondo la leggenda, alla vigilia dello scontro decisivo Costantino vide nel cielo, prima del tramonto, una croce di luce e sotto di questa la scritta in greco En touto nika, tradotto in latino con In hoc signo vinces, ovvero “Con questo segno vincerai”. Dubbioso in un primo momento su quale potesse essere il significato di questo simbolo, quella stessa notte l’imperatore ebbe un sogno nel quale Cristo lo esortava a utilizzare il segno della croce contro i nemici. Costantino si persuase così di essere destinato a un’ineluttabile vittoria, e portò questa convinzione sul campo di battaglia.
Massenzio, nel frattempo, aveva fatto distruggere il ponte originale in calcestruzzo e fatto costruire un ponte di barche facilmente rimuovibile, che, secondo i suoi piani, al momento del passaggio dell’esercito avversario sarebbe stato abbattuto, provocando la caduta delle milizie di Costantino nel Tevere.
Inspiegabilmente, però, nello schierare il proprio esercito, Massenzio dispose gli uomini con le spalle al fiume, addirittura, come si racconta, con gli ultimi uomini che avevano i piedi bagnati nell’acqua.
Quando, la mattina di quel 28 di ottobre, i due eserciti si trovarono l’uno di fronte all’altro, la cavalleria dell’esercito di Costantino attaccò quella di Massenzio, e grazie anche all’agilità di manovra la travolse inesorabilmente, lasciando scoperta la fanteria. Questa, attaccata a sua volta, collassò e sbandò ripiegando, in mezzo al caos, sul ponte di barche che Massenzio la sera prima aveva predisposto. Sotto il peso degli uomini il ponte crollò, e la maggior parte dei soldati, trascinata a fondo dal peso della propria armatura, trovò la morte tra le acque del Tevere; tra questi anche lo stesso Massenzio.
Il giorno seguente Costantino fece il suo ingresso a Roma acclamato dalla popolazione festante; in una mano recava la testa mozzata dell’usurpatore: Massenzio, colui che si era autoproclamato Augusto, e il cui corpo era stato ritrovato nel fiume non distante dal luogo di quel sanguinoso, decisivo scontro.