News Secondaria di secondo grado Arte

Galileo Chini, artista inventore della ceramica moderna italiana, 1896-1925

di  Valerio Terraroli

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Figura emblematica del passaggio epocale che l’Italia affronta con la fine del XIX secolo, Galileo Chini ne incarna pienamente le caratteristiche e le contraddizioni sul piano artistico e culturale. Chini appartiene infatti a quella generazione di artisti che deve fare i conti con il rapporto tra arte e industria, che si interroga su come poter sviluppare la produzione in serie senza perdere un alto livello qualitativo dei propri prodotti, che indaga la possibilità di creare uno stile “nazionale” in grado di fondere la tradizione latamente medievale e rinascimentale delle arti decorative ottocentesche con il nuovo linguaggio modernista. Riscopriamo questo artista poliedrico, insieme al cocuratore della mostra Galileo Chini. Ceramiche tra Liberty e Déco, attualmente in corso al MIC, Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, a cura di Valerio Terraroli e Claudia Casale.

La prima formazione a Firenze

La prima formazione artistica di Galileo Chini, nato a Firenze nel 1873, è segnata dalla pratica diretta sul patrimonio artistico medievale e rinascimentale di Firenze determinata dal fatto che, in seguito alla morte a breve distanza dei genitori, Galileo viene preso a lavorare come garzone nel laboratorio dello zio Dario, noto restauratore, il quale decide di occuparsi del nipote iscrivendolo alla Scuola Professionale di Arti decorative e Industriali di Firenze, nella quale il giovane si forma nella copia e nella rielaborazione del repertorio medievale e rinascimentale fiorentino.

Del resto proprio a quel repertorio si ispirano molti architetti, artigiani, artisti e decoratori, i quali si trovano a dover rispondere sia alle molte commesse pubbliche, dovute ai grandi lavori di risanamento della città, ma, soprattutto, alla numerosa e influente comunità inglese e americana, che la visita o vi risiede stabilmente, e che riconosce in quelle scelte decorative, sia nelle architetture sia negli oggetti, dei valori identitari alternativi, nei loro caratteri storicisti o pseudo tali, rispetto a ciò che stava avvenendo a livello europeo con l’affermarsi di un nuovo orizzonte del gusto, orientato ad un gusto decorativo ispirato alla vitalità della natura, all’interno della “rivoluzione modernista”. 

Tra le attività del settore ceramico che, più di altre, basano la propria fortuna sul revival storico e possono vantare una relazione privilegiata con l’elite anglosassone figurano la manifattura Cantagalli e la manifattura Ginori di Doccia. Ulisse Cantagalli, convinto sostenitore delle teorie morrisiane ispiratrici dei londinesi Arts & Crafts, promuove, dal 1878, una produzione eccellente, rispetto alla tradizione famigliare in origine più specializzata nella cottura delle terre che nella produzione di ceramiche artistiche, riorganizzando gli ambienti di lavoro, predisponendo gli spazi per la decantazione, la battitura, la lavorazione al tornio, le fornaci per il biscotto, per il terzo fuoco e diverse muffole per smalti e vernici.

Se la Cantagalli continua per diversi decenni a offrire al pubblico una produzione esclusivamente incentrata sul revival del patrimonio quattrocentesco e rinascimentale, la manifattura Ginori, già sul finire degli anni settanta dell’Ottocento, mostra una maggiore attenzione verso le innovative istanze moderne che iniziano ad emergere nelle esposizioni universali e nazionali, ma, a causa di problemi gestionali mai risolti, viene acquistata dall’industriale ceramico milanese Augusto Richard e nel 1896 nasce la Società Ceramica Richard-Ginori.

L’Arte della Ceramica: “qualcosa di nuovo”

Secondo le testimonianze autobiografiche è questo il motivo che spinge Galileo Chini, verso la fine del 1896, a fondare, assieme a Giovanni Montelatici, Vittorio Giunti e Giovanni Vannuzzi, la manifattura L’Arte della Ceramica con l’ambizione di rinverdire i fasti dalla ceramica smaltata e invetriata dei Della Robbia, ma declinandola entro le linee del gusto moderno sia nella produzione di vasi ornamentali e oggetti di arredo domestico, sia negli apparati decorativi architettonici, e scegliendo, strategicamente, di aprirne il negozio in via Tornabuoni. Dunque, così come Ulisse Cantagalli sceglie di porre la propria sala espositiva a fianco dei propri laboratori per poter legare la propria immagine commerciale a un tipo di lavoro percepito come artigianale e quindi autentico, Galileo e i suoi soci scelgono di consolidare un’immagine moderna e internazionale di L’Arte della ceramica attraverso un punto vendita arredato secondo le linee del gusto art nouveau e nel cuore commerciale della Firenze contemporanea. Sempre nel 1896, uno dei soci, Giuseppe Montelatici, ispirandosi alla rivista d’arte “Gil Blas” avvia la pubblicazione del settimanale “Fiammetta”, nella quale pubblicano Ojetti, Angeli, Bontempelli e molti altri, con illustrazioni ideate da Kienerk, Fabbri, Signorini e Chini, ispirate ai modelli simbolisti e secessionisti europoei.

“Vittorio Giunti diventò il nostro direttore tecnico, io il direttore artistico, Giovanni Montelatici e Giovanni Vannuzzi i primi esecutori […] Vittorio fu l’ingegnere costruttore della piccola fornace nel cortile, io avevo già fatto le sagome dei vasi e pensavo già a queste e alla decorazione di darle un carattere proprio, vi erano già in Italia e in Firenze fabbriche di grande valore, a Firenze come Cantagalli, perciò il seguitare delle varie epoche si doveva escluderlo e cercare qualcosa di nuovo e intonato ai nostri tempi”.

Da queste considerazioni risulta evidente quanto l’esigenza di dar vita ad una manifattura ceramica di questo genere non sia tanto una sorta di revanscistico orgoglio locale a fronte del passaggio della gloriosa Ginori ad una proprietà industriale milanese, quanto dalla lucida consapevolezza che un’azienda ceramica, nata come cooperativa secondo il modello morissiano, capace di unire competenze tecniche artigianali di alto livello, sperimentazione tecnologiche prese da esperienze industriali, intelligenza creativa fondata su un’eccellente conoscenza dei repertori decorativi storicisti, ma aggiornata sui modelli pittorici moderni e sulle novità del gusto modernista, potesse avere la possibilità di aprire un nuovo mercato, soprattutto internazionale, connotando la propria produzione con la qualità della tradizione italiana declinata secondo i parametri dello stile moderno.

A questa fase appartengono maioliche e ceramiche smaltate e invetriate di diversa ispirazione che rivelano quanto le fonti iconografiche e stilistiche siano ancora venate di qualche sfumatura storicista che velocemente si stempera in formulazioni organicamente più affini agli stilemi art nouveau anche se la pittura preraffaellita risulta essere la matrice più riconoscibile in questa fase di avvio delle invenzioni pittoriche di Galileo per la manifattura ceramica. Alla produzione di piatti ornamentali con soggetti femminili ispirati alla pittura preraffaellita e ad una sorta di linea neobotticelliana [1], successivamente arricchita dall’impiego dei lustri metallici e proseguita fino a tutti gli anni Venti, si affiancano vasi a forma di anfora le cui anse sono plasticamente modellate come serpenti che attorcigliano il proprio corpo, ispirate alle maioliche rinascimentali, con un fregio pittorico nel quale profili femminili e di fauni o una coppia di centauri si alternano su un fondo di paesaggio o, più modernamente, gli elementi plastici si sciolgono in decori pittorici in cui gli elementi floreali si dispongono sulla superficie del vaso in modo asimmetrico, come nastri avvolgenti, decisamente modernisti. […]

[1] Piatto decorativo con testa femminile e girasoli, 1896-1898, Arte della Ceramica, collezione privata

Tra il 1898-1900 L’Arte della Ceramica avvia l’esecuzione di pannelli ornamentali, costituiti da piastrelle dipinte, nei quali profili e volti preraffaelliti si stagliano su girali di foglie e fiori [2], e di vasi nei quali la struttura decorativa, di soggetto floreale, non è solamente un abbellimento di forme tradizionali, ma spesso ne determina la trasformazione espandendosi plasticamente  nelle anse e nelle imboccature dando vita ad un’organica relazione tra corpo plastico e decorazione pittorica. Il segno è sempre preciso, graficamente rilevato, e gli elementi naturalistici, ordinati in ritmiche composizioni che rimandano ai tessuti prodotti su disegno di William Morris e Walter Crane per gli Arts & Crafts, assumono talvolta l’effetto “colpo di frusta” e una sorta di lineare semplificazione affine a certe proposte della grammatica secessionista monacense, documentata nelle pagine della diffusissima rivista “Jugend”.

[2] Pannello ceramico con due teste femminili fiori e grappoli d’uva, 1898-1902, Arte della Ceramica, Galleria Expertise di Cinelli Marzio

Così la pittura risulta stesa sulle superfici sia in campiture uniformi, perfettamente circoscritte da una sottile line di contorno, sia per piccoli tocchi di pennello, più o meno ravvicinati, allo scopo di creare effetti di sfumato affini alla pittura vera e propria, magari con l’impiego di lustri, come nei piatti in cui il volto di una sirena, o di una ninfa o di una giovane donna, si gira a guardare lo spettatore e la cui espressione stupita e venata di malinconia è resa nello sfumare della guancia e dello zigomo e dalle ciocche di capelli mosse che sembrano metamorfizzarsi in una sorta di avvolgente moto ondoso.

I riconoscimenti nazionali e internazionali

La prima partecipazione della giovane manifattura ad un evento espositivo nazionale è quello alla Prima esposizione di arte decorativa moderna, organizzata a Torino nel 1898, nella quale essa ottiene la medaglia d’oro, a pari merito con le manifatture toscane Cantagalli e Bondi di Signa, le quali, però, presentano ancora un repertorio storicista ed eclettico dando la misura di quanto la battaglia tra gusto storicista e stile moderno non sia ancora terminata.

Tuttavia, le novità proposte da Chini vengono immediatamente colte dai più avveduti critici del momento, ossia Leonardo Bistolfi, Ugo Ojetti, Enrico Thovez e, in particolare, da Anna Piccola Menegazzi che, con lo pseudonimo di Mara Antelling, pubblica un significativo intervento nella rivista  “Arte Italiana Decorativa e Industriale” che sottolinea la perfetta corrispondenza delle invenzioni ceramiche di Galileo Chini con il gusto modernista già ben delineato anche in Italia: “Chi ha dato un vero tuffo nel moderno attingendo però a piene mani alle sottili gentilezze del preraffaellismo e specialmente alle grazie del Botticelli è stata la Società Fiorentina “L’Arte della Ceramica”.

Anche qui una tavolozza calma, fresca, nell’intonazione tenera dei versi. Nessun stridore, un’abbondanza di gialli pallidi, di azzurri, di violetti, di rosa tenacissimi. Una fioritura larga uno spampanamento di petali che si adagiano nelle corrette forme dei vasi, forma svariatissime, le quali vanno dalle anfore e dai boccali di birra ad uso di Fiandra, fino agli orci medicei. In mezzo alla decorazione floreale di iridi e di papaveri verdi o gialli, spiccano i profili virginei di teste femminili, di delicatezza eterea, o ridono satiri, di un riso diabolico, contrasto violento con la dolcezza dei visi muliebri”.

Del resto, Sem Benelli nel gennaio del 1899 di “Emporium” (1899, pp. 74-78) attesta ulteriormente quanto i nuovi linguaggi stilistici di impronta modernista si siano ormai radicati definitivamente anche in terra toscana e quanto le invenzioni di Chini siano la punta di diamante di questa scelta. L’ulteriore affermazione, questa volta internazionale, con l’ottenimento del Grand Prix d’Honneur per le arti decorative e la medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Parigi del 1900, conferma il successo, anche commerciale, della manifattura fiorentina avendo in questa occasione affiancato alla produzione di vasi, cache-pot e brocche o versatoi, piastrelle per rivestimenti sia di esterni sia di interni.

Anche se il successo non stabilizza i bilanci della cooperativa, il 7 marzo 1898 L’Arte della Ceramica raggiunge la sua definitiva costituzione legale come “società”, abbandonando la sua prima natura di “cooperativa”. Tale cambiamento, però, genera a sua volta risentimenti tra chi, come Montelatici, crede ancora fortemente nella possibilità di continuare un’attività dettata esclusivamente da fratellanza e comunione d’intenti. È proprio a causa del progressivo allontanamento di Montelatici che, dal marchio di fabbrica, scompare il simbolo delle mani intrecciate, emblema della fraterna amicizia dei quattro fondatori e caratteristica delle segnature di tutti i manufatti che vengono prodotti entro e non oltre il 1898; permane invece, fino al 1909, quando ormai nessuno degli iniziatori dell’attività è più presente nella manifattura, il simbolo della melagrana con il monogramma “ADCF” o “ADC”. 

Una matrice ancora artigianale fra tradizione e modernità

Galileo Chini ricopre il ruolo di direttore artistico della manifattura L’Arte della Ceramica tra il 1897 e il 1904, la quale, in contemporanea con l’esposizione di Torino del 1902, assume la denominazione di Ceramica Fontebuoni. Le sue invenzioni, dai grandi vasi decorativi ai piatti da parata, dalle ciotole alle anfore, sono una testimonianza, come si è detto, dell’influsso della pittura preraffaellita e dei modelli morissiani nella cultura dell’arte decorativa italiana, per la quale i valori fondativi sono la dimensione artigianale del lavoro, l’indissolubile unità tra arte e vita, l’idea della sostanziale unicità dei singoli pezzi che, seppur prodotti serialmente, vengono decorati a mano.

Ciò dimostra, al di là delle prese di posizione teoriche, quanto l’Italia sia ancora lontana, a queste date, dall’idea di industrializzazione e di produzione meccanica dei pezzi, come invece già avviene in Germania nell’ambito del Deutscher Werkbund. Del resto è significativo che Chini proponga un vastissimo repertorio di forme e di tecniche decorative che spaziano dalle citazioni della gloriosa stagione rinascimentale della maiolica italiana, come le anse anguiformi o fitomorfe che divengono un continuum con la parte pittorica, all’impiego dei lustri metallici, già del resto proposti dalla manifattura fiorentina di Ulisse Cantagalli a partire dal 1878, dai repertori naturalistici di insetti, fiori e piante palustri ai motivi stilizzati della coda di pavone [3], del fiore di cardo, della palmetta, fino ad arrivare a decori squisitamente grafici o, al più, di ispirazione alla ceramica greca arcaica, con i vasi in grès decorati con la tecnica al sale in blu o in verde su fondo chiaro che Galileo continuerà a produrre anche nella nuova manifattura Fornaci di San Lorenzo, gestita insieme ai cugini fino al 1925. Negli stessi anni, altri centri produttivi in Italia cercano di adottare la nuova formula decorativa modernista, per quanto in ritardo rispetto alla media europea, ma senza coglierne la profonda ventata di rinnovamento linguistico e tecnico, anche per la sostanziale separazione della produzione ceramica, tranne i rari casi di Cantagalli, Chini e delle manifatture milanesi, dalla contemporanea invenzione architettonica. […] 

[3] Vaso a bulbo con “occhio di penna di pavone”, 1919-1925, Fornaci Borgo San Lorenzo, MIC Faenza, inv. n. 20190

La contrapposizione, ma anche la continuità, fra tradizione e modernità, è ben rappresentata dalla personalità artistica di Galileo Chini, ma su questo tema si assiste anche ad un vivace confronto sul piano teorico da parte di Agnoldomenico Pica, Alfredo Melani, Enrico Thovez, Roberto Papini, Adolfo Venturi e Ugo Ojetti, benché ognuno di loro, con sfumature diverse, sostenga la medesima necessità per lo sviluppo delle arti decorative italiane, di un’articolata e moderna formazione per gli artigiani, dell’organizzazione di esposizioni nazionali e internazionali per diffondere sia il gusto del bello sia il mercato, la creazione di repertori di riferimento, l’adozione da parte delle manifatture, anche industriali, di un direttore artistico che garantisca la qualità e l’originalità della produzione e una sostanziale fusione tra le arti, in altre parole l’adozione rigorosa di uno stile moderno con risvolti anche di educazione sociale e di recupero delle tradizioni e  dei valori popolari. […]

Le Fornaci San Lorenzo e la nuova stagione creativa

Il nuovo assetto societario dell’Arte della Ceramica voluto dal maggior finanziatore della manifattura, il conte ferrarese Vincenzo Giustiniani, induce, nel 1904, alle dimissioni di Galileo, in qualità di direttore artistico, seguito dal cugino Chino, direttore tecnico, nel 1905. Tuttavia, sulla base delle esperienze maturate e dei riconoscimenti ottenuti, i Chini decidono di investire nell’apertura di una propria manifattura industriale ceramica e vetraria (grande passione di Chino) nel Mugello, a Borgo San Lorenzo, che prende il nome di Fornaci San Lorenzo e che sceglie come marchio, ironicamente, la griglia stilizzata evocante il martirio del santo eponimo.

Inizia così una nuova stagione creativa di Galileo che elabora una serie ricchissima di disegni per le decorazioni sia delle maioliche a lustri, sia dei grès: si tratta di progetti ornamentali per vasi, anche di monumentali dimensioni, cache-pot, ciotole, alzate, versatoi, contenitori di varia foggia, calamai e rivestimenti in piastrelle sia dipinte a lustri, sia modellate plasticamente e smaltate. Il repertorio si è fatto estremamente stilizzato, al limite del decoro geometrico, e a tratti astrattizzante, scegliendo talvolta smalti monocromi entro una griglia rigorosamente cartesiana. 

I temi fitomorfi risultano aver perso l’andamento flessuoso e avvolgente per assestarsi in composizioni simmetriche, arcaicizzanti, specie nei grès al sale dipinti con il blu cobalto (eseguiti sotto l’attenta perizia tecnica di Chino) e nei quali i motivi sono ripresi dalla ceramica greca arcaica, nella regolare divisione orizzontale in fasce ornamentali, oppure si presentano come tappeti musivi certo suggeriti dall’onda lunga del lessico secessionista, soprattutto austriaco, e dall’impatto che su Galileo hanno le scelte decorative e compositive presenti nelle opere mature di Gustav Klimt esposte alla Biennale veneziana (1910) e alla mostra internazionale del cinquantenario del regno a Roma (1911) [4].

[4] Vaso con rose stilizzate, 1906-1911, Fornaci Borgo San Lorenzo, collezione privata Pistoia

L’orizzonte decorativo di Chini aveva già iniziato a virare, intorno al 1902, verso una grammatica secessionista sua propria in cui confluiscono non solo suggestioni da Monaco e da Vienna, ma anche suggerimenti provenienti dalla profonda conoscenza delle xilografie e dei repertori pittorici giapponesi e da una specifica evoluzione interna dei temi fitomorfi e zoomorfi che si liberano definitivamente di cadenze asimmetriche e avvolgenti […] in favore di quella geometrizzazione del segno e di quell’esuberanza decorativa che sono un preludio al gusto art déco. A partire dalla fine degli anni Dieci, Chini propone per la manifattura Fornaci San Lorenzo invenzioni decorative rinnovate e nutrite dalla straordinaria esperienza in Oriente che Galileo vive tra il 1911 e il 1913 durante il monumentale cantiere aperto a Bangkok per la decorazione del palazzo Reale di re Rama VI. […]

La stagione Déco e il ritorno alla pittura

L’approdo ad un maturo e specifico lessico déco lo si ha con la progettazione e la realizzazione dell’apparto decorativo (maioliche, vetrate, pitture murali, superfici musive, ferri battuti, arredi) per lo Stabilimento Termale Lorenzo Berzieri a Salsomaggiore Terme, impresa conclusasi nel 1923, nella quale eredità secessioniste e klimtiane ed esuberanze orientali si sposano in uno dei più affascinanti esempi dell’Art Déco italiana, ma la parabola dell’impegno nell’ambito della produzione ceramica di Galileo Chini si sta concludendo. Gli atti finali coincidono, simbolicamente, con la codificazione internazionale del gusto déco, ossia la Seconda Biennale delle arti decorative di Monza e, soprattutto, l’Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes di Parigi, ambedue nel 1925. 

Dopo queste due esperienze espositive e con la proposta di opere originali per tenuta decorativa e intelligenza creativa, Galileo decide di dedicarsi esclusivamente alla pittura, probabilmente un desiderio che coltivava da un po’ di tempo, lasciando la manifattura di famiglia che viene presa in carico dai figli di Chino, Tito e Augusto, e per la quale quest’ultimo, in particolare, si impegna nella rinnovo del campionario, sostanzialmente adattandolo ad una produzione industriale in cui spesso riemergono ancora echi dei disegni e delle proposte decorative di Galileo che restano nell’archivio della manifattura.

Nella pittura di cavalletto e nella grande decorazione Chini adotta, fin dai primissimi anni del Novecento, la tecnica del Divisionismo, su modello di Previati, Segantini, Pellizza da Volpedo, ricorrendo però agli stilemi lineari e avvolgenti e alle composizioni asimmetriche tipici delle secessioni europee; del resto, già nel 1904 aveva esposto alla Secessione di Monaco. Galileo Chini, nel corso della sua inesausta attività, ha collaborato con scultori e architetti tra cui Domenico Trentacoste, Edoardo De Albertis, Guido Calori,  Sirio Tofanari, Ugo Giusti, Adolfo Coppedè, Giovanni Michelazzi, Alfredo Belluomini; così come nel settore della scenografia ha avuto stretti rapporti di amicizia e di collaborazione con Sem Benelli e con Giacomo Puccini, per il quale mette a disposizione la sua originale esperienza in Estremo Oriente per l’allestimento scenico dell’opera Turandot nel 1926. Muore nel 1956, dopo un trentennio dedicato pressoché esclusivamente alla pittura, nella sua casa fiorentina. 

Per approfondire

Una mostra per Galileo Chini
A Galileo Chini, inventore di ceramiche d’arte, che ha attraversato con intelligenza creativa e in quasi un trentennio le radicali trasformazioni del gusto e le complesse relazioni tra arte e industria che hanno caratterizzato il dibattito critico europeo sulla sostanza, la funzione e lo status delle arti decorative tra il 1890 e il 1925, il Museo Internazionale della Ceramica MIC di Faenza ha voluto dedicare una grande mostra co-curata dallo storico dell’arte Valerio Terraroli e dalla direttrice del Museo, Claudia Casali, con l’obiettivo di evidenziare e mettere in luce, pur nella sua poliedrica attività, lo specifico della ceramica d’arte di Galileo Chini. In questa occasione vengono presentati al pubblico, fino al 14 maggio 2023, circa 300 pezzi, tra ceramiche e disegni, espressioni del complesso e fascinoso universo creativo di un artista/designer protagonista delle mutazioni dell’arte italiana tra Simbolismo, Liberty, Secessione ed Art Déco.

Il MIC
Il Museo internazionale della ceramica MIC di Faenza è la più importante raccolta al mondo dedicata alla ceramica: ospita 60mila opere, che vanno dai 4000 anni a.C. ai giorni nostri. Comprende opere della penisola italiana dal Medioevo all’Ottocento, del Vicino Oriente Antico, di area mediterranea in epoca ellenistica, manifatture precolombiane e islamiche. Un’ampia sezione è dedicata alla ceramica moderna e contemporanea. A cadenza biennale, il museo promuove un concorso internazionale di ceramica artistica, che gli consente di ampliare le sue raccolte con opere provenienti da tutto il mondo.

In copertina: Piatto ornamentale con testa femminile e pavone, 1898-1902, Arte della Ceramica, collezione privata