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I centenari danteschi nell'Italia unita

Speciale Dante

di  Roberto Balzani

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1865 – L’Italia delle cento città 

Non furono molti gli intellettuali che, nel 1821, ricordarono il V centenario della morte di Dante, avvenuta a Ravenna nel settembre del 1321, anche se un viaggiatore francese dell’epoca osservava: “la tomba di Dante è, per l’immaginazione, il primo monumento di Ravenna, e una delle più illustri tombe del mondo”.

Nel maggio del 1865, in occasione del VI centenario della nascita, l’Italia unita lo celebrava solennemente a Firenze, centro di un vero e proprio festival durato giorni e culminato nell’inaugurazione del monumento all’Altissimo Poeta in piazza Santa Croce, alla presenza di Vittorio Emanuele II. Era l’Italia delle cento città che convergeva nelle strade medievali e rinascimentali di Firenze, da poco capitale del Regno, a testimoniare la patria “dal basso”, quella orgogliosamente municipale che aveva cooperato alla lotta per l’indipendenza. Naturalmente i discorsi si sprecarono e la retorica corse a fiumi: un cliché che si sarebbe ripetuto puntualmente in occasione dei centenari successivi. 

I motivi della spettacolarizzazione di Dante

La spettacolarizzazione di Dante si sposava con l’esigenza di costruire una narrazione della vicenda letteraria italiana in funzione dell’immancabile esito nazionale. Alcuni grandi anticipatori avevano intuito l’Italia unita secoli prima del Risorgimento: Dante era stato il primo anello di questa gloriosa catena. Il ruolo dello Stato, nella preparazione della kermesse fiorentina, era stato tutto sommato modesto, dato che una vera e propria politica culturale mancava alla Destra storica al potere; il vivace mondo dell’intellettualità di provincia aveva sopperito col suo entusiasmo e con le inevitabili ingenuità.

1921 – Lo Stato nazionale vincitore della Grande Guerra

Alcuni decenni più tardi, nel settembre del 1921, quando Dante tornò nell’agenda nazionale in previsione del VI centenario della morte, il clima era del tutto diverso. Questa volta protagonista assoluto era lo Stato nazionale, vincitore della Grande Guerra, che aveva reso reali i confini geografici della patria intravisti da Dante nella Divina Commedia. Il vaticinio si era dunque realizzato e l’Altissimo Poeta poteva figurare a buon diritto fra i precursori del nazionalismo trionfante. 

Si tenga presente il clima: concluso il “biennio rosso”, il riflusso sul patriottismo, nelle sue diverse accezioni, era in pieno corso. A novembre sarebbero state solennemente traslati i resti del Milite Ignoto al Vittoriano, il grande monumento eretto a ridosso del Foro Romano. Le celebrazioni dantesche disegnavano un percorso nel duplice segno della morte in nome della patria: da quella celebre del 1321 a quella eroica, avvenuta in un punto indefinito del fronte, durante la carneficina del 1915-1918.

1965 – La Repubblica democratica

Nel 1965, la Repubblica democratica che si apprestava a festeggiare il VII centenario della nascita di Dante era espressione di una comunità laboriosa e ottimista. Il boom economico aveva accompagnato fuori della marginalità e dell’arretratezza milioni di italiani; la scuola funzionava da efficace “ascensore sociale”. La lingua degli italofoni, la lingua di Dante, ormai prevalente sulla dialettofonia ancora ben radicata in un recente passato, era divenuta un vettore di emancipazione individuale e collettiva. L’Altissimo Poeta fu soprattutto studiato nelle classi, mandato a memoria, inserito nel percorso di formazione dell’alunno. Una lettura ben diversa da quella del 1921: l’orgoglio nazionale restava, ma era quello di una democrazia compiuta e in ascesa, che valorizzava le sue radici culturali.

Dante oggi: globale e internazionale, ma con le domande giuste

E’ difficile dire, oggi, quale sia il senso del nuovo centenario. Prevalente è l’idea, piuttosto generica, di un Dante “internazionale”, “globale”, che interpella donne e uomini del mondo intero con la forza ancora intatta della sua parola. Un Dante messaggero di “italianità”, come si sarebbe detto una volta, testimonial di una pacifica “grande potenza culturale”? Può darsi che questa, a livello governativo o istituzionale, sia o sia stata l’intenzione originaria. La sensazione, al di là delle iniziative – talune bellissime, altre nel solco della retorica consueta – è che a un Paese in cerca di sé stesso sia difficile chiedere un progetto prospettico, valido per il futuro. Dante, quindi, può sicuramente darci la risposta, ma spetta a noi porgli la domanda giusta.