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Il bullismo si combatte con la consapevolezza emotiva

di Eva Pigliapoco e Ivan Sciapeconi

Primaria
15 - FEBBRAIO

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I dati ci dicono che il bullismo e la sua derivazione digitale, il cosiddetto cyberbullismo, sono fenomeni in costante crescita e per questo si stanno sperimentando sia azioni di formazione degli insegnanti (la piattaforma ELISA) sia strumenti di intervento educativo (per esempio il progetto “Generazioni connesse”).

Quello che spesso  non emerge, però, è che per intervenire sul bullismo bisognerebbe non partire dal bullismo. 

Per gli insegnanti della scuola primaria, in particolare, fare prevenzione sul bullismo vuol dire prima di tutto partire dal presupposto che è possibile insegnare al bambino e alla bambina come affrontare in modo costruttivo le difficoltà incontrate ogni giorno. Si tratta di affrontare, in sostanza, il tema dell’educazione affettiva, ovvero quel processo di apprendimento che porta all’autoregolazione delle proprie emozioni e che è la matrice dell’acquisizione della sicurezza di base.

Non si tratta di “modellare” un comportamento, né tantomeno spersonalizzare le emozioni secondo un modello adulto. Si tratta, piuttosto, di far riconoscere ai bambini e alle bambine il fatto che “intelletto ed emozioni non sono aspetti del funzionamento umano completamente separati, ma il pensiero può influenzare le reazioni emotive” (Mario Di Pietro, L’educazione razionale-emotiva, Erickson 1992).

Alla base di questa idea ci sono gli studi dell’americano Albert Ellis, l’ideatore di una teoria denominata Terapia Razionale Emotiva. Teoria  che parte dall’assunto che le nostre emozioni derivino non tanto da ciò che ci accade, ma dal modo in cui interpretiamo e valutiamo ciò che ci accade. Il pensiero e l’autovalutazione personale, quindi, danno senso a quanto ci succede attorno e quindi determinano una risposta più o meno adeguata.

Un bambino o una bambina che non si sente ascoltato/a in modo adeguato dai compagni e dalle compagne, per esempio, potrebbe costruire una teoria disfunzionale intorno al comportamento del gruppo e quindi pensare che “gli altri ce l’hanno con lui, o con lei” e che la situazione è talmente insopportabile da scatenare una reazione furiosa.

Come se ne esce? Parlare semplicemente di bullismo probabilmente non risolve il problema perché colloca i comportamenti disfunzionali in una sorta di “zona di devianza” che colpirebbe solo alcuni soggetti e non altri. E’ invece possibile affrontare in classe l’argomento dell’educazione affettiva con buoni risultati proponendo attività collegate al riconoscimento delle emozioni, al riconoscimento della loro intensità e anche alla gestione delle situazioni più frustranti in una sorta di Educazione Razionale Emotiva.

I bambini e le bambine più consapevoli delle proprie emozioni crescono in modo più sicuro e sono consapevoli di quanto avviene intorno.

È proprio la sicurezza, e non la paura del pericolo nascosto dietro i compagni e le compagne di classe, il fattore di maggior protezione per i bambini e le bambine.

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