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La morte di Apronia: un femminicidio nell’antica Roma

Speciale R-Edu Civica
di Anna Però

Secondaria di 2° grado - Storia

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Il cosiddetto femminicidio non è un fenomeno esclusivo della società moderna, ma ne riflette le contraddizioni: benché entrambi i sessi godano legalmente, almeno nei paesi democratici, degli stessi diritti, stalking e violenze domestiche colpiscono principalmente le donne, che si trovano spesso indifese di fronte a episodi di questo tipo. Il mondo romano della tarda repubblica e dell’impero assomiglia per molti aspetti a quello odierno: accanto a elementi di grande modernità, come il divorzio, che poteva essere ottenuto da entrambi i coniugi, si trovano infatti tratti decisamente arcaici, come il diritto per il pater familias (marito, padre o suocero) di uccidere la matrona colpevole di adulterio. 

Proprio dal mondo romano viene la storia di un femminicidio, che ha per protagonista una donna di cui ignoriamo tutto, tranne i dettagli della sua triste fine e della vicenda giudiziaria che ne seguì, raccontati in una manciata di frasi dallo storico Tacito (Annali, IV 22).

L’anno è il 24 d.C. e questi sono i fatti: Apronia, moglie del pretore Plauzio Silvano, viene trovata morta in casa propria, ai piedi di una finestra dalla quale è evidentemente precipitata. A ritrovarla è forse una schiava domestica, che informa subito il padre della donna e suocero di Silvano, Lucio Apronio. Costui non ci mette molto a sospettare del genero, e lo trascina davanti all’imperatore Tiberio, in cerca di giustizia. Silvano, in stato di evidente confusione, si dichiara estraneo ai fatti, dal momento che, quando il crimine è accaduto, stava dormendo, e ipotizza pertanto che la moglie si sia suicidata. 

La sua deposizione non convince nessuno e meno di tutti l’imperatore Tiberio, che, senza indugio, si reca personalmente sul luogo del delitto, a casa di Silvano e Apronia. Vuole vedere con i propri occhi la stanza dalla quale la donna è precipitata, e trova chiari indizi di una colluttazione, della disperata resistenza opposta dalla vittima, e della spinta che l’ha fatta cadere. Silvano viene arrestato in attesa di giudizio, mentre Tiberio riferisce il risultato delle sue indagini al senato e vengono prontamente nominati i giudici. 

Ma la potentissima e temibile Livia, madre di Tiberio e vedova del divino Augusto, è molto amica della nonna di Silvano, Urgulania. Tacito insinua che Livia, a conoscenza dell’esito che avrà prevedibilmente il procedimento giudiziario, ne informi l’amica. Perciò Silvano si vede recapitare in carcere un pugnale, e capisce che cosa gli si richiede di fare, per evitare un processo infamante per sé e la propria gens: il suo corpo esanime viene trovato nella cella, in un lago di sangue. 

Qualche tempo dopo, inaspettatamente, il caso viene riaperto e si celebra un nuovo processo, che vede imputata una certa Numantina, prima moglie di Silvano. La si accusa di aver spinto l’ex marito ad uccidere Apronia, di cui lei era evidentemente gelosa, manipolandone la volontà con formule e filtri magici: così forse si può spiegare lo stato di confusione mentale nel quale Silvano ha risposto al primo interrogatorio di Tiberio. L’accusa di incantamento nei confronti di una matrona non è una novità a Roma, anzi, è piuttosto frequente. Riflette probabilmente una paura atavica dei mariti, consapevoli che l’uso delle erbe medicinali era una pratica eminentemente femminile, e convinti che tra medicina e veleno la via fosse molto breve. Processi di questo genere si verificano soprattutto in momenti di crisi (guerre, pestilenze) e hanno certo lo scopo di trovare un capro espiatorio. Nel caso di Numantina si può pensare che la potenze famiglia di Silvano volesse riabilitare la memoria del defunto scaricando tutta la responsabilità dei tragici eventi accaduti su una donna, appunto.   

Ma l’accusa era difficile da dimostrare, in mancanza di prove conclusive, e Numantina alla fine venne assolta, senza che si potesse stabilire con certezza chi avesse ideato la morte della povera Apronia. Il suo caso rimase irrisolto, come certo accadde per molti altri “femminicidi” dell’epoca e come accade anche oggi, del resto. L’unica magra consolazione per il padre della vittima e per gli altri parenti fu la squallida fine di Silvano: giustizia, in qualche modo, era fatta.

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