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Lea Vergine, un mio ricordo

di Valerio Terraroli

Secondaria di 2° grado - ARTE

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Uno sguardo penetrante e insieme curioso, un carattere fiero e una visione etica inflessibile, un’eleganza assoluta e la voglia di “sporcarsi le mani” con i linguaggi della contemporaneità, anche i più brutali e infimi. Tutto questo era, e lo è ancora attraverso i suoi scritti, Lea Vergine, critica militante, storica dell’arte, colei che ha dato voce all’ “altra metà del cielo” ossia alle artiste che con fatica hanno conquistato una propria credibilità ed un proprio spazio nel corso del Novecento e nel primo ventennio del nuovo millennio; colei che ha dato sistematicità critica e valore estetico alla Body Art, alla Perfomance fino al Trash come forma d’arte.

Ho avuto la fortuna di conoscere Lea Vergine una quindicina di anni fa. Lei già una figura emblematica nell’empireo degli storici dell’arte che hanno segnato una strada interpretativa e che hanno dato sostanza critica ad un percorso d’indagine sul contemporaneo; io ideatore di un progetto editoriale sull’arte contemporanea in cinque volumi intitolata Arte del XX secolo. Abbiamo avuto, immediatamente, una reciproca simpatia, ci siamo incontrati molte volte per discutere non solamente d’arte, ma anche di letteratura, di cinema, di politica. Tra i momenti che mi piace ricordare è l’avventura della mostra Un altro tempo. Tra Decadentismo e Modern Style che Lea Vergine ha ideato e curato per il MaRT di Rovereto nel 2012. Si trattava di una scelta apparentemente lontana dalle scelte contemporaneiste e militanti della studiosa, trattando del gruppo di Bloomsbury e della visione artistica/culturale di intellettuali e artisti che si muovevano negli anni Dieci e Venti intorno a Virginia Woolf. A me affidò il compito di scrivere intorno all’Omega Workshop, diciamo la declinazione snob ed elegante del Modernismo internazionale e con un’esplicita valenza espressionista. 

Ragionare e scegliere con lei le opere per la mostra mi ha rivelato quanto la lucidità critica e l’intelligenza interpretativa di uno storico dell’arte, unite a un innegabile senso del gusto, siano davvero gli strumenti per affrontare qualsiasi argomento legato alla creatività artistica dalle più remote testimonianze all’arte attuale, del qui e ora. Resta memorabile L’altra metà dell’avanguardia la mostra da lei curata a palazzo Reale di Milano nel 1980 che coraggiosamente liberava il lavoro delle artiste dalla posizione ancillare nei confronti degli artisti, mariti, compagni, padri, amici che fossero, assegnando loro una dignità ed un’autonomia proprie e di cui la mostra di Rovereto è, in certo senso, l’atto finale. Proprio sul senso di creare e organizzare mostre, su cui la studiosa fu spesso ferocemente polemica, voglio ricordare la frase che amava ripetere: “Una mostra non la si fa solo per guardare e vedere, ma anche per sapere”. Il conoscere, il sapere, il confrontare, il mettere in discussione dogmi e luoghi comuni, il crearsi un’opinione: questi erano per Lea gli obiettivi che ogni storico dell’arte, ogni critico, ogni insegnante, ogni cittadino deve fari propri.

Intelligenza, ironia, visione complessiva, interdisciplinarità, originalità interpretativa, conoscenza, stile erano i caratteri della persona Lea Vergine e sono i caratteri della sua scrittura; arricchiti dalla lunga e appassionata condivisione di vita con l’architetto e designer Enzo Mari, anch’egli uomo elegante, discreto, ironico, di finissima intelligenza e di stupefacente creatività. Ambedue, a poche ore di distanza sono morti tra il 18 e il 19 ottobre 2020 a causa dalla pandemia. Ambedue per decenni sono stati protagonisti della scena dell’arte e del design contemporanei nella loro Milano e a livello nazionale e internazionale. Ambedue si sono schierati in importanti battaglie legate alla politica culturale e alla politica tout-court. Ambedue hanno lasciato una fondamentale eredità di idee e di scelte.

Sul tema del corpo, e soprattutto del corpo delle donne, che è divenuto spesso doloroso e patologico strumento espressivo, Lea Vergine ha costruito un percorso che da Il corpo come linguaggio (1974), passando per Dall’Informale alla Body Art: dieci voci dell’arte contemporanea 1960/1970 (1976), arriva a L’arte in trincea: lessico delle tendenze artistiche 1960 – 1990 (1996), Body Art e storie simili: il corpo come linguaggio e a Schegge: Lea Vergine sull’arte e la critica contemporanea (2001).

La Body Art esplose e dilagò nei primi anni Settanta; nel senso che si diffuse, con gran clamore, prima in tutti gli spazi alternativi, subito dopo nelle gallerie e poi nei musei di arte contemporanea e Lea ne colse immediatamente il senso, scrivendo: “Vi è una storia delle maniere e delle ragioni di fare arte che spunta, regredisce, scompare, resuscita, si diffonde in ragione delle situazioni sociali. L’aggressività che segnò molte delle performances di quella che fu chiamata body art nasceva dall’amore verso l’altro, non corrisposto. Lo si mutò in affezione verso altri se stessi sdoppiati, camuffati, smedesimati, verso il romanzo di sé”. 

Le esperienze artistiche vere e profonde, il rapporto arte vita, i linguaggi che nascono in modo autentico, al limite in modi dolorosi e crudeli, hanno sempre intrigato questa donna intelligente e fascinosissima che ha vissuto in prima persona vicende dure e difficili e che aveva fatto propria un’affermazione dello scrittore spagnolo Javier Marías “Io sono il mio proprio dolore e la mia febbre”, diceva di quegli artisti, ma in fondo anche di sé: “coloro che provano dolore hanno bisogno di avere ragione”.

Figura A: Lea Vergine insieme al marito, l’architetto Enzo Mari (photo: Giuseppe Varchetta)

Figura B: Lea Vergine e Gina Pane in occasione della mostra “Gina Pane. Partitions/Opere multimedia 1984-85” tenutasi al PAC di Milano nel 1986 sotto la curatela di Vergine (photo: © Maria Mulas)

Per approfondire:

Una bibliografia dei titoli più significativi degli interessi di questa grande critica d’arte.
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Alcune mostre, in Italia, dedicate all’arte e al ruolo delle donne, non solo come modelle o compagne di artisti famosi, ma protagoniste dell’arte e della fotografia:

MILANO

ROMA

TORINO