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Ripartiamo. Riaprono i musei

di Valerio Terraroli

Secondaria di 2° grado - Arte

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Dopo un anno vissuto pericolosamente, siamo alla ripartenza: i musei e le istituzioni culturali riaprono. Ma potrà tornare tutto come prima del Covid? E che cosa abbiamo imparato da questa esperienza?

Riaprono i musei, le mostre, le gallerie d’arte, i siti monumentali e gli scavi archeologici; riaprono cinema e teatri e ciò segna, al di là della retorica massmediatica, un passaggio importante sul quale è importante riflettere, soprattutto per le prospettive future. Lasciando cadere qualsiasi dietrologia relativa alla questione se sia stato giusto, o meno, chiudere al pubblico le istituzioni museali, i complessi monumentali e i luoghi dello spettacolo, i quali, per altro, sull’esperienza del lockdown del 2020 si erano per la gran parte dotati di sistemi e di protocolli di sicurezza, credo sia giunto il momento di riflettere su quali questioni si siano aperte in conseguenza all’emergenza sanitaria.

La chiusura forzata dei “luoghi della cultura” ha marginalizzato ulteriormente l’esperienza culturale rischiando di consolidare la convinzione che l’esperienza culturale diretta con l’opera d’arte, con il monumento, con il museo non sia indispensabile, anzi non sia necessaria e, in ogni caso facilmente sostituibile con altri mezzi. Superate le preoccupazioni sulle condizioni di sicurezza, sono emerse in questi giorni considerazioni sulla economicità o meno delle aperture che toccano il tema oggi centrale dei musei, come evidenziato anche dal dibattito avviatosi all’interno di ICOM sulla definizione dell’istituzione museale, sulla sua identità, sulle tipologie dei pubblici, sui modelli di gestione, sulle forme dei rapporti verso le comunità.

Durante la chiusura forzata, ogni istituzione museale, grande o piccola che fosse, ha cercato di mantenere un rapporto con l’esterno attraverso la messa in campo di una serie variegata di proposte digitali, di visite virtuali, di brevi approfondimenti su alcune opere del proprio patrimonio con esiti diversi e non sempre di alta qualità. Tuttavia quella necessità ha spinto i più a confrontarsi con gli strumenti della comunicazione a distanza e del racconto virtuale, la quale, a sua volta, ha mostrato dei limiti, non strutturali, ovviamente, ma di contenuto e di approccio. Non basta, infatti, riversare nel digitale tour virtuali, già visti in molti casi, micro schede di opere, come “pillole” di sapienza o testi banalizzati per poter essere attrattivi per un pubblico generalizzato sì, ma non generico e che spesso è smaliziato nell’uso del web ed è capace di scegliere e che quindi va invogliato in modo intelligente ad entrare in contatto con le realtà culturali.

L’apertura di questi giorni, che ci si augura definitiva, non cancellerà quell’esperienza, come del resto la DAD non sarà messa nel dimenticatoio come un brutto ricordo perché proprio quelle esperienze hanno fatto intravedere delle possibilità e con esse dobbiamo fare i conti. Pur nella profonda convinzione che che nulla può sostituire il rapporto diretto con le opere e con i contesti, va altresì sottolineata la grande potenzialità di arricchimento, di coinvolgimento, di superamento delle gerarchie culturali, sociali, economiche che l’impiego intelligente, variegato, perennemente rinnovato del digitale possiede. La possibilità di raggiungere una larghissima fetta di pubblici deve indurre i musei e le istituzioni culturali in genere ad elaborare linguaggi, strategie di comunicazione, soprattutto sistemi di mediazione, coinvolgimento e diffusione di contenuti e chiavi di lettura del patrimonio storico-artistico come strumento di condivisione e formazione dei cittadini; anche perché andrebbe portata a compimento la missione del museo come servizio pubblico, secondo quanto prescritto nel Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, elaborando un progetto articolato ed efficiente. Esistono tanti modi di costruire una storia a partire da ciò che un museo custodisce anche attraverso le potenzialità virtuose delle nuove tecnologie, insieme alla capacità che un’istituzione culturale deve possedere di connettersi con i nuovi pubblici.

Significativo in questo senso è stato l’appello-manifesto che Sylvain Bellenger (direttore del museo e della Reggia di Capodimonte a Napoli), Sergio Risaliti (direttore del Museo Novecento a Firenze) e Giovanni Iovane (direttore dell’Accademia di Brera a Milano) hanno pubblicato in “Artribune” il 20 novembre 2020 rimarcando la necessità che i musei, pur non rinunciando ad essere luoghi di conservazione del patrimonio e di ricerca, siano allo stesso tempo “campus dinamici, poli culturali” nel senso che siano, dove possibile, anche “luoghi interdisciplinari di residenze artistiche e di laboratori creativi, istituti di formazione e perfezionamento per curatori, restauratori e mediatori culturali”. Insomma, i musei devono cogliere questa occasione per darsi un nuovo e diverso posizionamento in ambito culturale e sociale.

La ripresa di una circolazione turistica multiforme dovrebbe essere, appunto, l’occasione per elaborare approcci e mediazioni culturali al patrimonio storico-artistico, così come all’ideazione e organizzazione di mostre, più consapevoli, più selezionati e più meditati rendendo la qualità delle scelte sempre più attrattiva e coinvolgente, avendo anche la responsabilità di contribuire a formare non solo il senso di un’appartenenza culturale, ma anche il gusto del pubblico. 

Di nuovo centrale dovrà essere il rapporto con il mondo della scuola e della formazione a cui vanno dedicate attività laboratoriali, integrate con quelle scolastiche, certo, ma a cui va aggiunta la prospettiva di una formazione permanente e la crescita di giovani mediatori culturali intesi come opportunità per avvicinare le loro famiglie e le loro culture al patrimonio storico-artistico.

Il cambio di rotta, il riallineamento consapevole a nuovi modelli di gestione di relazioni con il pubblico da parte dei musei ha bisogno non soltanto di fondamentali decisioni a livello politico e istituzionale, ma ha soprattutto bisogno di un cambio di mentalità, di allacciare strette relazioni con le Università, i centri di ricerca, le scuole di ogni ordine e grado, le comunità in una prospettiva che abbia il coraggio di essere nuova. 

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