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L’istruzione tecnica e la competizione internazionale

di  Mario Capuzzimati

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Introduzione

Lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale sta demolendo il quadro di riferimento delle professioni e sempre più spesso gli studenti del 5° anno pongono domande del tipo: “Prof, secondo lei, quali studi permettono sbocchi lavorativi al riparo dall’IA?”. 

Il modello inglese della prima rivoluzione industriale

Nell’Inghilterra della prima rivoluzione industriale, il successo dell’innovazione tecnologica prodotta da singoli artigiani di talento portò a trascurare la creazione di un solido sistema di istruzione tecnica.

La campanella d’allarme suonò all’Esposizione universale di Parigi, nel 1867, quando i visitatori inglesi si accorsero che l’Inghilterra non era più l’unica ‘officina del mondo’; le industrie dell’Europa continentale stavano rapidamente colmando il divario tecnologico. Nello stesso anno, una commissione speciale inglese per l’istruzione attribuì tale successo

“… all’istruzione scientifica dei proprietari e dei manager francesi, svizzeri, belgi e tedeschi e all’istruzione elementare che è largamente diffusa tra la popolazione lavoratrice in Germania e in Svizzera. …

Tutti i testimoni si sono ancora trovati d’accordo sul fatto che non vi è ancora nel nostro paese una piena coscienza della necessità economica di una adeguata istruzione generale e scientifica …”.

Il modello tedesco della seconda rivoluzione industriale

La Germania fu l’epicentro della seconda rivoluzione industriale, centrata sull’emergere delle industrie chimiche ed elettrotecniche. L’allarme in Inghilterra crebbe ulteriormente; nel 1884 una nuova indagine portò i commissari a esprimersi nei seguenti termini:

“… I commissari ritengono che il successo che ha accompagnato la fondazione di estesi stabilimenti industriali sul continente non avrebbe potuto raggiungere la sua piena estensione, a dispetto dei molti fattori contrastanti, se non fosse stato per l’ottimo sistema di istruzione tecnica impartita in queste scuole …”.

Tuttavia, sempre nel 1884, nel solco della plurisecolare tradizione empirica, la centralità dell’istruzione tecnica fu messa in dubbio dalla Commissione reale britannica:

“Riguardo all’istruzione tecnica nel nostro paese … è nostra opinione che non è opportuno introdurre in Inghilterra la pratica dei paesi esteri senza modificazioni rilevanti. In particolare per quanto riguarda l’istruzione superiore, quella che concerne coloro che vogliono diventare proprietari o manager di aziende industriali, non vorremmo che ognuno di essi continuasse gli studi teorici fino all’età di 22-23 anni in un politecnico e perdesse così il vantaggio di un’istruzione pratica nelle nostre fabbriche (che sono in realtà i migliori politecnici del mondo) durante gli anni da 18-19 a 21-22 quando è nelle condizioni migliori per trarne profitto.”

In Inghilterra il problema era comunque avvertito; in un nuovo rapporto, scritto da autori inglesi nel 1897 e che avevano già visitato la Germania negli anni 1882-1883, si legge:

“… in questo periodo di rapido progresso intellettuale la scuola diventa antiquata e obsoleta con la stessa rapidità delle fabbriche e delle officine e sempre noi abbiamo trovato che le scuole che avevano stimolato la nostra invidia nel 1882 e nel 1883 sono state interamente ricostruite e sostituite da più grandi e moderni edifici”.

Il modello italiano

In Italia l’industrializzazione era meno estesa e meno profonda; le élite erano impregnate di cultura classica e sottostimavano quella tecnico-scientifica. Ancora nel 1908 Giovanni Gentile sosteneva in “Scuola e filosofia” che agli studenti meno brillanti si doveva consentire l’accesso ai soli istituti tecnici, di rango inferiore.

Gentile confermò il tutto con la riforma del 1923, che rimaneggiò l’istruzione tecnico-professionale: l’area fisico-matematica fu scorporata e trasferita nel liceo scientifico (istituito con la riforma), mentre fu aggiunto il latino già a partire dal corso inferiore, a detrimento dell’area professionalizzante. Degne di attenzione furono comunque solo le sezioni di ragioneria e agrimensura; del tutto trascurate l’istruzione tecnica industriale e agraria.

Nei decenni successivi l’istruzione tecnica secondaria ha sicuramente ricevuto maggiore attenzione, ma oggi quei tempi sembrano lontani. Nonostante la decantata importanza delle attività laboratoriali, nell’epoca della terza e quarta rivoluzione industriale, gli istituti tecnici sono tornati ad essere sottofinanziati; per ogni studente iscritto ad un istituto tecnico lo Stato eroga la stessa cifra che eroga per ogni studente iscritto ai licei. 

Attualmente sono in corso più riforme degli istituti tecnici; sarebbe bene chiarire che l’apertura ai privati non può rappresentare per essi un nuovo ‘modello di business’. La competizione internazionale erode il benessere e molte famiglie lo avvertono.

Conclusione

Non è facile rispondere alla domanda posta dallo studente; l’IA è pervasiva; sicuramente una buona istruzione tecnico-scientifica, mette più facilmente al riparo dalla sua invadenza, permette di utilizzarla senza farsi travolgere. Ma, per dirla con le parole della commissione inglese del 1867,  non sembra che nel nostro paese ci sia “una piena coscienza della necessità economica di una adeguata istruzione generale e scientifica …”.

Fonti

Tutti i brani citati sono tratti dal libro:

A. Baracca, S. Ruffo, A. Russo, “Scienza e industria 1848 – 1915”, Laterza, 1978