News Secondaria di secondo grado Chimica

Come raccontare la tavola periodica

Pensieri e collegamenti

di  Eva Munter

Scarica l'articolo in PDF

155 anni fa, il 6 marzo del 1869 Dmitrij Ivanovič Mendeleev presentò alla Società Chimica Russa il risultato di anni e anni di lavoro: una tabella. Messa così, potrebbe quasi sembrare una scoperta di poco conto, ma in quella tabella si stava mettendo ordine tra tutti gli elementi noti all’epoca. Non era il primo tentativo di razionalizzare gli elementi, ma in qualche modo fu quello che riuscì a convincere più persone della validità del suo sistema di classificazione. A quel tempo la chimica era un mosaico frammentario di osservazioni e scoperte. Uno degli scopi di Mendeleev, che aveva studiato come chimico e come insegnante, era proprio trovare i principi chiave e sistematizzare le conoscenze chimiche. 

Quel che fece fu incredibilmente semplice, ma efficace: raccolse in un elenco tutti i 65 elementi allora conosciuti e poi li trasferì su cartoncini, dove aggiunse anche le proprietà fondamentali di ogni elemento, compreso il peso atomico. Mendeleev comprese che il peso atomico era in qualche modo importante – il comportamento degli elementi sembrava ripetersi all’aumentare del loro peso atomico – ma non riusciva ancora a vederne lo schema. Secondo quanto riportò, l’illuminazione gli avvenne in sogno. 

“In sogno ho visto un tavolo in cui tutti gli elementi si sistemavano come richiesto. Al risveglio l’ho subito trascritto su un pezzo di carta”.

Ci impiegò solo due settimane a raggruppare i dati e gli elementi, ma fece un passo in più e fu quello che gli permise di distinguersi tra tutti quelli che proposero le prime classificazioni, ovvero fece anche previsioni sugli elementi mancanti, dove lui e altri studiosi avevano lasciato dei “buchi”. Quello che convinse tutti della bontà dell’idea di Mendeleev fu proprio la scoperta di alcuni elementi (come il Gallio o il Germanio) che possedevano esattamente le stesse caratteristiche predette dallo scienziato russo. 

Raccontare la tavola periodica non è facile. Vedendola già realizzata, la logica della sua organizzazione appare quasi scontata, ma ottenere quel risultato ha richiesto lo sforzo estremo di mettere ordine in un caos che apparentemente non aveva confini e che racchiude tutta la materia nota (e ignota). Sono tante le storie dentro la tavola periodica che ci permettono di far capire che la sua scoperta non è la semplice trascrizione di un sogno, è un tentativo lungo secoli di classificare e ordinare la natura. È l’apoteosi della nostra pulsione di razionalizzare e comprendere il mondo che ci circonda. Proprio per questo, dietro ciascuna di quelle 118 caselle si nascondono storie e aneddoti intriganti che ci permettono di vedere la chimica con altri occhi, e che ci  mostrano uno spaccato della più intima natura umana, con i suoi alti e bassi, genialità e follia.

Fin dall’inizio dei tempi abbiamo avuto bisogno ascoltare e raccontare storie. Queste storie ci servivano (e ci servono) per interpretare noi stessi e la realtà, per questo le raccogliamo con attenzione e le raccontiamo attraverso i secoli. La tavola periodica non è dissimile da una grande raccolta epica, con incredibili storie nascoste dietro a ciascuna delle sue molte caselle. Penso che un modo per far capire che i fili che hanno portato alla trama ordinata della sua scoperta sono tutti intrecciati, sia raccontare le vite degli scienziati. Molto spesso conosciamo i nomi degli scopritori degli elementi e delle leggi della fisica e della chimica, ma non sappiamo nulla degli uomini e delle donne dietro quei nomi, delle loro aspirazioni, dei loro sogni, dei loro difetti. Vengono visti come figure quasi mitologiche e distanti dal resto dell’umanità, ma la realtà è molto diversa

Henry Cavendish, primo ad isolare l’idrogeno e a comprendere la composizione dell’aria che respiriamo, era una figura mite e schiva, che riusciva a parlare alla sua servitù tramite bigliettini e mai guardando le persone negli occhi. Conduceva le sue ricerche in totale solitudine e si racconta che quando un giorno una cameriera entrò per errore nella sua stanza, egli rimase così sconvolto da quella inaspettata presenza da licenziarla in tronco. 

Robert Bunsen, professore amatissimo dai suoi studenti, che avevano raccolto tutti gli aneddoti divertenti della sua vita nell’opera Bunseraria, era solito usare la sua invenzione, il famoso “becco di Bunsen” per controllare la composizione del tabacco dei suoi sigari cubani, per assicurarsi che il venditore non lo stesse truffando con robaccia a buon mercato. 

Lise Meitner, che scoprì il protoattinio e a cui è stato dedicato il Meitnerio, ebbe un ruolo fondamentale nella divisione dell’atomo, ma per tutta la vita le fu negato il riconoscimento del suo lavoro, tanto che fu il suo collega Otto Hahn ad ottenere il premio Nobel, mentre a lei toccarono per lo più lavori sottopagati. 

Dopo aver parlato dei protagonisti delle scoperte, si può parlare dell’origine dei nomi. Se Polonio e Americio ci riconducono immediatamente alle terre che hanno dato i natali a Marie Curie e Seaborg, ci sono nomi più oscuri e dal significato meno immediato, come ossigeno, che deriva da  ὀξύς, (oxýs) “acido” e la radice γεν-, (ghen-), che significa “generare”, perché al momento della denominazione si riteneva erroneamente che entrasse nella composizione di tutti gli acidi. I nomi più antichi sono associati a divinità e pianeti, mentre i nomi più moderni hanno un filo che li collega alle scoperte più recenti del periodo, come il Palladio, che è legato all’asteroide Pallade, individuato nel 1802, un anno prima dell’elemento. 

Il nome dell’elemento 27, il cobalto, deriva dal greco κόβαλος (cobalos) che significa “folletto”, spirito dispettoso. Il nome potrebbe essere stato dato da alcuni minatori che, cercando l’argento, trovarono invece un metallo decisamente meno prezioso, il cobalto appunto, incolpando della cosa qualche coboldo dispettoso. A volte il nome si riferiva proprio al posto in cui l’elemento era stato scoperto, come l’elemento stronzio, nome che si ispira a Strontian, un villaggio della Scozia e il cui nome deriva dal gaelico e si può tradurre con “promontorio della collina delle fate”. In ultimo, ci sono i nomi che sono assegnati a richiamare una proprietà dell’elemento, come rubidio, che deriva dal colore rosso scuro per gli antichi, “rubidus” oppure il rodio, che richiama il greco ροδον (rhodon), dal colore rosa dei suoi sali, o ancora il mercurio, ὑδράργυρος (hydrargýros) che significa “argento liquido”.

Da quando la scoperta di nuovi elementi chimici avviene in laboratorio, dove sono stati prodotti artificialmente, sono sorte nuove esigenze per l’assegnazione di nome e simbolo. Anche il processo di denominazione degli elementi è interessante da comprendere, così come è interessante comprendere come funziona la IUPAC, acronimo per “Unione internazionale di chimica pura e applicata” e che ha risolto anche diverse controversie nazionalistiche circa i nomi degli elementi. Un esempio è la denominazione del rutherfordio. In tempo di guerra fredda, anche la scoperta di un nuovo elemento poteva essere fonte di orgoglio nazionalistico e dimostrazione di superiorità. I sovietici sostenevano di averlo sintetizzato per primi l’elemento 104 e proposero il nome “kurchatovio”, in onore di Igor’ Kurčatov, ex capo della ricerca nucleare sovietica, oppure il nome “dubnio” poiché la scoperta era stata fatta vicino a Dubnia. Gli Stati Uniti d’America, che a loro volta si attribuivano il merito della scoperta, proposero rutherfordio in onore di Ernest Rutherford, premio Nobel per la chimica 1908. A lungo l’elemento 104 ebbe quindi due nomi, finché la IUPAC non decise di dirimere la questione. 

Anche se alla IUPAC a volte sfugge qualcosa. Sembra che Seaborg propose come simbolo per il Plutonio alla IUPAC non “Pl”, bensì “Pu”, corrispondente al verso fatto da un bambino di fronte a qualcosa di maleodorante Gli piaceva infatti immaginare che tale nuovo elemento avesse un cattivo odore: pensava che tale burla sarebbe stata bocciata, invece è diventato il simbolo che troviamo ancora oggi per l’elemento 94. Un ultimo consiglio che mi sento di dare è quello di spiegare il risvolto pratico di ogni elemento. Perché è facile parlare di età del rame ed età del bronzo, trovando una correlazione evidente tra stagno e rame e sviluppo dell’umanità. Esistono però elementi che utilizziamo ogni giorno senza saperlo, dallo zolfo che ci permette di avere oggetti in gomma che non si sciolgono al caldo e si sbriciolano al freddo, allo stronzio che si utilizza nei fuochi d’artificio colorati di rosso, al magnesio che ci ha regalato le prime foto con flash, al manganese che ci permette di ottenere leghe particolari su cui possono viaggiare treni ad alta velocità. Insomma, c’è tanto da narrare e intrecciare, a volte con collegamenti noti, altre volte con storie intriganti e curiose e che spesso sforano più in leggende e aneddoti…ma contribuiscono comunque a segnare i confini della nostra mappa del tutto: la tavola periodica. 

Lettura consigliate

  • Mendeleyev’s dream, the quest for the elements, Paul Strathern, Penguin Books, 2000, racconta del passaggio tra alchimia e chimica, culminando nella scoperta di Mendeleev;
  • Cracking the elements, Rebecca Mileham, Cassel Illustrated, 2018, una raccolta con molte immagini e disegni di tutti gli elementi conosciuti e del loro utilizzo;
  • The elements, a visual history of their discovery, Philip Ball, Thames & Hudson, 2021, dall’alchimia alla scoperta degli atomi più pesanti, storia, tavole e illustrazioni mettono ordine nella scoperta degli elementi;
  • Antimony gold and Jupiter’s wolf, how the elements were named, Peter Wothers, Oxford University press, 2019 racconta la storia dell’origine dei nomi degli elementi, il loro uso (antico e moderno) e diversi aneddoti interessanti;

L’autrice

Eva Munter, su Instagram è Chimica in pillole.