News Secondaria di secondo grado Arte

Uno sguardo sulla Biennale di Architettura 2023

di  Veronica Rodenigo

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Chiude il 26 novembre la diciottesima Mostra Internazionale d’Architettura di Venezia affidata alla curatela della ghanese Lesley Lokko. Titolo prescelto: “The Laboratory of the Future” che negli intenti si prefigge di restituire voce “a quella diaspora d’origine africana – per usare le parole della curatrice – che oggi abbraccia il mondo” stimolando riflessioni politiche scomode, rivendicando pari opportunità per quella parte del globo sino ad ora inascoltata.

Per farlo Lokko, tra gli 89 partecipanti invitati, si affida a pochissimi nomi noti (Francis Kerè, David Adjaie) di cui la metà proveniente dal continente africano con un’età media di 43 anni. Molte sono le figure esordienti o non propriamente legate alla pratica architettonica. Le tematiche poste in evidenza sono forti come la critica ai paradigmi della vita occidentale, la decarbonizzazione e la decolonizzazione, il tema ambientale. Il risultato però è avaro di risposte. 

Arsenale e Padiglione Centrale ai Giardini 

È in questi spazi che solitamente si declina il concept curatoriale ma quest’edizione tralascia quasi completamente il progetto, con qualche eccezione, come nel caso della parata di maquette lignee rappresentative dei lavori di David Adjaie, al Padiglione Centrale. A fare la parte del leone sono difatti perlopiù installazioni e video multimediali su grandi monitor che restituiscono, spesso in chiave documentaristica, ricerca storica, sociale ed economica, report d’indagini sul campo che incrociano analisi del territorio e data journalism, l’interpretazione artistica di storie, fenomeni, costumi, scenari distopici.

Felice risulta l’approccio di Francis Kéré che mette in scena una chiara sintesi tra modi di costruzione tradizionali e incongruenze del moderno ricostruendo un accogliente spazio domestico per la casa africana del domani, in cui l’abitante possa riconoscersi. La nigeriana Mariam Kamara restituisce invece su pareti tinteggiate di marrone a tutt’altezza sezioni, piante e prospetti tratteggiati con il gesso di edifici storici alternati a elementi decorativi di finestra e schemi dei suoi progetti. 

Il Padiglione Italia 

La scelta della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della cultura è caduta quest’anno sul giovane collettivo Fosbury Architecture (Giacomo Ardesio, Alessandro Bonizzoni, Nicola Campri, Veronica Caprino, Claudia Mainardi). Con il titolo “Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri” il padiglione presenta nove interventi site specific di riqualificazione distribuiti da nord a sud della Penisola.

Interventi eterogenei e su tessuti fragili che richiedono reti transdisciplinari, competenze sempre più fluide, la messa in atto di relazioni tra persone e luoghi e, soprattutto, un nuovo modo d’interpretare e svolgere la professione. Si passa così dalla riattivazionie attraverso installazioni sonore e luminose degli spazi sotterranei del rifugio antiaereo Kleine Berlin a Trieste alle trasformazioni temporanee dei tetti di Taranto; dalle pareti di chiese che si fanno palestre di arrampicata (Marghera, Venezia) a possibili riattivazioni di processi legati a edifici incompiuti (Ripa Teatina, Chieti). Il tutto restituito attraverso installazioni (anche sonore) che puntano su evocazione e astrazione. 

Le Partecipazioni nazionali

Quest’anno sono in tutto 63 distribuite, come di consueto, tra Giardini, Arsenale e centro storico. Difficile cimentarsi in un’esplorazione esaustiva ma per orientarsi suggeriamo una possibile piccola classifica. Tra quelli da salvare si segnalano il Padiglione della Lettonia (piccolo supermarket con i 506 Padiglioni nazionali delle ultime 10 edizioni esposti come prodotti. Provocatorio, colorato, spiazzante), il Cile (250 eteree sfere di vetro, montate su sottili steli in ferro accolgono altrettanti germogli da una Banca dei Semi cilena), la Grecia (un catalogo ragionato di dighe, riserve e laghi artificiali capace di comunicare il senso dell’architettura pubblica).

Tra quelli che non ci hanno convinto segnaliamo Paesi nordici, Santa Sede (sull’Isola di San Giorgio), Messico, Australia e Francia. Lo storico padiglione ai Giardini con “Ball Theater” propone un teatro in cui si cimentano performer e drag queen. Innegabile che il risultato sia divertente sebbene il rischio che s’insinui un dubbio nella mente del visitatore c’è. Se davvero è questo Laboratorio del Futuro venire a Venezia non serve. Parigi va più che bene. 

Per approfondire 

In copertina: atelier masōmī (Mariam Kamara), particolare della partecipazione nella sezione “Force Majeure” al Padiglione centrale dei Giardini – Foto © Fabio Oggero