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Dal bestseller al blockbuster | H.G. Wells, La guerra dei mondi

di Anna Però

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Un narratore prediletto dal cinema

La fantascienza è un genere narrativo molto amato dal cinema, fin dai suoi esordi, e le opere di Herbert George Wells sono tra quelle portate più frequentemente sul grande schermo. Il motivo di tanto successo è subito chiaro se si scorrono alcuni dei suoi titoli: La macchina del tempo, L’uomo invisibile, La guerra dei mondi…Wells ha trasposto in narrativa, spesso per la prima volta, alcuni tra i temi più forti dell’immaginario umano.

La Guerra dei mondi, in particolare, affronta l’ipotesi di un confronto/scontro tra terrestri e alieni, e conserva intatta la sua attualità, visto che ancora nel 2019 ha ispirato ben due serie televisive. Mi concentrerò però qui su due riletture cinematografiche precedenti, e in particolare sul rapporto tra la storia e il contesto in cui è stata raccontata, dal momento che quelli di Wells non sono mai romanzi di pura evasione, ma profonde riflessioni sulla società e sul comportamento umano.  

La guerra dei mondi

Scritto nel 1897, La guerra dei mondi (The War of the World) è chiaramente ispirato alle teorie evoluzionistiche di Charles Darwin, che Wells aveva conosciuto seguendo da studente le lezioni del convinto darwinista Thomas Henry Huxley (nonno dello scrittore Aldous Huxley). L’invasione della Terra da parte dei Marziani viene infatti descritta come un fenomeno di normale sopraffazione da parte di una specie più evoluta tecnologicamente ai danni di una inferiore.

L’autore conduce inoltre un’acuta critica del colonialismo, proponendo spesso l’analogia tra il comportamento dei Marziani e quello degli Europei del suo tempo, impegnati a sfruttare e distruggere interi popoli considerati “non civilizzati”, come gli aborigeni della Tasmania, sterminati nel corso dell’Ottocento dai colonizzatori inglesi.   

Dalla bomba atomica ai terroristi 

Il film La guerra dei mondi, diretto nel 1953 da Byron Haskin, riflette fortemente i tratti della società americana degli anni Cinquanta in cui è stato girato: lo scontro con gli alieni viene narrato come se fosse una terza guerra mondiale, dando grande risalto alle operazioni  militari e tattiche, che culminano nel lancio, da parte degli USA, di una bomba atomica. L’ordigno risulta inefficace ma, in una visione scandalosamente edulcorata della realtà e a pochissimi anni dai disastri di Hiroshima e Nagasaki, produce come unico effetto collaterale un po’ di polvere bianca.

Il protagonista è uno scienziato che ha partecipato al progetto Manhattan, sorretto da una solida fede in Dio, e il taglio narrativo fa pensare che l’attacco marziano alla Terra possa essere una punizione divina per l’arroganza umana. Le prime scene della Guerra dei mondi di Steven Spielberg (2005) ci trasportano in un’America completamente diversa, ancora traumatizzata dagli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. I Marziani agiscono proprio come terroristi, colpendo senza preavviso e senza un motivo razionale persone comuni come il protagonista, interpretato da Tom Cruise, che non possiede alcuna conoscenza o qualità peculiare e spesso cede alla disperazione.

In questa versione della storia non c’è nessun messaggio divino da cogliere, e vengono riproposti alcuni spunti sociologici presenti nel romanzo di Wells: nelle situazioni estreme gli uomini reagiscono o con la solidarietà o, più spesso, con la spietatezza dettata dall’istinto di sopravvivenza. Il protagonista si spinge infatti fino ad uccidere per salvare se stesso e la figlia. Se la civiltà crolla, ritorna a dominare la legge del più forte. 

Finale a sorpresa

Entrambe le trasposizioni cinematografiche conservano, oltre all’idea generale, anche la conclusione del romanzo di Wells: i Marziani non vengono sconfitti, ma muoiono di morte naturale, contaminati dai virus e dai batteri terrestri. Nel film del 1953 tale fatto viene letto come un segno della provvidenza divina, che ha creato quei minuscoli esseri proprio perché sconfiggessero gli invasori.

La versione del 2005, citando alla fine, fuori campo, un passo del libro, propone piuttosto un’esaltazione del valore dell’umanità, che ha guadagnato il diritto di vivere sulla Terra, pagando il prezzo di miliardi di morti per potersi evolvere e resistere a quei microorganismi che hanno decimato i Marziani, “perché gli uomini non vivono o muoiono invano”.

Wells, meno idealista e retorico dei produttori hollywoodiani degli anni Cinquanta e Duemila, con la sua geniale e spiazzante conclusione voleva certo dimostrare l’assoluta piccolezza dell’Homo sapiens, che ha l’unico pregio, rispetto alle infinite specie estintesi, compresi i Marziani, di essersi adattato meglio all’ambiente terrestre.    

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