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Le cose che fanno la scuola

Salutare una quinta con il tempo e le parole giuste

di  Maria Condotta

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Quando si arriva alla fine della classe quinta, si sente forte che qualcosa sta cambiando.

I bambini non sono più quelli dell’inizio: non nel corpo, non nei gesti, non nello sguardo.

E anche noi insegnanti ci accorgiamo che si è compiuto un cammino. 

Lento, quotidiano, imperfetto, ma pieno.

È facile, in queste ultime settimane, farsi prendere dalla tentazione di recuperare le ultime cose lasciate indietro, correre e correre per riempire gli spazi vuoti.

Ma in fondo, lo sappiamo: non è questo che serve davvero.

Non è così che si accompagna qualcuno alla fine di un ciclo importante.

Fermarsi a guardare insieme il percorso

Le ultime settimane possono diventare un tempo prezioso, se decidiamo di non correre, ma di fermarci a guardarci negli occhi.

Per riconoscere la strada fatta.

Per ascoltare i bambini mentre raccontano come sono cambiati in questi anni.

Per dare voce ai pensieri profondi, a ciò che spesso resta in fondo al quaderno o non trova spazio nelle ore strette delle giornate.

Possiamo farlo attraverso la scrittura, per riuscire a far sentire la voce di tutti.

Scrivere per lasciare traccia

Scrivere, in questo momento, è un modo per lasciare qualcosa.

Un modo per salutare, per ricordare, per tenere con sé un pezzetto di ciò che si è vissuto.

Ogni bambino può raccontare un momento importante, un cambiamento, un ricordo che vorrebbe conservare.

Possiamo anche proporre un piccolo progetto di classe: scegliere insieme i testi più belli scritti nei cinque anni, quelli che hanno lasciato il segno, e raccoglierli in un fascicolo. 

Una sorta di antologia di classe, una memoria condivisa.

Possiamo far scrivere una lettera a sé stessi e fargliela recapitare qualche anno più tardi.

E poi, perché no, proporre anche una poesia.

 

Ci si potrebbe ispirare a “Le cose che fanno la domenica” di Corrado Govoni:

L’odore caldo del pane che si cuoce dentro il forno. 

Il canto del gallo nel pollaio. 

Il gorgheggio dei canarini alle finestre. 

L’urto dei secchi contro il pozzo e il cigolìo della puleggia. 

La biancheria distesa nel prato. 

Il sole sulle soglie. 

La tovaglia nuova nella tavola. 

Gli specchi nelle camere. 

I fiori nei bicchieri.

(…)

 

 e scrivere insieme una poesia corale o personale che si chiami: “Le cose che fanno la scuola”

Questo tipo di scrittura funziona perché è semplice, autentica, vera e i bambini riescono a metterci dentro le cose che contano.

Non serve fare di più. Salutare una quinta non vuol dire aggiungere. Non serve preparare grandi discorsi o inventarsi effetti speciali.

Serve esserci, fino in fondo. 

Con il tempo giusto, con uno sguardo attento, con lo spazio per i ricordi.

Chiudere bene un ciclo è anche un modo per aprire bene quello che verrà dopo. E i bambini lo sentono.

Per questo, in questo tempo finale, proviamo a non rincorrere i contenuti.

Restiamo nel presente.

Insegniamo loro che anche la fine può essere un tempo bello.

Fatto di parole che restano, di gesti semplici, di una scuola che lascia il segno e sa lasciare andare.