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Una parola non vale l’altra - Esiste davvero la generazione “20 parole”?

Esiste davvero la generazione “20 parole”?

di  Beatrice Cristalli

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Dare i numeri

Questa storia dei giovani che sanno sempre meno vocaboli è ciclica. Della “generazione 20 parole” se ne parla ormai da molti anni, non senza pochi allarmismi riguardo al presunto impoverimento lessicale e all’uso ridotto delle forme linguistiche più complesse. Ma davvero è tutta colpa del digitale? Quanti termini dovrebbe possedere uno studente o una studentessa della scuola secondaria di secondo grado? In principio fu un articolo de la Repubblica del 2010, intitolato proprio “La generazione venti parole”, dedicato a una ricerca condotta da Tony McEmery, un linguista dell’Università di Lancaster, che, dopo aver analizzato il linguaggio dei ragazzi sul web, è giunto alla conclusione che i giovani del tempo, ovvero i Millennial (nati e nate tra il 1980 e il 1996), utilizzano solo 800 vocaboli «di cui appena 20 monopolizzano un terzo delle conversazioni».

La questione è così cara a lettori e lettrici da essersi trasformata nel tempo in un appuntamento fisso per fare il punto della situazione con le nuove adolescenze, in particolare con la Generazione Z, relativa ai nati e alle nate tra il 1996 e il 2010. Vi dice qualcosa la ricerca di Tullio De Mauro condotta negli anni Settanta? In rete circola una vera e propria bufala secondo cui il linguista avrebbe affermato che già al tempo gli adolescenti fossero poverissimi di lessico e conoscessero dalle 600 alle 700 parole. Dichiarazione smentita. La ricerca, infatti, non esiste, ed è lui stesso a ricordarlo nel saggio L’educazione linguistica democratica (Laterza, 2022): «600 parole è il patrimonio lessicale minimo di un bambino treenne». Cosa ci insegna tutto ciò? Ogni nuova generazione è additata dal mondo degli adulti come “responsabile” di un decadimento linguistico. 

Chi ha paura dello slang?

Se è vero che si perdono molte parole (nell’uso), è altrettanto vero che se ne acquisiscono molte altre. La lingua, poi, cambia nel tempo. Pensiamo solo ai neologismi, ai calchi e ai prestiti linguistici che la rete ha contribuito a diffondere e che, talvolta, sono finiti nel “retino” del gergo generazionale: lo slang. Dobbiamo averne paura? Infetterà la lingua italiana? Nient’affatto. Ai giovani, allo slang stesso, non interessa proprio avere un contatto con la lingua nel senso che comunemente gli attribuiamo, ovvero “quella dei dizionari”. Intanto, i linguaggi giovanili (che sono tanti, non uno solo) sono una varietà dell’italiano, quindi un sottogruppo con precise caratteristiche sociolinguistiche che riguarda soprattutto − ma non esclusivamente − la fascia anagrafica giovanile.

In altre parole, fanno parte del sistema lingua, esattamente come i linguaggi specialistici, l’italiano aulico o quello burocratico. Lo slang, dunque, abita da sempre il nostro sistema di comunicazione, anche e soprattutto perché ha una funzione ben precisa: la formazione dell’identità di una comunità, quella degli adolescenti. La maggior parte delle innovazioni linguistiche dello slang rimane interna allo slang stesso, anche se può accadere che qualche elemento di un gergo vada a finire nella lingua comune, ma non senza un’attenta osservazione e archiviazione delle occorrenze da parte di un comitato scientifico. Lo slang arricchisce prima di tutto sé stesso e poi eventualmente la lingua. Avete ancora paura?

Spunti didattici

Per stimolare ragazze e ragazzi ad approfondire l’evoluzione della lingua oggi e le caratteristiche della comunicazione onlife, ti suggeriamo un’attività da proporre in classe, ispirata ai contenuti trattati nel capitolo 8 del saggio di Vera Gheno dal titolo L’antidoto (Longanesi, 2023).

  • Avvia un dibattito a partire da questa domanda: “Che lingua usiamo online?”.
  • A questo punto, prepara 6-7 affermazioni di giudizio, ad esempio “La lingua che usiamo in rete è semplificata” oppure “La lingua che usiamo in rete è povera lessicalmente”. Per ciascuna affermazione chiedi alla classe di riportare almeno un esempio tratto da un social network, come un commento o una didascalia. 
  • Gli studenti e le studentesse, in gruppetti di 3, si posizionano vicino a uno dei giudizi scritti sulla LIM ed esprimono il loro giudizio sull’affermazione. Possono essere d’accordo oppure no, l’importante è spiegare il perché. Dopo 6/8 minuti di discussione si cambia postazione e quindi muta anche il contenuto delle argomentazioni.