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“Non sono razzista, ma…”: il razzismo di oggi e di ieri

Il caso degli Stati Uniti e un’indagine italiana
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Secondaria di 2° grado - Storia

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Le proteste scoppiate in più città americane in seguito alla morte di George Floyd, il 25 maggio del 2020, hanno riportato il movimento Black Lives Matter al centro dell’attenzione dei media internazionali. 

Fondato nel luglio del 2013 negli USA per poi diffondersi anche oltreoceano, il movimento attivista BLM (Black Lives Matter letteralmente “Le vite dei neri contano”) è impegnato nella lotta contro il razzismo perpetrato a livello sociale e politico verso le persone nere. 

Le recenti elezioni presidenziali americane hanno scoperchiato un calderone di razzismo e suprematismo bianco ancora estremamente radicato nel paese e acuito dalla crisi, accentuata negli ultimi mesi dall’emergenza sanitaria. 

Le tensioni a sfondo razziale non sono però nuove negli Stati Uniti…

Un passo indietro: “For white only”

In molti stati meridionali degli USA, fino agli Sessanta del Novecento, erano in vigore legislazioni segregazioniste. Il razzismo segregazionista americano era un misto di convincimento ideologico della supremazia dei bianchi e di differenzialismo razziale, basato sull’idea che le presunte “razze” prosperano meglio se non si mescolano.

Fondamentale, per superare lo stato delle cose, è stata l’azione di attivisti come Martin Luther King o Rosa Parks, che hanno dato vita a un grande movimento per i diritti civili.Ugualmente importante è stata l’opera della Corte suprema degli Stati Uniti che, un pezzo alla volta, ha smontato le legislazioni segregazioniste, dichiarandole inequivocabilmente fuori dalla legge e in contrasto con le norme supreme espresse dalla Costituzione del paese.

 

“Premesso che non sono razzista, ma…”: il razzismo in Italia

Agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso uscì in Italia una tra le prime ricerche sociologiche sul fenomeno della xenofobia e dei rigurgiti razzisti, a cura di Roberto Franchini e Dario Guidi, dal titolo significativo Premesso che non sono razzista.

Il curioso titolo alludeva alla frase che gli intervistati premettevano sistematicamente al loro discorso, nel quale emergeva l’ostilità nei confronti degli immigrati e degli stranieri in genere, visti come portatori di disordini sociali e potenziale minaccia alla sicurezza.

Nei successivi decenni, anche alla luce di un aumento importante del fenomeno migratorio, l’ostilità diffusa nei confronti dei “non italiani” è aumentata esponenzialmente, nonostante i numeri degli immigrati, come riportato dalle statistiche ufficiali, sia significativo ma tutt’altro che enorme. In altri paesi europei, per esempio, i numeri dell’accoglienza sono decisamente superiori.

Premesso che la scienza ha dichiarato che le “razze” non esistono, perché la specie umana è unica, il mondo occidentale, nel corso del Novecento, ha conosciuto essenzialmente due forme di razzismo. 

La prima è quella ideologica e biologista, che si basa sulla presunta differenza tra le “razze” umane e considera quindi quella bianca (o ariana) come superiore.

La seconda, che si è diffusa nella società multietnica a cavallo tra i due millenni, è quella differenzialistica. Essa non si basa su una dichiarata superiorità di una “razza” sull’altra, quanto sull’idea che i gruppi umani siano culturalmente “differenti tra loro”. Il che è per alcuni aspetti vero, solo che per i sostenitori di tale tesi ogni contaminazione è da considerarsi negativa (per l’uno e per l’altro gruppo), perché metterebbe a repentaglio i valori tradizionali delle società di riferimento.

Il nuovo razzismo differenzialista è ossessionato dall’idea della “sostituzione etnica”, ossia dalle convinzioni che troppi appartenenti a gruppi etnici differenti porteranno inevitabilmente alla fine delle culture nazionali. Costoro ignorano che nel corso della storia questi fenomeni sono sempre avvenuti e che noi siamo, sempre e comunque, il prodotto di una mescolanza che si

è prodotta nel corso dei tempi.

Per approfondire