Il giovane Churchill: come costruire, grazie all’esercizio dello scrivere, le basi per fare politica

«Inglese, di 25 anni, alto circa 1,70, corporatura media, cammina curvo, carnagione chiara, capelli brunorossastri, sottili baffi quasi invisibili, parla nel naso, non può dare piena espressione alla lettera “s” e non sa una parola di olandese».

Può accadere talvolta che i documenti falsi non siano meno interessanti di quelli autentici. Il testo soprastante è un manifesto nel quale il governo boero (siamo nel 1899) offrì 25 sterline per riprendere “vivo o morto” un prigioniero di guerra da poco evaso. Si trattava del giovane Winston Churchill, che per tutta la vita ritenne il documento autentico: ma l’esegesi dei caratteri intriseci (la firma del funzionario, non corrispondente al dovuto) ed estrinseci (i caratteri di stampa, diversi da quelli in uso nel 1899) ha oggi dimostrato che si trattava di un falso. Rimangono oscure le ragioni che spinsero gli ignoti autori a produrre il documento inautentico, ma è assodato che proprio da quell’episodio Churchill trasse il propellente (cioè la fama e il denaro) necessario a lanciarlo nella carriera non solo politica ma anche letteraria, quest’ultima coronata dal Nobel conseguito nel 1953.

Il padre, Lord Randolph Churchill, parlamentare alla Camera dei Comuni, era defunto il 24 gennaio 1895. Per superare il trauma, il giovane Winston aveva deciso di emulare la carriera paterna e si era arruolato (come ufficiale, dato il rango della famiglia) in un reggimento stanziato in India. La vita militare doveva essere una parentesi verso altre vette, come Winston scrisse alla madre nell’agosto 1895: «È un bel gioco da giocare, il gioco della politica, e vale la pena di aspettare una buona mano prima di darci dentro davvero […]. Più conosco la vita militare, più mi piace, ma mi convinco anche sempre di più che non è il mio métier».

Durante il servizio, Churchill riuscì a studiare sia alcuni classici della letteratura inglese, sia la legislazione e gli atti parlamentari: la frequentazione di questi documenti lo invogliò ad intraprendere una carriera parallela a quella militare, quella di giornalista specializzato nelle corrispondenze di guerra. Nel contempo partecipò a due campagne militari, acquisendo fama grazie al coraggio dimostrato e, soprattutto, decidendo di ampliare i suoi resoconti giornalistici e trasformarli in quelli che oggi si chiamano instant book, ossia narrazioni letterarie legate ad avvenimenti di cronaca recente. Così, in una lettera alla madre del gennaio 1898, Churchill descrisse l’imminente uscita del suo primo libro, The Story of the Malakand Field Force, sulla guerra indo-afghana: «La pubblicazione del libro sarà di certo l’atto più rimarchevole della mia vita. Fino a questo momento (ovviamente). Misurerò in base a come verrà accolto la possibilità di un mio eventuale successo nel mondo […]. Se sarà gradito, allora tutto potrebbe andare bene».

Il libro ebbe successo, e ne seguirono altri dello stesso tenore. Churchill decise che era giunto il momento di dimettersi dall’esercito e dedicarsi solo alla scrittura, nell’attesa delle imminenti elezioni. Era in Sudafrica come giornalista, quando fu coinvolto in un combattimento tra Inglesi e Boeri al quale partecipò, venendo catturato e poi riuscendo a evadere. Le modalità della fuga (attraversò quasi 500 chilometri di territorio nemico senza bussola, cibo e armi) lo resero una celebrità mediatica e dal quel momento divenne il corrispondente di guerra più pagato al mondo. I suoi instant book andavano a ruba.

Dall’inizio della carriera giornalistico-letteraria fino al 1901, Winston Churchill guadagnò più di un milione di sterline odierne; i proventi gli consentirono di finanziare la campagna elettorale che, nell’ottobre 1900, lo portò alla Camera dei Comuni; e la popolarità gli procurò un bacino di elettori che da allora lo seguì in 60 anni di vita politica.

Le citazioni sono tratte da:

  • Winston Churchill, Privata e confidenziale. La vita attraverso le lettere ad amici e familiari, (a cura di James Drake e Allen Packwood), Torino, UTET 2024;
  • Andrew Roberts, Churchill. La biografia, Torino, UTET 2020.

Connettere passato e presente con le conoscenze dei processi di trasformazione

Introduzione 

Costruire cultura storica, potenziare abilità, competenze e concetti fondanti, motivare gli allievi, renderli partecipi della costruzione del loro sapere, favorire lo spirito critico, far comprendere che la società in cui viviamo è il frutto di storie effettive svoltesi in periodi diversi, questo è il compito impegnativo che gli insegnanti devono realizzare.

La lezione frontale, più o meno dialogata, il manuale, generalmente ponderoso e di difficile comprensione e qualche sporadico laboratorio, sono gli strumenti di una mediazione didattica ricorrente e poco gratificante per gli allievi che continuano a sentire la storia come una disciplina lontana dai loro interessi, solo da memorizzare. Non trascurabile poi è la delusione degli insegnanti nel momento della verifica sia orale che scritta.

Nel terzo anno, a detta degli insegnanti, l’attenzione aumenta, il Novecento, li incuriosisce, vogliono sapere e capire cosa è successo. Il passato “recente” serve per capire il presente in cui vivono, possono così seguire alcuni programmi televisivi, film e documentari con maggior consapevolezza.

Il presente 

L’indicazione che gli allievi ci suggeriscono è chiara: partire dai loro interessi, dall’analisi del presente vissuto, dai problemi del mondo di oggi per poi andare alla ricerca delle radici di caratteristiche del mondo attuale. Si tratta di guardare al passato, in modo problematico scegliendo le trasformazioni, i grandi cambiamenti avvenuti che hanno dato origine al nostro mondo. 

Cosa intendere per processi di trasformazione 

Per processi di trasformazione, intendiamo mutamenti consistenti che riguardano una parte ampia, significativa dell’umanità, si svolgono in tempi lunghi, e in spazi ampi. Trasformazioni che hanno modificato le caratteristiche delle civiltà e che sono visibili, rintracciabili nel modo di vivere e pensare del nostro mondo

Un esempio significativo di processo di trasformazione è la diffusione del cristianesimo nel mondo occidentale. Il messaggio evangelico, la proposta di vita, la dottrina e l’organizzazione della Chiesa cristiana sconvolgono il mondo romano, impongono una visione del mondo nuova. La diffusione e il radicamento è avvenuto in molti secoli e ha coinvolto comunità asiatiche, africane e l’intera Europa. Il cristianesimo va trattato non come un evento, ma come un processo.

Il processo di trasformazione non è identificabile con le rivoluzioni, eventi spesso violenti, improvvisi e sconvolgenti. A volte le rivoluzioni possono costituire un evento significativo in un processo, una fase importante in una sequenza che ha prodotto un mutamento decisivo.  Per affrontare in classe il processo di trasformazione è necessario che siano rispettati alcuni passaggi metodologici o fasi che indico in modo schematico:

  1. La tematizzazione è la fase iniziale e complessa che precisa l’argomento, stabilisce se la trasformazione è prevalentemente tecnologica, politica o economica, sociale o religiosa, indica il tempo/ periodo di inizio e di fine del processo.
  2. Descrizione della situazione iniziale per conoscere ciò che sta prima del processo, il contesto e riconoscere poi la trasformazione. 
  3. Descrizione della situazione finale risultata dalla trasformazione. 
  4. Confronto fra le due situazioni per cogliere il mutamento e le permanenze e di porre problemi (quali fattori hanno favorito la trasformazione?) 
  5. La problematizzazione esige la ricostruzione del processo per ottenere alcune risposte. 
  6. La narrazione dei fatti accaduti, organizzati in fasi temporali, spiega il processo. La selezione dei fatti deve essere oculata, non tutti i fatti riportati dal manuale servono per spiegare la trasformazione. 
  7. Il ritorno al presente conclude il processo di insegnamento e di apprendimento. È essenziale per capire perché il mondo di oggi è così come lo conosciamo e viviamo. L’analisi del presente deve costituire la motivazione per la ricerca nel passato e può avvenire anche nella fase del confronto. 

Quanti, quali? 

Nella scuola secondaria di primo grado le cinquanta ore annuali assegnate alla disciplina obbliga l’insegnante a fare una scelta delle conoscenze da insegnare e far apprendere? Tutto il manuale non può essere svolto e il salto di un tema o più, non deve angosciare né insegnanti né genitori.  

L’insegnante deve selezionare le conoscenze che ritiene importanti, ineludibili in rapporto ai concetti fondanti e interpretativi che pensa di costruire, deve tematizzare processi di trasformazione che siano in relazione tra loro e con il presente. Cinque o al massimo sei processi per ogni anno scolastico.  Non si tratta di abbandonare il manuale, ma di procedere alla costruzione di unità di apprendimento che diano visibilità ai processi di trasformazione che hanno costruito il mondo di oggi.

Indico come esempio alcuni processi possibili individuati sulla base degli indici dei manuali: Dalla organizzazione politica economica dell’Impero Romano nel V secolo, a quella del Sacro Romano impero carolingio nel IX sec., oppure, Dai Regni romano barbarici all’Europa di oggi, Dalla villa romana alla curtis medievale

In seconda si può proporre: Da una economia mediterranea ad una economia atlantica dal XIV al XVII sec., La rivoluzione scientifica del XVII sec. da un mondo tolemaico a una visione scientifica galileiana, Dall’unità della chiesa cattolica romana, alla frammentazione delle chiese riformate.

Dalla servitù della gleba ai diritti dei cittadini XVIII -XX sec. 

In terza la Rivoluzione industriale nelle sue diverse fasi è il grande processo che cambia il mondo. Più politici i processi di Decolonizzazione e Dai totalitarismi all’affermarsi delle democrazie.

Ma si potrebbe sfidare gli alunni a individuare processi di trasformazione che non sono trattati dalla manualistica: ad esempio, come mai ci sono orologi meccanici e orologi al polso nel mondo attuale, oppure come mai abbiamo il problema della “plastificazione del mondo”? Quando è avvenuta l’invenzione e la diffusione di orologi meccanici e di materie plastiche? Come hanno cambiato la vita sociale ed economica? 

Fact Checking | Giustiniano, grande uomo o bugiardo senza pietà?

Questione di… punti di vista

L’immagine che la Storia ci consegna di alcuni grandi personaggi è spesso il frutto dei ritratti e delle descrizioni che, di quei personaggi, sono stati tracciati. Ma tutti sappiamo che ritratti e descrizioni riflettono in modo più o meno evidente il punto di vista di chi li realizza: non sono – né possono essere – pienamente oggettivi, persino quando sono opera degli storici.

E così può capitare che un medesimo personaggio venga dipinto in modi discordanti, tanto che disponiamo di ritratti benevoli e indulgenti fatti da storici concilianti e, all’opposto, ostili e severi, fatti da storici più critici, se non apertamente sfavorevoli.  

Il caso di Procopio di Cesarea

Caso del tutto singolare è però quello dello storico bizantino Procopio di Cesarea (500 ca. – 565 ca.). Frequentatore della corte di Costantinopoli e segretario del generale Belisario, Procopio nei suoi resoconti parla spesso dell’imperatore Giustiniano. E se in un primo momento lo celebra come un grande sovrano, successivamente lo critica con durezza, dipingendolo come un uomo bugiardo e spietato. Come può essere avvenuto questo cambiamento di giudizio? E qual è dunque la verità su Giustiniano?

Il buono e generoso Giustiniano

Tra il 543 e il 560 Procopio scrive due opere, la Storia delle guerre e il trattato Degli edifici, in cui Giustiniano viene lodato. In particolare nel secondo testo troviamo queste parole sul sovrano: «In questi nostri tempi regna l’imperatore Giustiniano. Egli assunse la direzione di uno Stato incurabilmente disgregato e lo rese più grande per estensione e molto più splendido, scacciandone dai confini i barbari, antichi tormentatori.» Fin qui l’elogio è sui binari canonici della celebrazione dell’uomo di Stato. Ma poi Procopio aggiunge: «Contro chi attentava alla sua persona rinunciò volontariamente all’atto di accusa, colmando invece di ogni benessere i bisognosi, usando violenza al loro destino di oppressione, tutti provvedimenti con i quali riuscì a posare esigenza di Stato e felicità.» Qui le parole dello storico assumono i toni dell’elogio personale. Forse, da uomo di corte qual è, vuole ottenere i favori dell’imperatore.

Un uomo falso e bugiardo

Pochi anni dopo, nel 565, Procopio lavora a un’opera destinata a rimanere incompiuta, intitolata Storie segrete. E qui il suo giudizio su Giustiniano cambia profondamente, tanto che di lui scrive: «Non arrossiva davanti alla gente che aveva già destinato a morte; non lasciava trapelare ira o insofferenza verso chi lo aveva offeso; al contrario, con espressione tranquilla, occhi abbassati e voce sommessa, ordinava lo sterminio di migliaia e migliaia di innocenti, la distruzione di città, la confisca di interi patrimoni. […] Preparava meticolosamente queste continue, sanguinose stragi, consultandosi con la moglie, senza lasciarsi scappare un’occasione per provocarle. […] Ecco chi era Giustiniano.»

Nel periodo in cui scrive queste righe, Procopio è ormai un intellettuale emarginato dalla corte di Costantinopoli; la sua voce, probabilmente mossa dal risentimento, copre d’infamia l’imperatore e sua moglie Teodora.

Una doppia verità

Le Storie segrete sono state più volte oggetto di discussione, tanto che per molto tempo ne è stata messa in dubbio l’autenticità. Del resto la figura di Giustiniano ha lungamente goduto di grande fama nella storiografia, soprattutto per via della sua importante riforma delle leggi, il Corpus iuris civilis. Oggi, però, non vi sono dubbi sul fatto che l’opera sia stata scritta realmente da Procopio, come certificano accurati studi filologici, che hanno riconosciuto nel testo l’inimitabile tratto stilistico dell’autore. 

Le Storie segrete vengono quindi considerate una sorta di integrazione del ritratto “ufficiale” dell’imperatore bizantino, tesa a denunciare gli aspetti più negativi della sua vita privata.

Comprendere fino in fondo chi è stato veramente Giustiniano risulta difficile e sicuramente nella sua figura convivono luci e ombre. Ciò su cui possiamo concordare è come il giudizio di Procopio risulti condizionato dalla sua alterna fortuna di uomo di corte. 

La questione abitativa

“Dove andremo ad abitare?” s’interroga il Sole 24 Ore titolando un articolo a firma di Alba Solaro del 2 dicembre che interpella Carlo Ratti (futuro curatore della Biennale Architettura 2025), l’architetto e scrittore Gianni Biondillo e l’artista tedesca Ursula von Brandeburg. Il tema: la sfida di progettare nell’era dell’Antropocene soluzioni che rispondano ad “un futuro via via più incerto e inospitale” tenendo conto di cambiamenti climatici e dello sviluppo di città che alimentano sempre più le disuguaglianze.

La trattazione esula dal tema sociale abbracciando una prospettiva più ampia e articolata, figlia del nostro tempo. 

Eppure il titolo, di primo acchito, potrebbe anche prestarsi ad affrontare un’analisi spinosa ed altrettanto attuale: quella dell’emergenza abitativa. Perché pur nell’era del nomadismo digitale il divario sociale tra chi una casa (o più d’una) l’ha sempre avuta (magari per semplice eredità), chi se la può ancora permettere e chi invece non potrà permettersela mai è sempre più ampio. E mentre social e riviste patinate ci ripropongono modelli sempre più irraggiungibili (dalle declinazioni dei vari boschi verticali a puntuali interventi di interior design nelle principali capitali europee), l’ultimo rapporto CENSIS – Cida 2024 colloca il ceto medio in un’attuale fase di deriva “caratterizzata dall’erosione delle condizioni economiche e sociali, segnata dalla perdita del reale potere d’acquisto”.

In principio furono gli IACP 

La legge n. 251 del 31.05.1903 istituì, per iniziativa dell’Onorevole Luigi Luzzatti, di fatto, quelli che un tempo erano gli Istituti Autonomi per le Case Popolari (IACP). Si trattava di enti a livello territoriale (comunale e provinciale) aventi lo scopo di realizzare e gestire “un’edilizia pubblica destinata ai meno abbienti con canoni di locazione calmierati”. Città precorritrici furono Trieste (allora ancora sotto l’Impero austro – ungarico e dove già dal 1902 esisteva un Istituto Comunale per le Abitazioni Minime) e Roma. L’effetto anche sul piano dello sviluppo urbanistico porterà a interventi che man mano cominceranno a rientrare a pieno titolo nella storia dell’architettura novecentesca. 

Il piano INA-Casa: 1949-1963

Nell’immediato dopoguerra si pose il problema non soltanto di una rapida ricostruzione ma anche di cominciare a porre rimedio a condizioni abitative ancora connotate da uno status di miseria e da una correlata disoccupazione. Nel 1949 il Parlamento italiano approvò così il progetto di legge Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, “agevolando la costruzione di case per lavoratori ossia il cosiddetto piano INA-Casa”. Una manovra, come scrive Paola di Biagi nella scheda dedicata al tema all’interno dell’Enciclopedia Treccani online orientata a rilanciare l’economia e l’occupazione, costruendo case economiche, ma anche come un dispositivo di ‘carità istituzionalizzata’ su scala nazionale, di partecipazione solidaristica di tutte le componenti sociali verso i bisogni dei più poveri.

Un piano finanziato attraverso un sistema misto che vide la partecipazione dello Stato, dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti.  

335.000 alloggi in tutto costruiti in 14 anni, distribuiti sull’intero territorio nazionale.

ATER e Social Housing oggi 

Oggi i nuovi enti territoriali (ATER, Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale) hanno preso il posto degli Istituti Autonomi Case Popolari (IACP), ma la situazione non è rosea. Come osserva Guido Montanari in un articolo de Il Giornale dell’Architettura sono gli stessi enti a dover trovare in autonomia i finanziamenti per le ristrutturazioni e per le nuove costruzioni. L’esito è l’aumento dei canoni di affitto, l’abbandono al degrado e la svendita di una cospicua parte del patrimonio immobiliare pubblico. Nonostante non esista una banca dati nazionale sul numero complessivo di alloggi popolari, si stima che gli alloggi ERP (edilizia residenziale pubblica) costituiscano circa il 4% dello stock abitativo complessivo del nostro Paese. Una percentuale che pone l’Italia agli ultimi posti in Europa”.

In questo quadro è necessario inoltre un distinguo tra edilizia popolare e Social Housing che “consiste nell’offerta di alloggi e servizi abitativi a prezzi contenuti destinati ai cittadini con reddito medio basso e che allo stesso tempo non hanno i requisiti per accedere all’edilizia pubblica popolare”. Le categorie destinate ad aver accesso a queste soluzioni (sviluppate perlopiù da soggetti privati, banche e fondazioni) sono giovani, studenti, lavoratori precari, anziani, disabili, immigrati.

Oggi la parabola evolutiva dell’immediato futuro sembra destinata ad un progressivo allargamento del divario sociale in assenza però di quegli interventi su larga scala che come ricordato, hanno segnato la storia del Novecento. E mentre le cronache recenti riportano dell’ennesimo sgombero delle Vele di Scampia (il complesso di edilizia popolare realizzato alla periferia di Napoli tra il 1962 e il 1975 su progetto di Franz Di Salvo), molte altre storie, seppur non connotate dalla stessa drammatica emergenza sociale, rimangono nella fascia grigia di un crescente disagio che sembra non fare più notizia. 

Per approfondire

Janvier en France, entre traditions et nouveaux départs

Janvier approche et avec lui un nouveau départ pour l’année ! Entre traditions culinaires et bonnes résolutions, ce mois nous offre de nombreuses pistes pédagogiques pour stimuler la curiosité de nos élèves tout en explorant la culture française.

Commençons par une tradition gourmande : la Galette des Rois ! Les origines de cette tradition sont assez floues en réalité Épiphanie : d’où vient la tradition de la galette des rois ? | National Geographic mais d’ordinaire on les associe à une fête païenne remontant à l’époque romaine et en particulier à la célébration du solstice d’hiver, pendant les saturnales. La coutume nous invite à nous réunir le jour de l’Epiphanie et à partager cette délicieuse galette tiède, fourrée à la frangipane, en autant de parts que de convives. Souvent on prévoit une portion supplémentaire, symbolisant la part que l’on pourrait réserver et offrir à une personne dans le besoin. La galette des rois est une tradition familiale.

La coutume romaine est toujours respectée : le plus jeune des invités distribue, sans les voir, les parts à chaque membre de la famille et celui qui trouvera la fève cachée dans son morceau deviendra le Roi ou la Reine et pourra s’ orner de la belle couronne dorée. Tout savoir sur la galette des rois – Edélices Et si, comme tout français, vous voulez ajouter votre touche personnelle à la tradition, imaginez une variante ! Quel ingrédient choisirez-vous à la place de la frangipane ? Invitez vos élèves à rédiger une recette simplifiée Recette Galette des Rois facile – L’atelier de Juliette, créative, révisez l’impératif et…n’hésitez pas à gouter les résultats ! L’ élève qui trouvera la fève Comment fabriquer une fève pour la galette des rois ? | Tête à modeler deviendra “roi ou reine” et pourra décider d’une règle pour la classe ce jour-là !

Nostalgiques des cartes postales et des cartes de vœux écrites à la main ? Saisissons cette nouvelle opportunité linguistique qui s’offre à nous : travaillez des expressions comme “Je vous souhaite », « j’espère que cette nouvelle année… ».Pensons à une activité de ce type : chaque élève rédige une carte de vœux en français pour un camarade, en y ajoutant un dessin ou une photo Cartes de Vœux Fantastiques à Faire Soi-Même || Cartes de Vœux Faites-Main. L’enseignant aussi peut participer en formulant une série de vœux pour la classe ! Mais en janvier, on ne se limite pas seulement à souhaiter le meilleur pour les mois à venir. On se décide, on s’engage : il est temps de parler de nos bonnes résolutions ! Vous manquez d’inspiration ? Jetez un coup d’œil à ses propositions : Bonnes résolutions pour enfants – Conseils persos – Jeux 2 Filles En général, la liste est moins longue que celle écrite à l’intention du Père Noel mais nous y mettons toute notre bonne volonté… Révisons le futur proche pour formuler nos désirs de changements, nos prises de décisions “En 2024, je vais essayer de … ! » Les élèves peuvent partager leurs bonnes résolutions et voter pour celles qu’ils pensent être les plus intéressantes, drôles ou originales.

Pour les fans de shopping, janvier, c’est aussi le mois des soldes d’hiver, très attendues en France. Profitons-en pour revoir du lexique comme “réduction”, “rabais”, “prix cassé”… « file d’attente » ! Après vous être exercés Video Quiz: Edito 4 Les soldes, c’est parti ! (fle – co – co achats), pourquoi ne pas organiser un jeu de rôle : un vendeur, un client, un caissier , un/une amie qui nous conseille et c’est parti pour une négociation en français !

Janvier est un mois parfait pour combiner apprentissage linguistique et découverte culturelle. Alors, prêts à commencer l’année en beauté ?

Il dark side dei social: la polarizzazione del pensiero e l’incomunicabilità interpersonale

Hai mai avvertito un senso di incomunicabilità o la sensazione di avere visioni diametralmente opposte rispetto ad altre persone, tanto da chiederti se venissero da un pianeta distante millemila km dal tuo?

Il fenomeno è abbastanza frequente e, fino ad un certo punto, non ha nulla di preoccupante: il fatto di catalogare concetti o ideali in macro categorie sommarie, creando una visione di “o dentro o fuori” è insita nella natura umana e ci permette di creare una rappresentazione del mondo circostante in modo semplice. Infatti, questo meccanismo dicotomico serve al cervello per processare le informazioni più velocemente, disegnando delle linee di demarcazione immaginarie.

In qualche modo, l’evoluzione ha portato ad un compromesso: perdere di vista le sfumature e la complessità dei problemi, in virtù di un vantaggio in termini di risparmio di risorse mentali. Tuttavia, secondo alcuni studi, negli ultimi anni questo fenomeno è stato acuito dall’uso dei social network. Quando reperiamo informazioni sui social, infatti, intervengono alcune distorsioni: uno di questi è il bias di conferma, ma anche fenomeni chiamati echo chambers e filter bubble. Vediamo in cosa consistono.

Cos’è il bias di conferma? Il bias di conferma è quella deformazione cognitiva che fa sì che il cervello dia maggior peso, e quindi rilevanza, alle informazioni che confermano le proprie credenze pregresse riguardo ad un certo argomento. Questo principio di funzionamento si basa su una sorta di “economia cognitiva”: la mente impiega meno energia nel confermare una credenza, piuttosto che sfatarla per costruire nuove visioni della realtà e produrre nuova conoscenza.

Il risultato è quel fenomeno per cui tendiamo a dare più rilevanza a fatti o persone che ci danno ragione, sottostimando o ignorando le informazioni che potrebbero mettere in discussione il nostro sistema di credenze. In sostanza, al cervello piace aver ragione, e noi non lo biasimiamo. Questo tipo di distorsione si potrebbe inquadrare all’interno di un errore sistematico che si insinua naturalmente nella mente di chiunque e, in una certa misura, è inevitabile! Un altro fattore rilevante, su cui potenzialmente abbiamo più controllo a condizione di averne consapevolezza, deriva dalla natura intrinseca degli algoritmi dei social network. Ma andiamo per gradi.

Come funzionano gli algoritmi dei social media? 

Il sistema di raccomandazione dei social network altro non fa che raccogliere dati sulle le nostre interazioni (i mi piace, le condivisioni dei post, i commenti, il tempo passato su ogni contenuto, i profili con cui interagiamo), immagazzinando tutte le informazioni per creare un profilo virtuale con le nostre preferenze. Grazie a tale profilazione, verranno suggeriti contenuti che hanno un alto grado di associazione con i nostri gusti (che è probabile che ci piacciano), sulla base di un principio di somiglianza con gli utenti che hanno preferenze simili alle nostre.

Se esiste un simpatico effetto collaterale di tutto ciò, è il seguente: ti piacciono i gattini? L’algoritmo ti proporrà gattini. Ti piace la pasta? Eccola servita, pasta a non finire. Tutto ciò appare innocuo finché si limita a fissazioni gastronomiche o passioni leggere, ma il problema si pone quando tocca temi più profondi come visioni politiche, traumi o questioni irrisolte. In questi casi, l’algoritmo diventa una potente cassa di risonanza (echo chamber, Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini, 2016), amplificando la tua prospettiva e facendoti credere che tutti la pensino come te. Questo avviene perché l’algoritmo è progettato per mostrarti quella porzione di internet che rispecchia le tue idee, creando quella che Pariser (2011) definisce una filter bubble, una bolla.

Questo fenomeno si manifesta senz’altro nei dibattiti online, dove prevale il principio: “O la pensi come me, o sei contro di me, e con te non posso dialogare.” È il motivo per cui, sotto contenuti che trattano temi divisivi, i commenti mostrano opinioni così polarizzate e inconciliabili da impedire una immedesimazione con altri punti di vista, come se l’altro venisse disumanizzato. Non a caso, visioni complottiste come la teoria della Terra piatta o la negazione dello sbarco sulla Luna trovano terreno fertile: chi vi crede è stato esposto continuamente a tali informazioni. E come puoi cambiare idea, se il mondo che abiti ti dà ragione?

Se ciascuno di noi fa parte di una nicchia specifica, con ideali e visioni proprie, la ritrosia a cambiare idea potrebbe essere alimentata dalla paura dell’esclusione sociale dalla nostra comunità, reale o virtuale che sia. Ne parla la teoria Spiral of Silence di Elisabeth Noelle-Neumann (1974). Il che potrebbe creare, in caso di esposizione parziale ad un punto di vista diverso dal nostro, addirittura ad una radicalizzazione ulteriore, un meccanismo di difesa per proteggere il proprio sistema di credenze e non essere percepiti come “sbagliati”. 

Ma come fanno i social ad essere così impattanti nella nostra vita?

Il concetto di mente estesa, introdotto da Andy Clark e David Chalmers nel 1998, suggerisce che strumenti come i social network, gli smartphone e persino le calcolatrici possano rappresentare un’estensione del nostro cervello. Questi strumenti, che percepiamo come esterni a noi, potrebbero in realtà funzionare come una copia o un amplificatore di ciò che già abbiamo nella mente.

Questo fenomeno rappresenta una sorta di mente che guarda se stessa, con il rischio di intrappolarci in un loop autoreferenziale. In questo scenario, interrogando i social, otterremmo le stesse risposte che darebbe la nostra mente. Con il risultato che, non solo continueremmo a porci le stesse domande, ma finiremmo anche per ottenere le stesse risposte. Ci offre ciò che vogliamo, non necessariamente ciò di cui abbiamo bisogno.

Pertanto, non si tratta di inneggiare al complottismo o demonizzare i social network: l’amplificazione delle convinzioni è probabilmente un effetto collaterale indesiderato, non una strategia deliberata. L’algoritmo ha come obiettivo unicamente mantenerci sulle piattaforme: il tempo che spendiamo sui social rappresenta la vera moneta di scambio per il loro uso. 

D’altra parte, anche i mezzi di comunicazione tradizionali, come la televisione, la radio o i giornali, adattandosi alla visione dominante su determinati argomenti o alle sue opposizioni, partecipano anch’essi all’amplificazione e alla polarizzazione del pensiero. In tal senso, il web, con la sua varietà di fonti, potrebbe, almeno in principio, addirittura creare luoghi di dibattito democratici e favorire la diffusione di nuove prospettive, riducendo potenzialmente il rischio di polarizzazione.

In definitiva, come se ne esce? La consapevolezza senz’altro permette di sfruttare il lato buono dei social, senza farci dominare da quello negativo. Continuare a creare spazi di incontro reali, in cui dibattere e scambiare esperienze ed opinioni, rimane probabilmente il modo più sano per costruire una propria idea e, talvolta cambiarla: è più facile mettersi in ascolto con un essere umano in carne ed ossa, piuttosto che con una figurina su un social network, in modo da toccare con mano che la ragione non appartiene in assoluto ad una fazione o ad un’altra, ma ad un lento convergere verso un punto comune che, se non riesce a condividere la visione dell’altro, possa almeno comprenderla. Solo così possiamo aprirci alla possibilità di cambiare idea, e ancora, renderci conto della nostra limitatezza come persone, ma complementarietà come collettività. 

Se la ragione sta solo da una parte, allora ha torto (mia cit.)

Rubrica a cura di Generazione Stem

L’autrice

Maura Coniglione, statistica economica e dottoranda in Computational Mathematics, scrivo da sempre, appassionata di psicologia e di scienze sociali; collaboro con Generazione Stem, community che si occupa di divulgazione scientifica e di diffondere la cultura di genere.

Fonti

Les 10 ans de l’attentat contre Charlie Hebdo

“Cabu, Elsa Cayat, Charb, Honoré, Bernard Maris, Mustapha Ourrad, Tignous, Wolinski, nous manquent. On nous les a enlevés, un matin de janvier 2015. Ils étaient dessinateurs, journaliste psychanalyste, correcteur et universitaire.”

Riss, dessinateur et directeur de la publication de “Charlie Hebdo”

Les 10 ans de l’attentat contre Charlie Hebdo : entre mémoire, héritage et défis contemporains

Comme les nombreux titres de Presse nous le rappellent, le 7 janvier 2025 marquera le 10ème  anniversaire de l’attentat contre Charlie Hebdo, une attaque qui a bouleversé la France et le monde entier. Ancrée dans la mémoire collective, cette page de l’histoire symbolise à la fois une attaque contre la liberté d’expression et un moment de mobilisation nationale autour des valeurs républicaines. À l’occasion de cette commémoration, la France se prépare non seulement à rendre hommage aux victimes mais aussi s’engage à réfléchir concernant l’héritage de cet événement. “Le mot qui les retient tous c’est le mot liberté” Riss | France Bleu

Une reconstruction marquante : c’était le 7 janvier 2015.

En début d’après-midi, les frères Kouachi pénètrent dans les locaux de Charlie Hebdo, armés et déterminés à « venger le prophète ». Rappelons-le, l’attaque a fait 12 morts, dont huit membres de la rédaction : les dessinateurs Cabu, Charb, Honoré, Tignous et Wolinski, la psychiatre et psychanalyste Elsa Cayat, l’économiste Bernard Maris et le correcteur Mustapha Ourrad.  L’onde de choc est immédiate. Chacun d’entre nous se souvient encore de l’incrédulité ressentie et de la forte émotion éprouvée. Trois jours plus tard, une France sidérée décide de se mobiliser et la marche républicaine du 11 janvier rassemble près de 4 millions de personnes unies autour du slogan devenu universel : « Je suis Charlie ». Contre le terrorisme, la plus grande manifestation jamais recensée en France.

Les commémorations de 2025 : entre mémoire et transmission

Pour ce 10ème anniversaire, plusieurs initiatives sont prévues à travers le pays. Plusieurs Cérémonies officielles, des hommages, sont attendus à Paris, notamment sur les lieux des attaques, avec des dépôts de gerbes et des moments de recueillement. Côté littérature, paru le 5 décembre dernier, aux éditions Les Echappés, l’ouvrage publié par Charlie Hebdo Charlie Liberté, le journal de leur vie”  nous invite à parcourir une sélection de dessins, de textes et de témoignages sur plus de 200 pages. Les dernières sont dédiées à l’ancien webmaster de l’hebdomadaire, Simon Fieschi, grièvement blessé en 2015 et décédé en octobre dernier à l’âge de 40 ans, une semaine avant que l’ouvrage ne parte à l’impression. 10 ans après l’attentat, Charlie Hebdo rend hommage à ses disparus – Image – CB News Rappelons aussi le lancement de projets éducatifs comme par exemple l’initiative proposée per la région Grand Est, en partenariat avec Charlie Hebdo, qui consiste à impliquer des lycéens dans la publication d’ un journal spécial sur la liberté de la presse. 10 ans de l’attentat de Charlie Hebdo: des lycéens du Grand Est participent à la conception d’un numéro spécial Il est stimulant de voir un tel engagement autour de ce type d’initiatives qui visent à sensibiliser les jeunes générations à l’importance de la liberté d’expression. Enfin, n’oublions pas les expositions culturelles comme celle de la Duduchothèque, espace dédié à Cabu Duduchothèque Cabu | Expositions, qui proposera une exposition spéciale sur le dessin de presse : entre humour et réflexion sur les libertés fondamentales.

Il est intéressant de voir que, dix ans après l’attentat, le débat sur la liberté d’expression et ses limites, reste vif. Si Charlie Hebdo continue à publier des caricatures provocantes, le contexte sociétal a évolué. Nous pourrions citer des changements sociétaux : l’attaque a exacerbé les tensions autour du thème de la laïcité ( en 2025, le calendrier  indiquera les 120 ans de la loi de 1905) et des rapports entre les différentes religions, tout en renforçant la lutte contre l’extrémisme. Cet héritage est un héritage complexe, entre fractures et résilience. Les débats sur l’islamophobie et la satire demeurent sensibles et les opinions concernant la laïcité divergent, surtout chez les jeunes. 

 

Si nous analysons la question sous un aspect législatif, il convient de souligner que les mesures sécuritaires ont été renforcées depuis 2015, mais certaines, comme l’état d’urgence prolongé, ont suscité des critiques sur le respect des libertés individuelles. Liberté individuelle et responsabilité collective s’exercent bien, comme l’affirmait Sartre, sous la forme d’une symbiose. Malgré les divisions, des initiatives culturelles et éducatives montrent une volonté de transmettre l’esprit de Charlie Hebdo aux jeunes générations, comme un rempart contre l’obscurantisme et renforcer ainsi la résilience collective .

Ce 10ème anniversaire est un moment clé pour honorer la mémoire des victimes tout en réfléchissant aux défis contemporains. Si nous voulons saisir cette occasion pour construire un regard vers l’avenir, face aux nouvelles menaces pesant sur la liberté d’expression,  l’enjeu à prendre en compte semblerait être le maintien de l’ équilibre entre sécurité, cohésion sociale et défense des valeurs républicaines. Un débat intéressant à lancer dans nos classes serait celui de comprendre comment préserver ces libertés fondamentales dans un monde de plus en plus polarisé . Car, comme nous l’avons documenté, en 2025, l’héritage de Charlie Hebdo ne sera pas seulement un rappel de la tragédie, mais aussi un appel à la vigilance et à la transmission des valeurs universelles.

En guise de conclusion, nous pourrions imaginer une session thématique à développer en classe autour de ce sujet “Liberté d’expression et satire : un défi éducatif”. Voici ci-dessous quelques idées qui pourraient se révéler engageantes et pertinentes. Commencez par comprendre ensemble pourquoi parler de Charlie Hebdo en classe de FLE, en insistant sur l’importance de ce thème dans la culture française an tant que pilier de la démocratie, partie intégrante de l’identité culturelle française. 

Ensuite, il serait intéressant de proposer un débat à la suite de l’ analyse d’une sélection d’ articles ou de caricatures publiés par Charlie Hebdo ou d’autres journaux satiriques français. L’ objectif pourrait être de travailler la compréhension d’articles sur la liberté de la presse tout en enrichissant le vocabulaire des élèves sur les thèmes des médias, de la politique, et des valeurs qu’ils reconnaissent comme importantes aujourd’hui. « La satire doit-elle avoir des limites ? », voici la question-clé pour stimuler les échanges d’opinion. 

Puis à travers un atelier d’analyse en groupe, la classe pourrait observer des caricatures célèbres françaises (celles de Cabu, Wolinski, ou Daumier, par exemple) et discuter de leur rôle dans l’histoire et dans l’actualité. Serait-il possible de situer Charlie Hebdo dans le contexte des Lumières et de l’héritage de Voltaire ou des révolutions françaises ? 

Ce type de session pédagogique pose les bases pour un prolongement interdisciplinaire, à travers le développement d’ une réflexion critique tout en analysant des éléments visuels et textuels authentiques. Si vous souhaitez intégrer le domaine des arts, pensez à analyser des chansons, des poèmes ou des œuvres visuelles qui défendent la liberté d’expression comme la Liberté Liberté, poème de Paul Eluard – poetica.fr de Paul Éluard par exemple “Liberté” poème d’amour devenu hymne de la Résistance | France Culture. Et concernant le numérique, une bonne piste pourrait être d’inviter vos élèves réfléchir sur la manière dont les réseaux sociaux influencent la liberté d’expression aujourd’hui.

Registrazione in P.D. delle operazioni di costituzione, acquisto e vendite da un’impresa individuale

Parole, alfabeti e liste di Natale

Il periodo natalizio è un tempo colmo di magia, di quel sapore che si può avere solo una volta all’anno: i bambini lo sanno, sono i primi a sentire quell’aria frizzante, di festa, di luci, di stupore. A Natale, gli occhi dei bambini si accendono come le luci dell’albero, e ogni cosa sembra vista dai loro occhi per la prima volta. 

Il nostro compito è proprio quello di accogliere questo entusiasmo e usarlo all’interno delle attività che proponiamo, per rendere questo periodo ancor più speciale.  Le attività che si possono fare sono davvero infinite, ma scegliendo di concentrarci su quelle che hanno a che fare con le parole del Natale, possiamo partire da alcuni spunti:

Alfabeti delle feste

I bambini e le bambine possono essere coinvolti nella creazione di alfabeti che contengano parole del Natale, in piccoli gruppi oppure in autonomia. Sarebbe bello anche creare un alfabeto di classe da appendere e continuare a riempire. Si può partire anche da una canzone, come quelle reperibili nel web. L’esercizio diventa creativo, ma anche di consolidamento dell’ordine delle lettere. 

Liste di parole 

L’esercizio di scrittura di liste è molto funzionale e anche molto divertente per bambini e bambine. Si potrebbero dare loro incipit come “Cosa serve per una festa di Natale”, oppure “Elenco di personaggi o figure legate al Natale”, “Il menù del pranzo di Natale”, “Regali per Babbo Natale”

Parole e giochi linguistici

Altri giochi possibili riguardano le attività orali e più veloci da fare, come il gioco dell’elfo alfabetico (i bambini, a turno, dicono una parola natalizia che inizia con una lettera successiva dell’alfabeto) o la catena di parole (iniziare con una parola natalizia, ad esempio “regalo” e farne seguire altre collegate dall’ultima sillaba, oppure concettualmente).

Un albo illustrato 

Tra gli scaffali delle librerie, tra le ultime uscite, troviamo un libro molto interessante: il Dizionario di Babbo Natale. A partire dalle pagine del libro, si può prendere ispirazione e invitare la classe a creare qualcosa di simile, lasciandosi ispirare dalle immagini gancio. Con i più piccoli si può completare direttamente il box accanto all’illustrazione, mentre con i più grandi è possibile far ritagliare le immagini e nel quaderno dopo averle incollate, far scrivere. Un’altra possibilità è quella invece di dare una lista di parole: a questo punto davvero servirà tanta fantasia per creare un dizionario davvero straordinario! In allegato trovate la scheda da poter utilizzare per il lavoro ispirato a questo spassosissimo libro.

il Natale porta con sé una magia speciale, una luce che si riflette negli occhi dei bambini e che accende in loro la meraviglia per il mondo. È un momento unico per trasformare la didattica in un viaggio fatto di stupore, creatività e condivisione. Coltivare lo stupore significa regalare ai bambini la capacità di meravigliarsi, di scoprire il piacere di imparare attraverso il gioco, le emozioni e l’immaginazione.

Inserire la magia del Natale nella pratica quotidiana non è solo un modo per rendere l’apprendimento più coinvolgente, ma anche per condividere sensazioni, pensieri, desideri. Che questo periodo sia per voi e per i vostri alunni e alunne, un’occasione per scoprire insieme che la vera meraviglia sta nel vivere appieno il momento, nell’imparare con gioia e nel crescere insieme.

Buon Natale e buon lavoro!