2025: Anno internazionale della scienza e della tecnologia quantistica

Il 7 giugno 2024 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2025 “Anno internazionale della scienza e della tecnologia quantistica”, riconoscendo la grandissima rilevanza dei risultati di questa scienza che ha cambiato il modo di vedere il mondo ed ha permesso notevoli progressi in campo tecnologico.

Fabio Beltram, fisico italiano, coordinatore nazionale del National Quantum Science and Technology Institute (Nqsti), in occasione del congresso Nqsti tenutosi a Roma a febbraio, ha detto:

“Le tecnologie quantistiche saranno il vero salto tecnologico di questo secolo. I computer quantistici sono solo una parte di questa rivoluzione paragonabile al salto dal vapore all’elettricità. Dalle comunicazioni ai nuovi materiali, le tecnologie quantistiche sono destinate a rivoluzionare molti settori, ad esempio la medicina, con diagnosi di tumori che potranno essere fatte già quando il tumore è di appena due cellule e non come oggi, quando di fatto si manifesta”.

Queste teorie affascinanti sono però sconosciute al grande pubblico che stima difficile comprenderne il significato.

Questo Anno internazionale, che celebra il centesimo anniversario dei primi sviluppi della moderna meccanica quantistica, di certo fornirà una preziosa opportunità per sensibilizzare soprattutto i giovani sul ruolo della scienza e della tecnologia quantistica nelle nostre vite ispirandoli a diventare la prossima generazione di pionieri quantistici.

Sebbene la teoria quantistica possa sembrare all’avanguardia, le sue radici risalgono alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo, quando gli scienziati iniziarono a rendersi conto che la fisica classica, insieme delle teorie fisiche sviluppate fino a circa l’inizio del XX secolo, non poteva spiegare certi fenomeni osservati a livello atomico e subatomico. Così brillanti e visionari ricercatori, molti dei quali provenienti dai paesi dell’Europa centrale, elaborarono le basi della teoria quantistica, una teoria che ha condotto a un profondo cambiamento della comprensione dell’universo fisico.

La meccanica quantistica spiega le proprietà delle molecole, degli atomi e dei loro costituenti ancora più piccoli, come elettroni, protoni, neutroni e quark, e descrive come queste particelle interagiscono tra loro e con la luce, i raggi X, i raggi gamma e altre forme di radiazione elettromagnetica. Consente inoltre di capire la natura dei legami chimici, le proprietà dei solidi cristallini, l’energia nucleare e le forze che stabilizzano le stelle collassate. 

La meccanica quantistica ha rivelato che alla scala atomica il comportamento di materia e radiazione è molto diverso da quello che è osservabile alla scala macroscopica, quella cioè che osserviamo tutti i giorni. I concetti della meccanica quantistica, infatti, sono spesso in conflitto con le nostre idee di buon senso, idee che sono state sviluppate attraverso osservazioni del mondo a scale più grandi. 

Mentre le leggi della fisica classica consentono di determinare esattamente come si comporteranno la materia e la radiazione, alla base della meccanica quantistica vi sono l’indeterminatezza e la casualità o l’incertezza, ma ciò non vuol dire che le previsioni sulle proprietà dei sistemi atomici e subatomici che essa consente di effettuare siano indeterminate: esse hanno evidenti conferme sperimentali. 


Max Planck
Il termine “quanto” fu usato per la prima volta da Max Planck nel 1900. Il fisico tedesco stava studiando la relazione tra il colore della radiazione emessa da un corpo riscaldato e la sua temperatura e si rese conto che le previsioni teoriche fornite dalla fisica classica erano incompatibili con i dati sperimentali raccolti. Le teorie classiche prevedevano che lo scambio di energia tra corpo riscaldato e radiazioni emesse avvenisse in modo continuo e Planck per spiegare i risultati sperimentali ipotizzò che l’energia fosse quantizzata, il che significa che poteva essere emessa o assorbita solo in unità discrete chiamate appunto “quanti”. Questa idea rivoluzionaria gettò le basi per lo sviluppo della teoria quantistica.
Nel 1905, Albert Einstein utilizzò l’ipotesi quantistica per spiegare l’effetto fotoelettrico, un fenomeno che avviene quando la luce colpisce un materiale metallico e questo rilascia elettroni. La teoria ondulatoria della luce non riusciva a spiegare perché la luce al di sotto di una certa frequenza, indipendentemente dalla sua intensità, non riuscisse a espellere elettroni. Einstein propose che la luce stessa fosse composta da quanti, in seguito chiamati fotoni, e che l’energia di questi fotoni fosse proporzionale alla frequenza della radiazione. Questa spiegazione ipotizzava la natura particellare della luce e valse a Einstein il premio Nobel per la fisica nel 1921. Quindi la luce aveva sia una natura ondulatoria che particellare: da qui l’espressione dualismo onda-particella
Albert Einstein

 

Nel 1924 il fisico francese Louis Victor de Broglie intuì che questo aspetto dualistico era la manifestazione di un principio naturale più generale: così come la radiazione luminosa presenta una natura palesemente ondulatoria, ma può comportarsi come un insieme di corpuscoli, così le particelle, come ad esempio l’elettrone e il protone, che sono dei corpuscoli, possono comportarsi in determinate circostanze come delle onde. Diversi esperimenti confermarono l’intuizione di De Broglie: particelle come elettroni e protoni potevano dar luogo a fenomeni tipici delle onde.

Contemporaneamente progrediva la conoscenza della struttura dell’atomo. Nel 1911 Ernest Rutherford, fisico neozelandese naturalizzato britannico, scoprì che la maggior parte della massa dell’atomo è nel nucleo. 


Niels Bohr
Nel 1913 Niels Bohr, un fisico danese, perfezionò il modello di Rutherford, proponendo il suo modello atomico in cui gli elettroni occupano orbite fisse attorno al nucleo e saltano tra queste orbite assorbendo o emettendo quanti di energia. La teoria elaborata da Bohr, che metteva insieme l’ipotesi quantistica della radiazione e la teoria del moto della meccanica classica, riusciva però a spiegare solo il comportamento dell’atomo di idrogeno.
Nel 1925, il fisico tedesco Werner Heisenberg elaborò la così detta meccanica delle matrici, una delle prime formulazioni complete della meccanica quantistica. È di Heisenberg l’enunciato del principio di indeterminazione, ovvero l’impossibilità di conoscere esattamente nello stesso istante il valore della posizione e della velocità di una particella. Il principio di indeterminazione è la prima importante differenza tra la meccanica classica e quella quantistica. 
Werner Heisenberg

Erwin Schrödinger
Nel 1926 Erwin Schrödinger, un fisico austriaco, elaborò la così detta meccanica ondulatoria, che descrive come lo stato quantistico di un sistema fisico cambia nel tempo. L’equazione d’onda di Schrödinger divenne un’equazione centrale nella meccanica quantistica, collegando le proprietà ondulatorie delle particelle al loro comportamento fisico.

 

Le soluzioni dell’equazione di Schrödinger superano i limiti dell’ipotesi di Bohr sulla struttura dell’atomo: al concetto di traiettoria degli elettroni si sostituisce quello di orbitale che è legato alla probabilità di trovare l’elettrone in una determinata posizione nella zona di spazio attorno al nucleo dell’atomo. Le soluzioni dell’equazione di Schrödinger spiegano il comportamento degli elettroni nell’atomo.

La nascita formale della meccanica quantistica è legata dunque ai contributi di Heisenberg e Schrödinger: la meccanica delle matrici e la meccanica ondulatoria, le prime due formulazioni della meccanica quantistica, pur differenti, portano infatti agli stessi risultati.

La storia dell’elaborazione delle idee della meccanica quantistica è molto interessante. I fisici che hanno elaborato questa teoria hanno avuto intuizioni da visionari e costantemente hanno messo alla prova le idee innovative e controintuitive che andavano via via emergendo dalle loro ricerche. La collaborazione tra questi scienziati è stata rilevante e, nonostante a volte si siano anche scontrati per le loro diverse posizioni, costituisce un esempio esemplare di costante ed efficace confronto di idee.

Orientamento Scienze: accendere la passione per le scienze

Spesso le nostre passioni affondano le radici in esperienze formative che hanno lasciato il segno: un esperimento scientifico che ha acceso la curiosità, un insegnante carismatico che ha aperto nuovi orizzonti o un fenomeno naturale che ha suscitato meraviglia. Queste esperienze possono aver orientato le nostre scelte di vita, conducendoci verso la nostra attuale professione.

L’orientamento scolastico è un processo continuo che si snoda lungo l’intero percorso di studi e che intreccia l’apprendimento con la scoperta delle proprie inclinazioni e non può ridursi a una scelta da compiere in momenti chiave, come il passaggio alla scuola superiore di secondo grado o all’università.

Anche le linee guida del MIM (D.M. n. 328 del 22 dicembre 2022) sottolineano che l’orientamento non deve essere un compito relegato ad alcuni docenti nei momenti di transizione, ma un elemento integrante della didattica, con un forte valore pedagogico. Per questo, è essenziale adottare strategie che rendano l’orientamento un’esperienza concreta e coinvolgente.

Tra le metodologie più efficaci per promuovere l’orientamento, l’Inquiry-Based Learning (IBL) permette di stimolare la curiosità, incentivando la partecipazione attiva degli studenti: affrontare problemi reali e lavorare in contesti autentici consente infatti ai ragazzi di sperimentare direttamente l’applicazione delle conoscenze scientifiche. Immaginiamo per esempio un progetto in cui gli studenti monitorano la qualità dell’aria o analizzano il riciclo dei rifiuti nella loro città. Oltre a sviluppare competenze critiche e collaborative, questi percorsi aiutano a far emergere passioni e possibili inclinazioni professionali. In questo contesto, l’insegnante assume il ruolo di facilitatore e guida, creando situazioni in cui ogni ragazzo può sperimentare, riflettere e mettere in gioco le proprie competenze. 

Il libro di testo Orientamento SCIENZE adotta proprio questa prospettiva. Ogni unità didattica si apre con la testimonianza di un professionista che ha trasformato la sua passione in un lavoro. Quaranta testimonial raccontano il loro percorso e condividono le sfide quotidiane della loro professione, mostrando che la scienza non è solo teoria, ma anche esperienza pratica ed emozionante: un ornitologo che segue gli uccelli marini utilizzando il GPS per studiarne le migrazioni; un glaciologo che analizza i cilindri di ghiaccio prelevati dall’Artico per studiare i cambiamenti climatici; un ricercatore ecoacustico che registra le voci delle foreste equatoriali ancora incontaminate; un ingegnere aerospaziale che studia la sicurezza delle auto simulando incidenti; un microbiologo che esplora i fondali oceanici a caccia di batteri estremofili; una biologa che ha sviluppato un robot-plantoide con radici artificiali in grado di crescere nel suolo.

Queste testimonianze possono essere strumenti di ispirazione e motivazione, permettendo agli studenti di immedesimarsi e immaginare i loro possibili percorsi futuri. Eccone alcuni esempi:

 

Rosario Balestrieri studia gli uccelli marini del Mediterraneo. “Quando non sono in mare con binocolo e cannocchiale, racconto il mio lavoro sui social o in TV. Nell’intervista parla anche della sua difficile esperienza scolastica come DSA non diagnosticato. Telmo Pievani, filosofo della biologia specializzato in Evoluzione, insegna all’Università di Padova ed è autore di numerose pubblicazioni anche per ragazzi. Nell’intervista dice di sé: “Ho lavorato con i più grandi scienziati che si sono occupati di evoluzione, dopo Charles Darwin”. Amalia Ercoli-Finzi, progettista di missioni spaziali, è stata la prima donna in Italia a laurearsi in Ingegneria aeronautica. “Confido che in futuro si riesca ad andare su Marte con un equipaggio del quale faranno parte anche le donne”.
Figure ed esempi tratti dal libro di testo Orientamento Scienze, Fabbri Editore, 2025

 

Per aiutare studenti e studentesse a riflettere sulle proprie inclinazioni, Orientamento SCIENZE propone domande stimolanti: Ti piacerebbe esplorare il nostro pianeta? Vorresti imparare come rendere le auto più sicure o salvare una foresta? Domande come queste aprono nuovi scenari, incoraggiando la riflessione sulle possibili scelte future.

 

 

 

 

 

 

Inoltre, nel libro Orientamento SCIENZE sono presenti alcuni box dedicati a specifiche professioni, da medici specialisti come l’ortopedico, il fisiatra e il genetista, a esperti di ambiti scientifici meno noti, come il petrografo o l’entomologo, aprendo una finestra sulle molteplici opportunità offerte dal mondo scientifico.

 

 

 

 

 

 

Allo scopo di promuovere l’orientamento di studenti e studentesse, le linee guida per l’orientamento del 2022 hanno introdotto un nuovo strumento, l’E-Portfolio, che comprende il Capolavoro dello studente. Esso consiste nella realizzazione di almeno un prodotto significativo per anno scolastico che gli studenti riconoscano come il proprio capolavoro. Esso può essere svolto in ambito scolastico o extrascolastico attraverso attività individuali o di gruppo. 

Per valorizzare i percorsi individuali di apprendimento e favorire la riflessione su interessi e aspirazioni personali, Orientamento SCIENZE propone anche diversi ulteriori strumenti, come compiti autentici e attività di laboratorio, alcuni dei quali progettati esplicitamente per la realizzazione del “Capolavoro”. 

L’approccio che gli autori hanno seguito permette infine agli studenti di autovalutarsi e di riflettere sulle attività svolte mettendo in luce le loro abilità in modo da orientarsi consapevolmente verso il proprio futuro.

Per approfondire

Alfano, Boccardi, De Masi, Forni, Orientamento Scienze, Fabbri Editori, 2025

 

 

Il libro di testo e i “fatti” tecnologici

Più tecnologie per risolvere uno stesso problema

La concorrenza dei prodotti industriali si gioca su più piani, dal rapporto qualità/prezzo alla legislazione sui brevetti. 

La legge sui brevetti approvata in Germania nel 1877, per esempio, aveva una fondamentale differenza da quella francese: il brevetto tedesco proteggeva il processo di produzione di un oggetto, non l’oggetto stesso, come invece accadeva in Francia. La legge tedesca stimolava la ricerca di tecnologie alternative per produrre lo stesso oggetto.

Nel 1888 a New York davanti alla AIEE, Nicola Tesla espose la possibilità di realizzare un motore elettrico in corrente alternata: monofase con avvolgimenti sul rotore. Anche la AEG di Berlino era impegnata nello sviluppo della corrente alternata, e fu proprio la volontà di sottrarsi ai brevetti Tesla-Westinghouse che la portò poco dopo a sviluppare un proprio motore elettrico. Vennero così alla luce il rotore a gabbia e l’alimentazione trifase.

I “fatti” tecnologici

L’evoluzione tecnologica comporta frequenti aggiornamenti dei contenuti delle discipline tecniche. Tante tecnologie diverse per risolvere uno stesso problema. Nel mondo reale tutto e interconnesso, intrecciato e disordinato. Lo studente si trova davanti ai “fatti” tecnologici come uno storico davanti ai “fatti” storici, i quali, secondo lo storico inglese Edward Carr:

“… non si possono minimamente paragonare a pesci allineati sul banco del pescivendolo. Piuttosto, li potremmo paragonare a pesci che nuotano in un oceano immenso e talvolta inaccessibile: e la preda dello storico dipende in parte dal caso, ma soprattutto dalla zona dell’oceano in cui egli ha deciso di pescare e dagli arnesi che adopera: va da sé che questi due elementi dipendono a loro volta dal genere di pesci che si vuole acchiappare. In complesso, lo storico si impadronisce del tipo di fatti che ha deciso di cercare” (“Sei lezioni sulla storia”, 1961).

Il libro di testo e i “fatti” tecnologici

La voglia di procedere da soli, quando è presente, porta spesso gli studenti a sforzi inconcludenti che generano sconforto e disorientamento; andare a pesca nell’oceano immenso dei “fatti” tecnologici presuppone un retroterra culturale di cui gli studenti sono tutt’altro che provvisti; il ricorso agli strumenti dell’intelligenza artificiale non risolve il limite culturale.

Gli studenti hanno bisogno di una guida e il compito spetta al docente, che trova nel libro di testo gli elementi per orientarsi e scegliere gli arnesi adatti a catturare e rendere accessibili i “fatti” tecnologici fondamentali.

Il libro di testo non è l’oceano immenso dei fatti tecnologici; i suoi autori sono già andati a pesca; hanno già scelto zona e strumenti; hanno già pescato alcuni “fatti”, che il docente trova solo parzialmente allineati; a lui il compito di completare l’allineamento.

Barriers and boundaries in and out of literature – a thematic approach

Since the beginning of Trump’s presidential campaign, he has promised to begin his second term with new efforts to limit legal migration. “Our southern border is overrun by cartels, criminal gangs, known terrorists, human traffickers, smugglers, unvetted military-age males from foreign adversaries, and illicit narcotics that harm Americans,” according to an order Trump signed that declares a national emergency at the southern border. This is the reason why, in the first days of his presidency, he has restored the so-called “Remain in Mexico” program that it requires migrants seeking asylum to remain in Mexico until their US immigration court date.

Unfortunately, borders and boundaries have always been a problem in history. 

Here you’ll find a thematic approach to the issue, navigating texts and resources in and out of literature.

Border walls are among the most politically charged structures in the world today. While some – such as President Trump argue they enhance safety and control, others see them as divisive and ineffective solutions to complex issues. The following activity explores 3 of the most controversial walls in the world.

Hadrian’s wall

The first official wall ever built on English soil, is Hadrian’s wall. It took several decades for the Romans to extend their control to the northern edge of the island, where they eventually built a great defensive wall, stretching over almost 120 kilometres, from the North Sea to the Irish Sea. They called it Hadrian’s Wall, after the Roman Emperor Hadrian who ordered its construction. It marked the Empire’s northern frontier, the region where Roman military control was weakest while riots and revolts were more frequent. In fact, the Romans never managed to penetrate into the mountains of Wales and Scotland, while the area south of Hadrian’s Wall became the Roman province of Britannia and stayed under Roman rule for nearly 400 years.  (see LIT HUB, vol1) Stretching about 73 miles from the east coast to the west, it was made from stone and turf and featured forts, milecastles, and turrets along its length. 

The wall also served as a symbol of Roman power and a means of controlling trade and military movement. Today, it stands as a UNESCO World Heritage site and a popular archaeological landmark.

Walls are not always made of bricks and concrete. Invisible walls made of prejudice are often more pervasive and damaging than physical barriers, shaping the way individuals and groups interact across society. The following activities explore the theme of invisible walls.

 

Scarica il pdf tratto da GREAT INSPIRATIONS: REDUCED INEQUALITIES

 

Scarica il pdf tratto da GREAT INSPIRATIONS: BE INCLUSIVE 

 

Many novels take into consideration the role walls have in our lives. An example is “The Wall” by John Lanchester. This dystopian novel explores themes such as climate change, division, immigration and many more. Rising seas have forced nations to build concrete barriers to keep out both water and desperate refugees known as “Others”. The protagonist, Joseph Kavanagh, is a young boy who, at the beginning of the novel, begins his compulsory service as a defender of the wall.

 

 

 

 

 

Possible activities include lessons on:

  • Others
  • Relationship between the wall and daily life
  • Social engineering (relationship Kavanagh-Hifa)
  • Life on and off the Wall (trip to London)
  • Climate change

E se l’IA fosse uno studente? Come le IA rispondono alle prove INVALSI

L’intelligenza artificiale (IA) è diventata un tema centrale nel dibattito educativo e sociale, coinvolgendo tanto la didattica quanto i metodi di valutazione. Se da un lato i sistemi di IA promettono di semplificare alcuni processi di analisi e apprendimento, dall’altro emergono questioni importanti legate all’affidabilità dei modelli e alla loro effettiva “capacità” di ragionare. Le aziende produttrici si pubblicizzano dichiarando l’uscita di modelli sempre più “intelligenti”, ma come si misura la capacità di ragionamento di un sistema di IA? 

Per rispondere a questa domanda sono stati costruiti numerosi benchmark, indici misurabili, con l’idea di confrontare fra di loro i vari Large Language Model (quali ad esempio ChatGPT, Claude o LLaMa). Tuttavia, gli attuali indicatori presentano spesso alcuni di questi limiti: 

  • i benchmark vengono ideati e applicati dalle stesse aziende produttrici;
  • test e addestramento attingono a una sovrapposizione sostanziale di fonti, minando la validità dei risultati, in quanto il modello “riconosce” le risposte invece di “ragionare”;
  • i benchmark si riferiscono unicamente a domande e risposte fornite in lingua inglese.

Inoltre, molti di questi indicatori misurano principalmente la capacità di completare frasi o di riconoscere pattern statistici, senza valutare in modo adeguato la profondità del ragionamento, l’adattabilità a contesti specifici e la coerenza. 

I sistemi di AI giudicati attraverso le prove INVALSI

Alcuni gruppi di ricerca italiani, fra cui uno dell’Università di Milano Bicocca, hanno proposto e stanno sperimentando l’utilizzo dei test INVALSI pubblici come benchmark per confrontare la performance dei vari sistemi di IA disponibili. A prima vista potrebbe sembrare insolito sottoporre un’IA a un test pensato per gli studenti, eppure proprio studi recenti (come quello citato) mostrano che questi strumenti standardizzati possono costituire un benchmark efficace per capire quali modelli di IA siano più adatti a specifici compiti linguistici, logico-comprensivi e di ragionamento.

Le prove INVALSI, concepite per misurare competenze quali la comprensione del testo, le capacità di riflessione linguistica e le abilità logiche e matematiche, stanno aiutando i ricercatori a evidenziare molti limiti degli attuali sistemi di IA.

Gli errori commessi dai sistemi IA crescono all’aumentare del grado scolastico

Le analisi condotte mostrano una tendenza piuttosto chiara: le intelligenze artificiali ottengono risultati generalmente migliori sulle prove INVALSI di grado inferiore, ad esempio la scuola primaria rispetto a quelle di scuola secondaria, dove si richiedono competenze più complesse e una maggiore capacità di ragionamento. 

Ma dov’è che le IA incontrano maggiore difficoltà?

I modelli di IA sembrano gestire bene i quesiti a risposta multipla semplice su testi o nozioni di base, mentre incontrano difficoltà evidenti in attività che richiedono elaborazioni linguistiche approfondite, interpretazioni articolate o conoscenze più strutturate, tipiche dei livelli di istruzione superiori. 

Ragionamenti sbagliati che possono portare alla risposta giusta

Un’evidenza degna di nota riguarda poi i quesiti di riflessione linguistica o di logica avanzata, dove il modello è chiamato ad applicare più passaggi di ragionamento per arrivare alla soluzione. In alcuni casi, le IA analizzate sono giunte alla risposta esatta, ma attraverso un processo tutt’altro che lineare o coerente: ad esempio, per stabilire se in una frase fosse corretta o meno l’aggiunta di una lettera “h”, un modello ha iniziato inspiegabilmente a tradurre il testo in francese e a confrontare la presenza della “h” in varie parole francesi, ignorando del tutto la regola ortografica italiana. In altri frangenti, gli algoritmi hanno mescolato nozioni matematiche fuori contesto o generato paragrafi senza alcun nesso logico, salvo poi “approdare” al risultato giusto quasi per combinazione. Questo meccanismo di “ragionamento contorto” solleva interrogativi sulla validità delle spiegazioni che l’IA fornisce e su quanto la correttezza della risposta sia frutto di un processo statistico casuale.

In generale, si nota che — sebbene l’IA arrivi a indicare alcune risposte in maniera efficace — non sempre è in grado di approfondire il perché di quelle risposte. Questo è un aspetto cruciale per i docenti, che nell’interpretare il risultato di una prova valutano non solo la correttezza, ma anche i processi di apprendimento e di ragionamento sottostanti.

Quesiti a cui le IA si rifiutano di rispondere

Alcuni modelli, specie quelli a carico di grandi aziende, si rifiutano di rispondere nei casi in cui la domanda includa parole percepite come violente o discriminatorie. Possono essere un esempio i testi che parlano di guerra o di contestazione. Questo è dovuto a sistemi di protezione che vengono inseriti al fine di evitare usi impropri delle IA o la generazione di contenuti discriminatori o pericolosi. Tuttavia, i sistemi proprietari, non avendo una reale comprensione del contesto, tendono a “censurare” contenuti che percepiscono come inadeguati, anche quando tali passaggi sono assolutamente leciti e funzionali all’esercizio di comprensione.

L’interesse dell’Istituto INVALSI per i risultati di queste ricerche

L’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) segue con grande interesse l’utilizzo delle sue prove come benchmark per valutare la capacità di ragionamento delle IA, poiché sono necessarie riflessioni non solo su come questo strumento stia influenzando e influenzerà la didattica ma anche su come in risposta dovrà evolvere la valutazione.  

Uno dei temi sarà legato anche al modo in cui le prove INVALSI, ma anche i docenti, dovranno cercare di misurare competenze sempre più “umane” e meno aggirabili da procedure puramente statistiche. 

Se la direzione fosse quella di puntare a limitare l’utilizzo dell’IA per lo svolgimento delle prove, i dati indicano una strategia che punta a domande aperte, con quesiti che mettano alla prova la coerenza del percorso risolutivo, anziché limitarsi alla verifica del risultato finale (come nel caso de quesiti a risposta multipla semplice o di tipo vero/falso), oppure sottoponendo nuovi tipi di prove che richiedano riformulazioni creative e ragionamenti articolati. Su questo aspetto vale la pena ricordare che molti LLM, in questo momento, non integrano sistemi in grado di “tracciare linee” o interpretare adeguatamente grafici e schemi, ciò vuol dire che problemi di questo tipo necessitano di una rielaborazione per affinché l’IA possa proporre una soluzione. 

Portare l’IA in classe

Gli esempi riportati mostrano un quadro dello stato attuale del “ragionamento” dei sistemi di IA, ma bisogna tenere presente che questi tool evolvono in fretta e le correzioni ai modelli sono continue, e permetteranno a questi strumenti di rispondere sempre meglio a ogni tipo di test. Questo non significa che i chatbot saranno capaci di “ragionare” come un essere umano ma solo che sarà sempre più difficile smascherare il loro comportamento statistico. Oggi, nel momento in cui questa tecnologia è ancora da perfezionare, è possibile mostrare agli studenti casi di ragionamento errato mostrando che affidarsi totalmente a questo tipo di tecnologia è rischioso. Lavorare in classe su un utilizzo consapevole e sullo sviluppo di competenze che permettano agli alunni di verificare la veridicità e la qualità di quello che viene proposto da ChatGPT, Copilot, Claude e tutti gli altri sistemi di IA potrebbe rivelarsi la migliore delle strategie.

Video per approfondire

Laboratorio pratico di Intelligenza artificiale | Irene Fabbri

L’intelligenza artificiale strumenti per l’insegnante | Giuliana Barberis

L’AI alla prova: valutazione dei modelli Linguistici di Grandi Dimensioni sui test INVALSI

Articoli accademici (preprint) di riferimento

“Disce aut Deficere: Evaluating LLMs Proficiency on the INVALSI Italian Benchmark” – Fabio Mercorio, Mario Mezzanzanica, Daniele Potertì, Antonio Serino e Andrea Seveso 

“INVALSI – Mathematical and Language Understanding in Italian: A CALAMITA Challenge” – Giovanni Puccetti, Maria Cassese e Andrea Esuli

Le rivoluzioni scientifiche come grimaldello per il pensiero critico: l’uso interdisciplinare della storia della scienza

Introduzione

La centralità della scienza e della tecnologia nel mondo contemporaneo è sperimentata prima di tutti da studentesse e studenti, per la loro vita socio-mediale ma soprattutto per la duttilità nell’interazione con tecnologie emergenti, nel bene e nel male, come già anni fa si iniziò a rilevare (Sherry Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia, 2019) e recentemente si è tornato a discutere (Alberto Pellai, Barbara Tamborini, Vietato ai minori di 14 anni. Sai davvero quando è il momento giusto per dare lo smartphone ai tuoi figli?, 2021). Per young adults e over-30 potremmo dire altrettanto, sebbene con performance diverse. Se la possibilità di apprendere e adattarsi è a vario titolo comune a tutti, non possiamo dire lo stesso circa la consapevolezza storica relativa a scienza e tecnologia. Un nato dopo gli Anni Zero ha pochi strumenti per comprendere che scienza e tecnologia sono prodotti di cultura e di consumo che nel tempo hanno incrementato il loro impatto sociale, il loro ruolo nella costruzione di comunità, la loro capacità di modificazione dell’ambiente e della natura come risultato di processi di trasformazione storica. La riflessione intorno alla dimensione culturale della scienza e della tecnologia è invece fondamentale per acquisire consapevolezza critica del presente e capacità di analisi, tali da volgere in apprendimento attivo le ricadute passive di scelte attuate nel contesto scolastico e politico. A tal fine, introdurre nella didattica e nella formazione scolastica e universitaria, a vario modo e a vari livelli, elementi metodologici e contenutistici provenienti dalla storia della scienza e della tecnologia costituisce un approccio originale e fecondo per la formazione del pensiero critico, un vero e proprio grimaldello per sviluppare competenze trasversali, oltre che alla didattica delle singole discipline STEM. In particolare, il concetto di “rivoluzione scientifica” permette di aprire prospettive promettenti per la progettazione didattica transdisciplinare.

Il presente e l’immediato passato della scienza e della tecnologia

Un primo passo può essere partire dal presente, per comprendere alcuni aspetti della società mediale in cui siamo immersi, del ruolo delle tecnologie di comunicazione e dell’informazione, delle strutture sociopolitiche che facilitano o meno l’accessibilità alla conoscenza. Le attuali caratteristiche tecno-scientifiche quando sono emerse? Chi sono stati i protagonisti principali che hanno reso possibile lo scenario attuale? In questa prospettiva è interessante introdurre il concetto di “rivoluzione dell’informazione”, proponendo figure centrali per capire il Novecento ma ancora marginali nelle programmazioni scolastiche quali Claude Shannon, Alan Turing o John Von Neumann fino a studiosi oggi molto noti in Italia come Luciano Floridi o Nello Cristianini. Ancora più importante, però, è radicare il concetto di rivoluzione dell’informazione in quello più generale di “rivoluzione scientifica”.

Il passato della scienza e della tecnologia e l’idea di una “rivoluzione scientifica”

In letteratura, la categoria storiografica di “rivoluzione scientifica” ha vissuto innumerevoli fasi e subito profondi ripensamenti. Intesa dapprima come “rivoluzione copernicana”, a motivo dello spostamento del centro del mondo dalla Terra al Sole da parte di Copernico (1543), essa è divenuta con Immanuel Kant (Critica della ragion pura, 1781) modello di rivoluzione per altri sistemi di sapere come la filosofia. I cambiamenti interni alla vecchia filosofia della natura spinsero verso la scienza moderna. Essi hanno poi trovato una più recente codifica storiografica, prima di assonanza storico-politica (Herbert Butterfield, The Whig interpretation of history, 1931; Le origini della scienza moderna, 1949) e poi filosofico-scientifica (Thomas Kuhn, La rivoluzione copernicana, 1957; La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 1962). Negli ultimi decenni si è messa in discussione l’idea in sé di rivoluzione scientifica secondo molteplici prospettive (tra le più recenti, Stephen Shapin, The Scientific Revolution, 2018).

Cosa rende “scienza” la “scienza”

Dietro alle discussioni circa le rivoluzioni scientifiche e le loro capacità di impattare sulle nostre società vi sono una serie di aspetti che questi dibattiti hanno ben focalizzato, al di là delle singole posizioni poi adottate dagli studiosi. Cosa rende la “scienza” davvero “scienza”? 

  • L’abilità a interpretare in modo nuovo, o almeno diverso, il patrimonio scientifico del passato.
  • La capacità di organizzare e formalizzare in vario modo i ragionamenti.
  • La dimensione sperimentale e osservativa.
  • La capacità di dimostrare la validità dei propri risultati teorici o applicativi, soprattutto mediante predizioni utili per la scienza stessa o per la società.
  • Il consenso all’interno di una comunità internazionale di studiosi.
  • L’organizzazione interna delle comunità scientifiche e il loro rapporto di indipendenza/dipendenza con i sistemi politici e di produzione.
  • La possibilità di rispondere alle richieste tecnologiche della società.

Far emergere il legame tra una qualche idea di scienza e le sue componenti storico-epistemologiche è il primo passo per una cultura STEM davvero innovativa e capace di prospettiva critica. La scienza è una forma di cultura, determina modi di vedere il mondo, influenza un immaginario personale e collettivo, è un luogo privilegiato per imparare ad argomentare in forma corretta. Conoscere le vicende di chi ha elaborato teorie, lo sviluppo delle tecniche formali o strumentali, l’interazione tra quando accade nei laboratori e quanto accade fuori rende la scienza un ambito estremamente interessante per ricostruire processi di trasformazioni storiche, oltre a essere un’appassionante avventura umana e non solo uno strumento di profitto.


Far sentire la voce dei bambini

Le parole dei bambini sono preziose: a volte sono leggere, altre volte profondissime, capaci di rivelare un mondo interiore che aspetta solo di essere ascoltato. Come insegnanti, il nostro compito non è solo quello di insegnare loro a scrivere correttamente, ma soprattutto di aiutarli a scoprire la loro voce, a dare forma ai pensieri e alle emozioni che portano dentro.

Un modo per farlo è attraverso gli albi illustrati, strumenti potenti che intrecciano immagini e parole, lasciando spazio all’interpretazione, all’immaginazione e all’espressione personale.

Ascoltare le voci dei bambini

Scrivere è proprio un modo per far sentire la propria voce: non attraverso sterili esercizi, ma immergendosi in attività più profonde e vere. Per scrivere poi bisogna prima sentirsi accolti, in uno spazio dove ci sia modo di parlare e di esprimersi. E chi meglio della comunità di lettori e scrittori della classe e degli albi illustrati può darci questa possibilità? Quando leggiamo un albo in classe, non stiamo solo raccontando una storia: stiamo aprendo un dialogo, stiamo dicendo ai bambini che anche loro hanno qualcosa da dire, che il loro pensiero merita spazio.

Dopo la lettura, il silenzio è il primo segnale che qualcosa si sta muovendo: è proprio il momento in cui i bambini elaborano, interiorizzano. Poi arrivano i commenti, le osservazioni spontanee, quelle che spesso sorprendono, perché ci fanno vedere la storia con occhi diversi. È qui che nasce la scrittura: dall’ascolto autentico di ciò che i bambini pensano, sentono e vogliono dire, e soprattutto dall’ascolto reciproco della comunità di lettori e scrittori, che arricchisce tutti e ciascuno.

Il ricalco di scrittura: un ponte tra lettura e voce personale

Un buon modo per accompagnare i bambini a trovare la loro voce è il ricalco di scrittura. Non si tratta di copiare, ma di partire da un modello per trasformarlo in qualcosa di proprio. L’albo illustrato offre una struttura rassicurante: i bambini possono ricalcare lo stile, la sequenza, alcune espressioni, ma inserire il loro vissuto, i loro pensieri, i loro colori.

Come fare nella pratica?

  1. Leggere un albo insieme: non limitarsi a una lettura veloce, ma lasciare spazio alle osservazioni, ai dettagli, alle emozioni che emergono.
  2. Chiedere ai bambini di dire o scrivere una lista di cosa li ha colpiti: può essere una frase, un’immagine, una parola, un sentimento che la storia ha suscitato in loro.
  3. Scrivere ricalcando: si può partire riscrivendo un pezzo della storia cambiando qualche elemento, oppure trasformando una scena con il proprio punto di vista. 
  4. Dare valore alle parole dei bambini: ogni bambino scrive con il proprio stile, con le proprie idee. Non dobbiamo correggere in modo rigido, ma accogliere il loro modo di esprimersi e guidarli nella padronanza della scrittura.

Scrivere per raccontarsi

Il ricalco di scrittura non è solo un esercizio: è un modo per aiutare i bambini a raccontare sé stessi. Spesso non sanno da dove iniziare, hanno paura della pagina bianca. Ma se gli offriamo una guida, un punto di partenza, le loro parole troveranno il coraggio di uscire.

Quando un bambino scrive, ci sta affidando qualcosa di suo. Un pensiero, un frammento di mondo interiore. Sta dicendo: “Questa è la mia voce”. E il nostro compito, come insegnanti, è far sì che quella voce si senta forte e chiara.

Per approfondire scrittura e albi illustrati:

 

Queste riflessioni hanno guidato la scelta di inserire nei libri Magica Matilde un percorso per ogni classe che prenda spunto da un albo illustrato, dove bambini e bambine sono invitati a dire la loro sulle storie lette e condivise con insegnanti e compagni.

 

 

 

 

 

La moda a partire dal 2000: cambiamenti e nuovi modelli del fashion system

Nel primo ventennio del XXI secolo, si sono succeduti rapidi cambiamenti sotto l’aspetto della creazione, della produzione, della distribuzione e anche delle modalità di diffusione e di fruizione della moda stessa. Cambiamenti radicali, in particolare sotto il profilo della produzione, e una nuova consapevolezza sociale, politica e culturale, sono stati causati dall’avanzamento tecnologico e dalla globalizzazione. 

Uno degli aspetti più rilevanti dei cambiamenti sopraggiunti all’inizio del Duemila, riguarda da una parte la nascita di aziende che offrono prodotti di abbigliamento con forte contenuto moda a prezzi molto competitivi (fast fashion o low cost), dall’altro il fenomeno delle acquisizioni di numerosi brand storici della moda da parte dei grandi gruppi del lusso. 

In questa modifica ha comportato la sostituzione della figura dello stilista con quello del “direttore creativo” (un esperto del settore messo a capo di un team che coordina la collezione la quale, pur dovendo innovare, deve rispettare la tradizione del marchio senza perdere di vista la competizione sul mercato).

Il nuovo modo di produrre dà maggiore importanza al concetto di heritage (cioè dell’eredità culturale del brand), che si impone a scapito delle capacità di innovazione e di ricerca autonoma del fashion designer

Nell’impostazione produttiva delle holding del lusso finalizzata ad un rapido aumento dei profitti, il marketing prevale sulla fase di ideazione. Tutto ciò comporta che i direttori creativi siano sostituiti frequentemente, non soltanto se il fatturato non risponde alle aspettative dei finanziatori ma anche per evitare che lo “stile personale” prevalga sull’immagine “storica” della griffe.

La produzione di moda, attualmente, affronta tematiche quali le problematiche di genere, di inclusione e diversità, di sostenibilità ambientale e di equità. 

La pervasiva presenza dei social e della tecnologia, che ha raggiunto traguardi impensabili all’inizio del XXI secolo, coinvolge direttamente anche l’abbigliamento.

In questo quadro, un aspetto che ha assunto molta importanza è il fenomeno dello storytelling, che punta alla narrazione dei valori delle griffe, ora produttrici di simboli e status symbol grazie a film, video d’arte e performance. Lo storytelling è capace di trasformare ogni oggetto in racconto e, per traslazione, ogni racconto diventa uno strumento di legittimazione del brand. Che la comunicazione nel fashion system abbia ormai assunto un’importanza strategica, lo testimonia la sfilata A/I 2024/25  organizzata da Glenn Martens per Diesel, che ha messo in scena una sorta di “Truman show”, affinché tutti si sentano parte della community del brand.  Nell’invito alla sfilata, infatti, figura un QR code tramite il quale 1000 fan di Diesel da tutto il mondo hanno avuto libero accesso alle fasi di preparazione della sfilata: tre giorni di live stream durante i quali hanno potuto assistere e interagire virtualmente. 

Oggi la società è “ibrida”, “fluida”, cioè meno definita, e i giovani tendono a utilizzare elementi di diverse sottoculture che vengono condivisi non solo nelle strade o in luoghi di ritrovo fisici, ma principalmente sui social network. Molto spesso oggi coloro che lanciano nuove tendenze sono gli influencer: giovani con una grande cerchia di follower, o personaggi famosi.


Nuove tecnologie

Parlare di moda contemporanea oggi, significa parlare di wearable technology e di virtual fashion. In questo settore, l’interesse per i nuovi traguardi scientifici procede con le sperimentazioni e le ibridazioni sui materiali e sulle tecnologie indossabili applicabili agli indumenti, su cui tuttora si lavora ampiamente, fino ad arrivare alla produzione di proposte esclusivamente virtuali.

La virtual fashion rappresenta la connessione fra realtà virtuale e sartoria. La moda digitale, con la sua elaborazione tecnica, si avvicina molto a essere considerata una forma d’arte, poiché nel mondo reale questi abiti, completamente costituiti da pixel, non esistono.

L’azienda norvegese Carling, nel 2018, ha creato la sua prima collezione “Neo-Ex” costituita da diciannove capi digitali facendo il tutto esaurito in una settimana. “Neo-Ex”, nell’intenzione dei produttori, ha anche lo scopo di ridurre gli sprechi.

Il primo contatto del prêt-à-porter di livello alto con la moda virtuale si concretizza nel 2019 con la progettazione di abiti ispirati a personaggi del videogame “League of Legends”, progettati da Nicolas Ghesquière per Louis Vuitton, tramite una partnership con la società di sviluppo americana Riot Games.

Nello stesso anno, Jeremy Scott, direttore creativo di Moschino, disegna una capsule collection per il videogame “The Sims” La capsule, oltre ai disegni pixelati e ai classici motivi “The Sims”, comprende accessori e abiti indossabili, una limited edition composta da otto capi disponibili nelle boutique della maison in tutto il mondo a partire da aprile 2019 e sul sito web.

L’haute couture si mostra sensibile alle novità tecnologiche con la fashion designer olandese Iris van Herpen, La designer presenta il suo primo abito stampato in 3D nella collezione P/E 2011, chiamata “Crystallization” distinguendosi per l’uso di nuove forme e nuovi metodi che ibridano l’alta sartoria con la tecnologia.

 

Altri argomenti che approfondiscono il complesso mondo della produzione e fruizione della moda, si possono rintracciare nel volume Storia della Moda e del Costume.

 

 

 

 

 

 

“Acqua in bocca…” anzi no! Meglio dirlo a tutti!

Il 22 marzo si celebra la Giornata Mondiale dell’Acqua, un’iniziativa nata nel 1992 durante la Conferenza di Rio de Janeiro delle Nazioni Unite. L’evento nasce con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dell’acqua e promuovere una gestione responsabile delle risorse idriche di acqua dolce.

Tale tema è inoltre presente nell’AGENDA 2030 con il goal 6: garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie.

Come si legge sul sito di WWF, la quantità di acqua dolce sul pianeta è circa il 3% delle risorse idriche, metà della quale è immagazzinata nei ghiacciai, ciò implica la necessità di educare ad un utilizzo responsabile delle risorse idriche, promuovendo una cultura del risparmio consapevole di questo bene prezioso.

Nelle nuove linee guida per l’insegnamento dell’Educazione Civica un percorso sull’acqua trova la sua collocazione nel traguardo per lo sviluppo della competenza n.7 “maturare scelte e condotte di tutela dei beni materiali e immateriali” del nucleo concettuale “Sviluppo economico e sostenibilità” dove si legge: “Riconoscere, con riferimento all’esperienza, che alcune risorse naturali (acqua, alimenti…) sono limitate e ipotizzare comportamenti di uso responsabile, mettendo in atto quelli alla propria portata.

 

Per parlare di questa giornata abbiamo pensato di partire da una panoramica sull’acqua, il ciclo dell’acqua e la necessità di preservare questo bene prezioso, per poi proporre delle attività che possano essere più centrate sul tema di educazione civica, oppure che possano essere collegate per tema e significato a questo argomento; infatti, la parola acqua ci permette di lavorare su aspetti differenti collegati alla lingua:

  • acqua come difficoltà ortografica
  • le parole della famiglia acqua 
  • il campo semantico della parola acqua.

MATERIALI

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LE AUTRICI

Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.

Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.

Entrambe sono autrici Fabbri–Erickson.

Le applicazioni dell’IA nel settore spaziale e dell’aviazione

Introduzione

Negli ultimi anni, l’Intelligenza Artificiale ha dimostrato un potenziale straordinario in numerosi settori, tra cui quello spaziale e dell’aviazione. La crescente domanda di spostamenti in aereo porta ad un aumento significativo dell’interesse nei confronti dello sviluppo dei velivoli e della loro manutenzione. Questo presupposto implica l’esigenza di ottimizzare le strategie legate alle operazioni di volo, servendosi anche di soluzioni tecnologiche attraverso l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. 

Inoltre, anche l’esplorazione spaziale sta assumendo un’importanza sempre crescente ed è fondamentale ottimizzare processi, missioni e sicurezza per assicurare un avanzamento tecnologico sempre più veloce ma allo stesso tempo efficiente

Vediamo insieme quali sono le migliori applicazioni dell’AI in questo settore!

Progettazione e sviluppo dei velivoli

Attraverso il “Machine Learning“, gli ingegneri sono in grado di sfruttare dei programmi che, partendo da dati iniziali, migliorino nel tempo le prestazioni di componenti meccanici, aumentando resistenza, rigidità ed efficienza. In questo modo, è possibile esaminare migliaia di configurazioni strutturali per ridurre peso e resistenza aerodinamica di un velivolo, migliorando allo stesso tempo la sicurezza.

Inoltre, questi programmi rendono possibile prevedere le caratteristiche di materiali compositi innovativi, partendo da alcuni dati relativi alle proprietà di materiali già esistenti, accelerando il processo di sviluppo.

Manutenzione predittiva

La manutenzione è senza dubbio un fattore cruciale nell’industria aerospaziale per evitare disastri strutturali e assicurare la massima sicurezza. Con “manutenzione predittiva” intendiamo l’analisi di dati mediante sensori installati su macchine e impianti, che permettono di identificare potenziali guasti prima che si verifichino. I sensori forniscono una comprensione più approfondita delle cause e delle raccomandazioni specifiche da seguire, che permettono di evitare attività di manutenzione non necessarie che comportano costi e tempi di inattività.

Automazione e controllo dei voli

Tra le opportunità offerte dall’Intelligenza Artificiale, il volo autonomo è quella che, indubbiamente, suscita il maggior interesse. Lo scopo è quello di ridurre la dipendenza dai piloti umani senza tuttavia sacrificare i livelli di sicurezza che, al contrario, risultano sempre più elevati. Lo sviluppo di aerei commerciali completamente autonomi è ritenuto possibile dopo il 2035 per via dei numerosi anni di studio e analisi che precedono l’effettiva realizzazione di questo ambizioso progetto.

Attualmente, uno degli aerei autonomi ed ecosostenibili più famosi al mondo è sicuramente Odysseus, il cui collaudo si è svolto nel 2019, dopo circa un decennio di sviluppo. La struttura di Odysseus è realizzata principalmente in carbonio, caratteristica che lo rende leggero e resistente. È equipaggiato con motori elettrici alimentati esclusivamente da pannelli solari posizionati sulle ali e sulla fusoliera. Durante la notte, quando i pannelli non ricevono luce, l’aereo utilizza batterie che immagazzinano energia sufficiente durante il giorno. Grazie a questo sistema ecologico, l’aereo non necessita di ulteriori fonti di energia ed è in grado di volare indefinitamente. 

Esplorazione spaziale: Curiosity e Perseverance

L’interesse per l’esplorazione dello spazio sta crescendo, ed è proprio per questo motivo che, per rispondere a questa esigenza, c’è la necessità di applicare l’Intelligenza Artificiale a veicoli spaziali e satelliti. Essa è fondamentale per pianificare missioni di esplorazione planetaria, analizzare enormi quantità di dati e prevenire i rischi.

Una delle applicazioni più interessanti ed innovative è la navigazione autonoma dei rover Perseverance e Curiosity, che su Marte utilizzano complessi algoritmi per navigare in maniera indipendente su terreni sconnessi, evitando gli ostacoli. Perseverance possiede un sistema molto avanzato, che include una serie di telecamere ad alta risoluzione e sensori che permettono di creare mappe tridimensionali del terreno, permettendo al rover di orientarsi autonomamente ed evitare ostacoli in tempo reale. Inoltre, il rover è dotato di strumenti avanzati come lo SHERLOC, che utilizza algoritmi per analizzare i campioni di roccia più promettenti, riducendo il carico di lavoro umano. Negli anni, lo sviluppo di tale sistema è stato notevole, partendo, con Curiosity, da una velocità massima sul terreno di 20 metri all’ora fino ad arrivare, con Perseverance, ad una velocità massima di 120 metri all’ora.

Scoperta di nuovi esopianeti

Una delle missioni fondamentali della NASA che ha permesso la scoperta di tantissimi esopianeti è stata la missione del telescopio spaziale Kepler, il cui scopo era la ricerca e conferma di pianeti simili alla Terra in orbita attorno a stelle diverse dal Sole.

I ricercatori hanno utilizzato algoritmi di Machine Learning per analizzare i dati forniti dal telescopio. Osservare pianeti così distanti è impossibile, proprio per questo Kepler non li osserva direttamente, ma rileva le variazioni nella luminosità delle stelle dovute al passaggio dei pianeti davanti a loro. Quando un pianeta transita davanti alla sua stella, porta a una momentanea riduzione della luminosità apparente per chi la sta osservando a distanza: misurando l’intensità e la frequenza della variazione della luce, Kepler può determinare se il cambiamento è dovuto al passaggio del pianeta in esame o al comportamento della stella, grazie all’addestramento dei computer da parte dei ricercatori e delle ricercatrici.

Questo metodo consente anche di ipotizzare dimensioni e caratteristiche dei pianeti scoperti. L’Intelligenza Artificiale ha dimostrato di essere in grado di confermare la presenza effettiva di un pianeta con un’accuratezza del 96%. 

Falcon 9: i sistemi di atterraggio di SpaceX

Falcon 9 è un razzo riutilizzabile a due stadi progettato e prodotto da SpaceX per il trasporto di persone e carichi utili nell’orbita terrestre e oltre. La riutilizzabilità consente a SpaceX di rilanciare le parti più costose del razzo, il che a sua volta riduce il costo dell’accesso allo spazio. Questo razzo utilizza un sistema di guida, navigazione e controllo basato su sensori avanzati, GPS e algoritmi ad apprendimento automatico che forniscono al razzo la sua posizione esatta durante la fase di rientro e la traiettoria ottimale basandosi su atterraggi effettuati in passato.

Il primo stadio è in grado tornare sulla Terra in modo indipendente e atterrare verticalmente su una piattaforma predeterminata, in acqua o sulla terraferma. Per rendere ottimali le manovre, è inoltre necessario utilizzare delle telecamere ed analizzare i dati metereologici per far sì che il razzo possa adattarsi a condizioni avverse come onde e vento.

Conclusioni

L’Intelligenza Artificiale, come abbiamo visto, sta rivoluzionando il settore aeronautico e spaziale, migliorando la sicurezza, l’efficienza e l’affidabilità delle missioni. Grazie a sistemi avanzati di analisi dati e apprendimento automatico, gli ingegneri possono prendere decisioni più rapide e precise, riducendo i rischi e massimizzando le risorse disponibili.

Con il continuo sviluppo di tecnologie intelligenti, il futuro dell’aerospazio vedrà una crescente integrazione dell’IA. La sua evoluzione non solo renderà lo spazio più accessibile, ma potrebbe anche rappresentare un passo fondamentale verso l’esplorazione interplanetaria e la colonizzazione di nuovi mondi.

Biografia Autrice

Ilaria Sanna è attualmente una studentessa al terzo anno di Ingegneria Aerospaziale al Politecnico di Milano. Nata a Roma ma cresciuta tra Modena e Bologna, ha frequentato un Liceo Linguistico Quadriennale per poi appassionarsi alle materie scientifiche, più nello specifico in ambito spaziale e dell’aviazione.

Attualmente è parte dell’associazione studentesca Skyward Experimental Rocketry del Politecnico di Milano, che ha come ambizioso progetto annuale la progettazione e la costruzione di un razzo-sonda sperimentale. Le piace riempire il tempo libero dedicandosi al volontariato e all’attività fisica, oltre che contribuire al progetto di Generazione Stem. 

Sitografia e approfondimento

Aviazione

Spazio