Favorire il pensiero creativo a scuola

Secondo Teresa Amabile, eliminare ogni forma di creatività dal lavoro scolastico è semplice. Basta impostare la vita di classe in questo modo:

  1. far lavorare i bambini e le bambine per un riconoscimento;
  2. predisporre situazioni competitive;
  3. focalizzare la classe sulla valutazione;
  4. tenere i bambini e le bambine sotto stretta sorveglianza;
  5. proporre una ristretta gamma di scelte.

Visto che non si tratta di pratiche poco diffuse, si può facilmente dar ragione allo psicologo Mihály Csíkszentmihályi: la scuola ha generalmente un impatto poco positivo sulle persone creative. 

Allo stesso tempo, però, nelle biografie di singoli “creativi di successo” l’incontro con singoli maestri risultano momenti decisivi.

Qualsiasi sia la definizione di creatività, qualsiasi analisi si cerchi di approfondire, si arriva sempre a questa distinzione: l’insieme delle regole e delle richieste della scuola sono poco funzionali allo sviluppo della creatività. 

Le singole personalità degli insegnanti possono invece fare la differenza.

Questo perché il lavoro di un creativo si basa su problemi poco formulati, i cui dati e il cui processo di soluzione appaiono poco chiari. Le questioni difficili da definire o per le quali la procedura risolutiva non è evidente sono l’ambito specifico della creatività.

In termini prettamente didattici, è difficile sostenere il pensiero creativo quando si chiede di applicare un algoritmo esecutivo o l’applicazione di una regola. 

La stessa struttura della lezione composta da spiegazione- studio – interrogazione risulta essere un nonsenso in ambito creativo.

Molto più funzionale, invece, è una didattica per progetti, nella quale si propone agli alunni e alle alunne non un contenuto da memorizzare o applicare, ma una sfida cognitiva aperta e accattivante.

Si tratta, cioè, di creare situazioni nelle quali sia possibile sperimentare l’insight, il salto di qualità concettuale che porta a ristrutturare le informazioni disponibili (siano esse nuove o vecchie) all’interno di un paradigma, uno schema o una situazione nuova.

Non sfuggirà che più si scende nel dettaglio più emergono le caratteristiche fondamentali di una didattica per competenze. 

Infatti, in una didattica per competenze:

  1. i bambini e le bambine non lavorano per un riconoscimento esterno, ma per la realizzazione di un artefatto;
  2. le situazioni competitive non sono “il motore” dell’azione. Il campito si sostiene attraverso la motivazione intrinseca;
  3. la valutazione avviene in forma narrativa con l’ausilio di diari di bordo, osservazioni sistematiche e autobiografie cognitive. Quindi, in sostanza, la valutazione è percepita non come giudizio esterno ma come feedback sul lavoro che tiene conto anche del proprio punto di vista;
  4. i bambini e le bambine hanno un discreto grado di libertà di azione per svolgere il compito o la sfida;
  5. le soluzioni sono aperte: un compito di competenza ben progettato dovrebbe prevedere un ampio ventaglio di soluzioni.

La strada per favorire un atteggiamento creativo a scuola c’è ed è ben delineata da un approccio didattico basato sullo sviluppo delle competenze. 

Ovviamente questo è possibile solo con il modeling dei docenti: la creatività nella progettazione didattica, nelle richieste e nelle soluzioni che gli insegnanti propongono è un ingrediente fondamentale.

Musica ed educazione civica

Possono le attività musicali inserirsi in un quadro di educazione civica, oppure il docente di musica deve necessariamente ritagliare, all’interno del proprio quadro orario uno spazio espressamente dedicato a questo insegnamento?

Proviamo ad analizzare le attività che fanno parte di una comune ora di musica: fare musica insieme, ad esempio, non è forse un’attività che ha anche il fine di educare alla solidarietà, il cui fondamento è il riconoscimento dell’altro? Suonare insieme, e ancora di più cantare, presuppongono che gli alunni e le alunne sappiano ascoltarsi l’un l’altro, rispettare i tempi, rispettare le regole, non prevaricare sugli altri per desiderio di primeggiare o, al contrario, non nascondere la propria impreparazione confidando nell’impegno altrui. Perché, dunque, non invitare la classe a focalizzare questi aspetti attraverso una discussione guidata o un’attività di riflessione che diventa uno step dell’autobiografia cognitiva degli studenti? Il Brundibar, ad esempio, può essere un ulteriore spunto; partendo dalla narrazione della vicenda storica o, perché no?, anche dall’esecuzione di un brano dell’opera si può, ad esempio, far meditare la classe sul valore di resistenza civile e di strumento di coesione della musica di insieme.

Spesso, inoltre, anche in preparazione del saggio, si scelgono tematiche specifiche, tra cui una delle più ricorrenti è il tema della guerra: tutte le antologie musicali offrono brani su questo argomento. Alcune, fra cui quella del corso Vai con la musica!, offrono anche un’introduzione ragionata e commentata ai brani, che possono spaziare dai canti della Prima Guerra Mondiale, a quelli della Resistenza, alle canzoni pacifiste degli anni Sessanta. Un’altra tematica pienamente in linea con l’insegnamento di educazione civica è quella ambientalista, in merito alla quale non è difficile trovare brani nelle antologie.

Anche l’attività di ascolto può contribuire a sviluppare le competenze di cittadinanza; l’ascolto consapevole della musica di altre culture, così come una particolare attenzione allo studio delle scuole nazionali nell’ambito della storia della musica, può certamente favorire la presa di coscienza del loro valore di espressione del patrimonio culturale di appartenenza.

Solo per citare alcuni spunti, ma ce ne sono molti altri, che si possono ritrovare nelle pratiche didattiche quotidiane già in uso perché, come sottolineano le stesse linee guida “L’educazione civica supera i canoni di una tradizionale disciplina, assumendo più propriamente la valenza di matrice valoriale trasversale che va coniugata con le discipline di studio, per evitare superficiali e improduttive aggregazioni di contenuti teorici e per sviluppare processi di interconnessione tra saperi disciplinari ed extradisciplinari”.

“C’è chi ha detto no.”

Il 1 novembre del 2005, l’Assemblea delle Nazioni Unite ha istituito la Giornata internazionale della Memoria. La data scelta, il 27 gennaio, è il giorno del 1945 in cui le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.

Nell’orrore della Shoah, furono molte le donne e gli uomini che si diedero da fare per salvare gli Ebrei dal genocidio. 

Per celebrare il giorno della Memoria, quest’anno, vi consigliamo di partire da questi esempi di coraggio. Ne proponiamo tre, ma ovviamente ce ne sono molti altri, per fortuna.

Israel Kalk e la mensa dei bambini. Nel 1939 arrivano in Italia migliaia di profughi ebrei provenienti da Germania, Austria e Cecoslovacchia. Di essi, più di 2000 si fermano nella sola Milano, molti sono bambini. In un parco, Israel Kalk e sua moglie Giorgetta Lubatti incontrano un piccolo gruppo di questi bambini, ai quali offrono una merenda in una latteria vicina. Il giorno seguente, al parco si presenta un gruppo più numeroso di bambini. Il giorno dopo sono ancora di più. Vengono per fare merenda.

È così che, praticamente per caso, nasce la “Mensa dei bambini”, un’istituzione che consentirà ai bambini ebrei di Milano di sfuggire alla fame e sopravvivere tra il 1939 e il 1943.

La storia è raccontata nel recente “Pane e Ciliegie” di Anna Sarfatti (Mondadori, 2020)

Il popolo che disse no. La seconda storia, invece, viene da lontano e precisamente dalla Danimarca. Nel 1943, dopo circa tre anni di occupazione nazista, cominciano a trapelare le notizie di un imminente rastrellamento dell’intera comunità ebraica. Il popolo danese, e con esso il re, i ministri e il parlamento organizzano un’incredibile resistenza. Il governo ostacola i piani tedeschi e mette in allerta le famiglie in pericolo. In quattordici giorni, gli ebrei danesi vengono nascosti e assistiti da persone comuni che mettono a disposizione le proprie case. Dei 7000 ebrei danesi, 6500 riescono a salvarsi raggiungendo la Svezia di notte, a bordo delle imbarcazioni messe a disposizione dai marinai.

La storia è raccontata da Jennifer Elvgren e illustrata da Fabio Santomauro nell’albo illustrato “La città che sussurrò” (Giuntina, 2015) e nel libro per adulti “Il popolo che disse no”, di 

Bo Lidegaard (Garzanti)

Villa Emma. Un episodio molto simile è avvenuto in Italia. A Nonantola, in provincia di Modena, l’intero paese ha nascosto e aiutato a fuggire 73 bambine e bambini ebrei e i loro accompagnatori. Si trattava di un gruppo di profughi arrivati da varie parti d’Europa e che riuscirono a scappare anche grazie alle donne del paese. Per simulare una classe in gita scolastica, infatti, vennero cuciti dalle donne di Nonantola una quarantina di cappotti tutti uguali.

Scolpitelo nel vostro cuore: il lapbook “I diritti dell’uomo”.

L’argomento che vi proponiamo oggi è sicuramente tra i più difficili da trattare, soprattutto pensando ai bambini delle classi prime e seconde. Ciononostante esistono modi delicati per parlare di quello che è accaduto. Per i bambini più piccoli, ad esempio, non è necessario raccontare tutti i dettagli, ma possiamo cominciare a gettare le fondamenta per gli anni successivi. Ogni anno quindi possiamo aggiungere un tassello e approfondire maggiormente i fatti, in base all’età e alla sensibilità dei nostri alunni. Questo non vuol dire semplificare o tradire il passato, ma solo accompagnare i bambini nella scoperta di questo argomento con gradualità.

Quando vogliamo affrontare argomenti complessi, la cosa più importante è partire dai bambini, da quello che conoscono e dal loro sentire. Per questo motivo abbiamo scelto di cominciare l’attività proponendo la lettura del primo capitolo del libro “Scolpitelo nel vostro cuore” di Liliana Segre nel quale l’autrice racconta di come, all’età di otto anni, all’improvviso non può più andare nella sua scuola, parlare con i suoi amici. Inoltre l’autrice descrive come si sente giorno dopo giorno privata delle sue libertà e allontanata da tutti, parla dell’indifferenza e della discriminazione. Si tratta di cose che i bambini possono capire e nelle quali possono sicuramente immedesimarsi. 

Abbiamo quindi deciso di porre il focus di questa attività sulle leggi razziali, su quello che hanno significato per milioni di Ebrei e sui documenti che sono stati ispirati da questa tragedia: la “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” e la “Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia”. 

Nella seconda parte dell’attività viene presentata una brevissima spiegazione storica che illustra ai bambini quali sono i fatti ai quali si riferisce Liliana nel libro, in modo da poterli collocare nel tempo e nello spazio. La nostra scelta di parlare dei “diritti dell’uomo e dell’infanzia” nasce dalla precisa intenzione di porre l’attenzione dei bambini sui diritti che per loro sono scontati e che sono stati invece ottenuti a seguito del sacrificio di molte persone e che è nostro compito ora proteggere.

Il video qui proposto è suddiviso in tre parti:

  • prima parte: lettura espressiva di un brano del libro;
  • seconda parte: breve spiegazione storica sulle “Leggi razziali fasciste” e la nascita della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” e della “Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia;
  • terza parte: video tutorial con i passaggi per realizzare il lapbook.

Video

Materiali aggiuntivi

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Le autrici

Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.

Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.

Entrambe sono autrici Fabbri–Erickson.

Lea Vergine, un mio ricordo

Uno sguardo penetrante e insieme curioso, un carattere fiero e una visione etica inflessibile, un’eleganza assoluta e la voglia di “sporcarsi le mani” con i linguaggi della contemporaneità, anche i più brutali e infimi. Tutto questo era, e lo è ancora attraverso i suoi scritti, Lea Vergine, critica militante, storica dell’arte, colei che ha dato voce all’ “altra metà del cielo” ossia alle artiste che con fatica hanno conquistato una propria credibilità ed un proprio spazio nel corso del Novecento e nel primo ventennio del nuovo millennio; colei che ha dato sistematicità critica e valore estetico alla Body Art, alla Perfomance fino al Trash come forma d’arte.

Ho avuto la fortuna di conoscere Lea Vergine una quindicina di anni fa. Lei già una figura emblematica nell’empireo degli storici dell’arte che hanno segnato una strada interpretativa e che hanno dato sostanza critica ad un percorso d’indagine sul contemporaneo; io ideatore di un progetto editoriale sull’arte contemporanea in cinque volumi intitolata Arte del XX secolo. Abbiamo avuto, immediatamente, una reciproca simpatia, ci siamo incontrati molte volte per discutere non solamente d’arte, ma anche di letteratura, di cinema, di politica. Tra i momenti che mi piace ricordare è l’avventura della mostra Un altro tempo. Tra Decadentismo e Modern Style che Lea Vergine ha ideato e curato per il MaRT di Rovereto nel 2012. Si trattava di una scelta apparentemente lontana dalle scelte contemporaneiste e militanti della studiosa, trattando del gruppo di Bloomsbury e della visione artistica/culturale di intellettuali e artisti che si muovevano negli anni Dieci e Venti intorno a Virginia Woolf. A me affidò il compito di scrivere intorno all’Omega Workshop, diciamo la declinazione snob ed elegante del Modernismo internazionale e con un’esplicita valenza espressionista. 

Ragionare e scegliere con lei le opere per la mostra mi ha rivelato quanto la lucidità critica e l’intelligenza interpretativa di uno storico dell’arte, unite a un innegabile senso del gusto, siano davvero gli strumenti per affrontare qualsiasi argomento legato alla creatività artistica dalle più remote testimonianze all’arte attuale, del qui e ora. Resta memorabile L’altra metà dell’avanguardia la mostra da lei curata a palazzo Reale di Milano nel 1980 che coraggiosamente liberava il lavoro delle artiste dalla posizione ancillare nei confronti degli artisti, mariti, compagni, padri, amici che fossero, assegnando loro una dignità ed un’autonomia proprie e di cui la mostra di Rovereto è, in certo senso, l’atto finale. Proprio sul senso di creare e organizzare mostre, su cui la studiosa fu spesso ferocemente polemica, voglio ricordare la frase che amava ripetere: “Una mostra non la si fa solo per guardare e vedere, ma anche per sapere”. Il conoscere, il sapere, il confrontare, il mettere in discussione dogmi e luoghi comuni, il crearsi un’opinione: questi erano per Lea gli obiettivi che ogni storico dell’arte, ogni critico, ogni insegnante, ogni cittadino deve fari propri.

Intelligenza, ironia, visione complessiva, interdisciplinarità, originalità interpretativa, conoscenza, stile erano i caratteri della persona Lea Vergine e sono i caratteri della sua scrittura; arricchiti dalla lunga e appassionata condivisione di vita con l’architetto e designer Enzo Mari, anch’egli uomo elegante, discreto, ironico, di finissima intelligenza e di stupefacente creatività. Ambedue, a poche ore di distanza sono morti tra il 18 e il 19 ottobre 2020 a causa dalla pandemia. Ambedue per decenni sono stati protagonisti della scena dell’arte e del design contemporanei nella loro Milano e a livello nazionale e internazionale. Ambedue si sono schierati in importanti battaglie legate alla politica culturale e alla politica tout-court. Ambedue hanno lasciato una fondamentale eredità di idee e di scelte.

Sul tema del corpo, e soprattutto del corpo delle donne, che è divenuto spesso doloroso e patologico strumento espressivo, Lea Vergine ha costruito un percorso che da Il corpo come linguaggio (1974), passando per Dall’Informale alla Body Art: dieci voci dell’arte contemporanea 1960/1970 (1976), arriva a L’arte in trincea: lessico delle tendenze artistiche 1960 – 1990 (1996), Body Art e storie simili: il corpo come linguaggio e a Schegge: Lea Vergine sull’arte e la critica contemporanea (2001).

La Body Art esplose e dilagò nei primi anni Settanta; nel senso che si diffuse, con gran clamore, prima in tutti gli spazi alternativi, subito dopo nelle gallerie e poi nei musei di arte contemporanea e Lea ne colse immediatamente il senso, scrivendo: “Vi è una storia delle maniere e delle ragioni di fare arte che spunta, regredisce, scompare, resuscita, si diffonde in ragione delle situazioni sociali. L’aggressività che segnò molte delle performances di quella che fu chiamata body art nasceva dall’amore verso l’altro, non corrisposto. Lo si mutò in affezione verso altri se stessi sdoppiati, camuffati, smedesimati, verso il romanzo di sé”. 

Le esperienze artistiche vere e profonde, il rapporto arte vita, i linguaggi che nascono in modo autentico, al limite in modi dolorosi e crudeli, hanno sempre intrigato questa donna intelligente e fascinosissima che ha vissuto in prima persona vicende dure e difficili e che aveva fatto propria un’affermazione dello scrittore spagnolo Javier Marías “Io sono il mio proprio dolore e la mia febbre”, diceva di quegli artisti, ma in fondo anche di sé: “coloro che provano dolore hanno bisogno di avere ragione”.

Figura A: Lea Vergine insieme al marito, l’architetto Enzo Mari (photo: Giuseppe Varchetta)

Figura B: Lea Vergine e Gina Pane in occasione della mostra “Gina Pane. Partitions/Opere multimedia 1984-85” tenutasi al PAC di Milano nel 1986 sotto la curatela di Vergine (photo: © Maria Mulas)

Per approfondire:

Una bibliografia dei titoli più significativi degli interessi di questa grande critica d’arte.
Scarica la biografia

Alcune mostre, in Italia, dedicate all’arte e al ruolo delle donne, non solo come modelle o compagne di artisti famosi, ma protagoniste dell’arte e della fotografia:

MILANO

ROMA

TORINO

Le tormentate elezioni americane: un’occasione per parlare di democrazia e social network 

Trattare eventi d’attualità nelle lezioni di storia e educazione civica consente di stimolare l’attenzione della classe e mostrare concretamente l’importanza dello studio del passato per interpretare il nostro tempo. In tal senso, la crisi politica in corso negli Stati Uniti offre l’opportunità di connettere importanti argomenti storici con temi di interesse per i ragazzi, come l’utilizzo del web e dei social network. 

L’opinione pubblica nell’epoca dei social network

Tra le cause della rivolta del 6 gennaio a Washington vi è il fatto che una parte consistente della popolazione americana è convinta, sulla base di informazioni tratte soprattutto dal web, di essere stata ingannata dalle autorità e dai mass media tradizionali. Questa problematica è strettamente legata con il tema dell’opinione pubblica, che in genere si affronta nella classe seconda, trattando l’Illuminismo. Se ne può trarre spunto per un dibattito sul ruolo del web e soprattutto dei social network nella creazione di una cittadinanza informata, anche alla luce dell’esperienza dei ragazzi con piattaforme come YouTube, FaceBook o Snapchat.

 Tra i temi toccati potrebbero esserci: 

  • la capacità dei social network di arricchire lo scambio di idee e renderlo immediato e interattivo; 
  • la mancanza di filtri, che consente un dibattito aperto ma facilita la diffusione di fake news; 
  • la tendenza dei social network a mettere in contatto persone con idee simili e a fornire agli utenti informazioni che confermano le loro opinioni, con il rischio che si creino comunità separate, che ricevono notizie diverse e non comunicano tra loro. 

I mezzi di comunicazione cambiano la democrazia

Gli eventi in corso negli Stati Uniti si prestano a essere inseriti in una più ampia riflessione sul legame tra innovazioni nel campo dei mass media e cambiamenti della politica. 

Per svolgerla, ci si può ricollegare a vari argomenti trattati nel corso del programma di terza: 

  • la società di massa e l’importanza dell’alfabetizzazione e della diffusione della carta stampata per l’evoluzione della politica in senso democratico e la nascita dei partiti di massa; 
  • il ruolo fondamentale della radio per la propaganda fascista e nazista o durante il New Deal, con le famose «chiacchierate al caminetto» di Roosevelt
  • l’influsso della televisione sulla comunicazione politica, tra tribune politiche e dibattiti in diretta, e sulla cosiddetta «personalizzazione della politica»

A partire da questi temi, si ha l’opportunità di valutare con la classe quali siano gli influssi del web sulla politica e sul rapporto tra cittadini e governanti e immaginare insieme opportunità e rischi creati dai nuovi mass media per nostro sistema politico. 

Recovery fund per una nuova posizione europea nel mondo

In nessuna epoca il mondo ha conosciuto una minaccia esistenziale così sconvolgente come quella di un perentorio cambiamento climatico, giunta purtroppo a sovrastare ormai il nostro pianeta, e, contestualmente, un impatto micidiale quanto pervasivo come quello provocato dal Coronavirus, un’epidemia senza precedenti rispetto ad ogni altra manifestatasi in passato, in quanto il virus attuale ha investito ogni parte del globo.

Come sappiamo, il Vecchio Continente è stato colpito molto duramente dal Covid-19 e ancor oggi, nonostante sia in corso la somministrazione su larga scala di un apposito vaccino, messo a punto nei laboratori scientifici, non è dato prevedere quando potremo considerarci affrancati del tutto da una grave emergenza sanitaria che ha falcidiato un gran numero di vittime.

Un passo importante è intanto avvenuto con l’adozione, da parte dell’Unione europea, del “Next Generation”, un piano di vasta portata che ha per obiettivo la costruzione di un’Europa più avanzata tecnologicamente e insieme più verde; mediante la propagazione delle tecnologie digitali su ogni versante economico e sociale, e il taglio, entro il 2030, del 55 per cento delle emissioni di gas serra, rispetto ai livelli del 1990. 

In virtù di questo duplice “salto di qualità”, la Comunità europea non dovrebbe incorrere nel pericolo, che sino a qualche tempo fa veniva dato per inevitabile, di finire relegata in una posizione secondaria nel nuovo quadro geopolitico ed economico mondiale: tanto marcata appariva, in complesso, la sua inferiorità strutturale, a causa di varie ipoteche e criticità, rispetto alla poderosa stazza di due colossi come la Cina e gli Stati Uniti, impegnati in una competizione sempre più serrata per la conquista tanto dell’egemonia economica e cibernetica che della supremazia politica nelle relazioni internazionali.

Oggi invece, grazie al Recovery Fund, varato nel dicembre 2020, l’Europa non risulta più fuori gioco, condannata perciò all’emarginazione, se non a subire un declino inesorabile. Anzi, le sue quotazioni sono risalite, in quanto, da un lato, può avvalersi di un cospicuo pacchetto di risorse finanziarie non solo per rilanciare la propria economia e accrescere le sue potenzialità, ma anche per migliorare concretamente le condizioni di vita dei propri cittadini. D’altra parte, in un’epoca in cui è tornato a imporsi il ruolo dello Stato (in seguito alla notevole mole di provvedimenti d’emergenza attuati dai governi e, quindi, di una crescita esponenziale del debito pubblico), si ritiene che la classe politica dei Paesi europei sia particolarmente attrezzata, in base ad attitudini ed esperienze maturate in passato, per elaborare determinate riforme che valgano a coniugare le innovazioni immateriali e la valorizzazione del capitale umano ai fini della formazione di un sistema sociale più equo e inclusivo. Qualora si affermasse questa prospettiva politica, potrebbe anche ricostituirsi una stretta connessione, con nuove visuali e linee direttrici, tra le due sponde dell’Atlantico. A questo riguardo la decisione del neo-presidente americano Joe Biden di riportare gli Usa agli accordi di Parigi sul clima sembra costituire un preludio significativo.

Per approfondire

Proponi un dibattito con i tuoi studenti sul tema del recovery fund. Ecco alcuni link da sottoporre loro per entrare nel merito e commentare non tanto gli importi quanto le voci che sono comprese nel quadro europeo e nella proposta attualmente in discussione nel nostro Paese:

RACCONTIAMO, il piacere di leggere e scrivere. La forza delle parole 

Lessico e scrittura

“Senza parole siamo elisi dalla realtà” scrive Andrea Marcolongo nel saggio “Alla fonte delle parole”. E quanto siano orfani di parole i nostri studenti – la generazione Z, allenata sin dai primi passi dell’alfabetizzazione alla lingua depauperata della messaggistica istantanea e dei social – lo constatiamo tutte le volte che ci sentiamo dire “prof, non so come dirlo”. Ecco, forse si può partire anche da qui, dal “come dirlo”, ovvero dalla scoperta che esistono molte parole, e altrettante sfumature di significato quando collochiamo ciascuna di esse nella nostra esperienza.

I numeri delle parole

Quante sono le parole della lingua italiana? E come si contano? Se consideriamo ciascuna parola con le sue marche grammaticali – per esempio il verbo scrivere e tutta la sua coniugazione, il sostantivo ragazzo declinato e alterato – si supera quota due milioni. Se volessimo usarle tutte, in una vita media di 80 anni, potremmo dire ogni giorno più di sessanta parole nuove. 

Se invece ci limitiamo alle parole senza marche grammaticali, come per l’appunto l’infinito di un verbo, la stima è 460mila. Di queste, 40mila circa sono quelle conosciute dalle persone di alta formazione, mentre 6.500 è il numero magico della comunicazione quotidiana: tante sono infatti le parole praticate abitualmente da tutti coloro che hanno un’istruzione scolastica standard.

Il De Mauro

Si deve a Tullio De Mauro l’osservazione analitica del lessico comune della nostra lingua, che può essere rappresentato così

Il lessico fondamentale dell’italiano è costituito da parole di uso frequentissimo, che conosciamo e usiamo sin dai primi passi linguistici: il 90% dei nostri discorsi quotidiani è composta da queste parole. Per esempio il sostantivo casa, il verbo respirare, il pronome personale tu.

Nel lessico di alto uso, cioè conosciuto da tutti ma usato meno frequentemente rispetto a quello fondamentale, ci sono le parole che si imparano andando a scuola: verbi come curiosare, dialogare e osare, e sostantivi come divinità, sperimentazione e veicolo. Il 6% della comunicazione di tutti i giorni attinge a questo “serbatoio” linguistico.

Il lessico di alta disponibilità è formato da parole che si usano solo in determinati contesti, ma in quei contesti tutti, senza eccezione, le comprendono: lucidare, multare, interruttore, dinosauro, elicottero, e così via. Usiamo queste parole con una frequenza del 2% circa.

Il vocabolario di base non è dato una volta per tutte. Viene costantemente rivisto, perché ci sono parole che escono dall’uso quotidiano, mentre parole nuove entrano. Per esempio, nella versione del 2016 internet e web sono state inserite nel lessico fondamentale.

Quello che i dizionari dicono e non dicono

Vocabolari e dizionari sono opere preziose, di cui non si raccomanda mai abbastanza agli studenti la consultazione in caso di dubbio nella scrittura, nel significato o nell’uso di una parola.

C’è però una cosa che il vocabolario non spiega, dato il suo carattere rigoroso e scientifico: il significato profondo e affettivo che ogni parola assume nelle esperienze personali: potremmo chiamarla la vita segreta delle parole. Per esempio: amico, come ci spiega la Treccani, nel suo significato primario è

  1. m. (f. -a) e agg. [lat. amicus, affine ad amare] (pl. m. –ci). – 1. s. m. Chi è legato ad altri da vincoli di amicizia: avere, trovare, perdere, farsi un a.; a. intimo, a. d’infanzia; l’a. del cuore, quello cui si è più intimamente legati (spesso scherz.)

Ma amico vuol dire molto più di così. È un viso, un nome, un ricordo, una risata, una serata passata insieme, un segreto confidato, una paura svelata, un abbraccio proprio quando ci voleva, un’occhiata complice che ha fatto sentire al sicuro, la nostalgia di un saluto… ogni volta che usiamo la parola amico, questi significati risuonano nel modo in cui la pronunciamo, nell’aspettativa che sentiamo, nel desiderio di essere amico e di avere un amico. 

Dizionari affettivi

A differenza dei vocabolari tradizionali, quelli affettivi si possono leggere come un libro. Non hanno propriamente una trama, come i romanzi e i racconti, ma di fatto ogni parola diventa un piccolo racconto, un gioco, un’esplorazione curiosa. Ecco qualche esempio.

Camera la mia stanza è il mio rifugio quando non voglio nessuno tra i piedi, chiudo la porta e il mondo rimane fuori, mi posso dedicare alle mie piccole cose, posso scrivere e leggere, buttarmi sul letto a pensare.

(Quello che ho da dirvi, a cura di G. Caliceti, G. Mozzi, Einaudi, 1998)

Pizza Adoro la pizza. Soprattutto da quando ho imparato a farla. L’adoravo già prima.  Ma adesso che conosco tutti i segreti ogni boccone ha un sapore particolare. Ogni boccone mi racconta una storia. Ogni boccone nasconde un mistero. E poi la pizza mi mette allegria. Mi fa pensare all’estate, all’amore, alla gente semplice,  al caldo del forno, alle chiacchiere sotto i pergolati, al vociare nelle strade di Napoli, al mare, alle mani che impastano e creano, alla voglia di vivere, al sudore, al meritato riposo, alle risate di Lucy, alle cose che si tramandano, alla vita.

(Dizionario affettivo della lingua italia, a cura di Matteo B. Bianchi, Fandango, 2008)

Telefono Quando si aspetta una telefonata da parte di lui il telefono siamo noi. Cioè, noi ci incarniamo nel telefono e quando squilla ci sentiamo come se ci stesse squillando dentro. Il telefono, dunque, è uno strumento di tortura moderno.

(S. Blady e S. Toni, Vocabolario sessuato, Feltrinelli, 1993)

Esperimenti didattici

Ecco qualche attività per avviare con gli studenti l’esplorazione del lessico in tutte le direzioni, tradizionali e affettive. Si tratta di proposte di scrittura breve e personale, che richiedono allo studente di porre l’attenzione sulla materia incandescente che maneggia senza ancora avere consapevolezza della sua forza: la forza della parole, appunto.

Alla lettera N, il vocabolario di base De Mauro riporta, tra le altre, queste parole:

  • lessico fondamentale: nascere, nascita, nascondere, naso, nastro, natale, natura, negativo, nero, nessuno, niente, no, noi, nonna, notte, novembre, nucleare, nudo;
  • lessico di alto uso: narratore, nasale, navigazione, nazista, necessariamente, neonato, nervo, network, neutro, nomina, nonché, normativa, nostalgia, notaio, nozione;
  • lessico di alta disponibilità: nascondino, naufragio, navicella, noleggiare, nylon.
  1. Considera il lessico di alto uso: tra le parole elencate, quali hai imparato o usato più frequentemente a scuola?
  2. In quali contesti ben determinati potresti usare le parole di alta disponibilità elencate sopra?
  3. Quali parole, secondo te, sono entrate solo di recente nel vocabolario di base? 
  • Scrivi una definizione per ognuna di queste parole. Mettici i ricordi, le associazioni di immagini, le esperienze: in breve, tutto quello che rende la parola speciale e unica. Sii naturale, affidati alla tua emozione e fidati della tua penna.
    casa, gioco, libro, ricordo, scarpe, bicicletta, luna, televisione, carnevale.
  • Scegli una parola che ti piace o che per te è importante e spiega, nella tua definizione, perché hai scelto proprio quella.

Elezioni e campagne elettorali

In età repubblicana tutte le cariche pubbliche (honores) erano elettive e avevano durata annuale, tranne in pochi casi (i censori, ad esempio, rimanevano in carica 5 anni). La popolazione di Roma, quindi, viveva in un clima di perenne “campagna elettorale”. 

Avevano diritto di voto tutti i cittadini romani maschi senza distinzione di censo o di condizione sociale; partecipavano inoltre alle elezioni dei magistrati anche i cittadini di alcuni municipi che, pur non essendo cives Romani optimo iure, cioè cittadini romani a pieno titolo, godevano tuttavia dello ius suffragii, cioè del diritto di voto. 

Le elezioni si svolgevano nell’ambito dell’assemblea a cui spettava il diritto di eleggere un determinato magistrato: i magistrati maggiori (consoli, censori, pretori) venivano eletti nei comizi centuriati, i tribuni della plebe, gli edili e i questori, invece, nei comizi tributi; al senato infine spettava l’elezione del dittatore. Il voto (suffragium), nell’epoca più antica, era palese, successivamente divenne segreto: comunque non vinceva il candidato che aveva ricevuto il maggior numero di voti individuali, ma quello che riusciva ad aggiudicarsi la maggioranza delle centurie o delle tribù.

La campagna elettorale era detta ambitus, dal verbo ambio che significa propriamente «andare intorno», con riferimento ai “giri” elettorali che il candidato doveva fare ogni giorno per farsi conoscere e sollecitare il voto dei suoi concittadini, in cambio di promesse di favori: il tutto si svolgeva con una tecnica ben collaudata: l’aspirante a una carica pubblica (petitor), dopo aver depositato ritualmente la sua candidatura, indossava come segno distintivo la toga candida (per questo veniva chiamato candidatus) e si aggirava nei luoghi più frequentati di Roma (il foro, le terme, i mercati…) per “agganciare” e blandire i potenziali elettori (questa operazione si chiamava prensatio, che propriamente significa «stretta di mano»); nel suo girovagare era accompagnato dal maggior seguito possibile di clientes e di amici importanti, e soprattutto, accanto a lui c’era sempre un nomenclator, cioè un segretario che gli suggeriva tempestivamente il nome delle persone che incontrava. In questo modo il candidatus poteva chiamarle per nome e creare così l’atmosfera familiare di un incontro con un vecchio amico al quale chiedere il favore di un voto, promettendo in cambio di ricordarsi di lui in caso di vittoria. 

La campagna elettorale si svolgeva senza esclusione di colpi: si andava dalle promesse di favori alla denigrazione dei concorrenti, dalla corruzione al voto di scambio e al broglio elettorale vero e proprio. Ne è prova l’elevato numero di processi de ambitu, cioè per brogli elettorali, di cui ci è giunta notizia. 

Una campagna elettorale, specie per le cariche più importanti, era molto costosa, i candidati dovevano spesso indebitarsi e, naturalmente, quando riuscivano nel loro intento cercavano poi in ogni modo di rifarsi delle spese sostenute….

La propaganda elettorale non si svolgeva solo con i contatti personali, ma anche attraverso “manifesti” scritti sui muri, con l’esaltazione delle qualità dei canditati e l’invito a dare loro il voto. Delle scritte sui muri di Roma non abbiamo naturalmente nulla, le uniche che conosciamo sono quelle trovate sui muri delle case di Pompei, conservate intatte dalle ceneri infuocate del Vesuvio che nel 79 d.C. seppellì la città con tutti i suoi abitanti sotto una enorme massa di ceneri infuocate. Eccone alcune che riguardano non l’elezione di consoli e pretori, ma quelle di magistrati municipali (oggi parleremmo di consiglieri comunali, assessori, sindaci). L’invito a votare per una certa persona è per lo più fatto da una intera categoria professionale della quale, evidentemente, il candidato aveva promesso di tutelare gli interessi (CIL, IV 710, 429, 698, 710, 1147, 6626):

Ennium Sabinum aedilem pomarii rogant
I fruttivendoli chiedono come edile Marco Ennio Sabino

Iulium Polybium aedilem oro vos faciatis. Panem bonum fert
Vi prego di eleggere edile Gaio Giulio Polibio. Fa del buon pane.

Aulum Vettium Firmum aedilem oro vos faciatis dignum rei publicae. Pilicrĕpi facĭte
Vi pregi di eleggere edile Aulo Vezzio Firmo, un uomo degno della pubblica amministrazione.
Giocatori di palla, eleggetelo.

Sabinum et Rufum aediles dignos re publica Valentinus cum discentes suos rogat
Valentino con i suoi studenti chiede come edili Sabino e Rufo, degni della pubblica amministrazione

In questo caso a sostenere la candidatura è un maestro con i suoi scolari: speriamo che a scrivere il graffito non sia stato proprio il maestro, visto che contiene un grossolano errore di grammatica (cum costruito con l’accusativo anziché con l’ablativo)!

Marcum Cerrinium Vatiam aedilem oro vos faciatis, seribibi universi rogant
Vi prego di eleggere edile Marco Cerrinio Vatia. Lo chiedono tutti i beoni nottambuli.

Chissà che promesse aveva fatto questo candidato per avere l’appoggio dei seribĭbi, che letteralmente significa «coloro che bevono tardi», cioè «i beoni nottambuli»! È probabile che si tratti di “antipropaganda”, intesa a denigrare un candidato, visto che lo stesso Marco Cerrino in altri due graffiti viene sostenuto anche dai dormientes universi, cioè da «tutti i dormiglioni» e dai furŭnculi, cioè dai «ladruncoli» (furuncŭlus è diminutivo di fur). 

Per approfondire

  • Come si faceva propaganda elettorale ai tempi dei romani? Lo possiamo ancora vedere a Pompei?
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  • Apri un dibattito con la tua classe partendo dai fatti di cronaca. Come funziona il sistema elettorale negli Stati uniti d’America?
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Il più grande buco dell’ozono

Il 28 dicembre 2020 si è chiuso il buco dell’ozono più grande mai registrato. Lo ha dichiarato il 6 gennaio l’agenzia metereologica della Nazioni Unite la World Meteorological Organization.

Il buco nello strato di ozono era localizzato in Antartide e aveva raggiunto a settembre quasi i 25 milioni di chilometri quadrati arrivando a coprire buona parte del continente e dell’oceano australe. Il buco è rimasto molto ampio da settembre a fine novembre quando ha cominciato a ridursi. Questo ne fa il più duraturo nonché il più ampio buco da quando, quarant’anni fa, si è cominciato a registrare l’ozono in atmosfera.

Lo strato di ozono si trova tra i 20 e i 40 km dalla superficie terrestre, in piena stratosfera. Le basse temperature nella stratosfera hanno un effetto negativo sulla formazione dell’ozono. Durante la primavera e parte dell’estate antartica del 2020 la temperatura della stratosfera si è mantenuta bassa più a lungo del solito. Questo è dovuto all’insolito persistere di una corrente fredda sopra il continente antartico.

L’ossigeno è presente nell’atmosfera sotto forma di molecola a due atomi di ossigeno, O2, che è la forma che noi respiriamo e utilizziamo. Nella stratosfera però svolge un altro ruolo importante bloccando i raggi ultravioletti. Infatti, l’ozono è formato da tre atomi di ossigeno e la sua presenza filtra le radiazioni ultraviolette.

Nella stratosfera, l’ozono si forma e si disgrega grazie proprio alla radiazione ultravioletta. I raggi con lunghezza d’onda inferiore ai 240 nm vengono assorbiti dalle molecole di O2 dell’atmosfera che si rompono liberando due atomi di O. Questi si legano entrambi a una molecola di O2 creando l’ozono O3. A sua volta l’ozono assorbendo i raggi ultravioletti con lunghezza tra i 240 e i 300 nm e si rompe liberando nuovamente O e O2.

Questo equilibrio protegge la vita sulla terra assorbendo l’energia dei raggi ultravioletti. Senza lo strato di ozono, infatti, questi raggi UV arriverebbero fino alla superficie danneggiando tutte le forme di vita terrestri provocando danni alla pelle e al DNA.

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