Si avvicina il tempo delle certificazioni. Questo mese troverete molte idee per la preparazione ed il ripasso in vista degli esami di lingua.


Si avvicina il tempo delle certificazioni. Questo mese troverete molte idee per la preparazione ed il ripasso in vista degli esami di lingua.
Secondaria di 2° grado Secondaria di secondo grado Economia politica Scienza delle finanze
Il contenuto è protetto da password
Contatta la tua agenzia di zona per richiedere il codice d'accesso
Il dissesto idrogeologico è un potente modificatore del paesaggio. Nella loro virulenta forma presente, fenomeni come le frane, le inondazioni e l’erosione costiera sono stati definiti come malattia della civilizzazione, perché è la stessa evoluzione umana o meglio ancora il progresso tecnologico che hanno accelerato il lento decorso dei fenomeni naturali in maniera travolgente e preoccupante.
Nell’ultimo cinquantennio, purtroppo, la dissipazione di risorse primarie e il non corretto uso del suolo hanno dato luogo ad una situazione di diffuso degrado che contribuisce ad amplificare gli effetti dei fenomeni distruttivi di origine naturale quali alluvioni, frane ed erosione della costa. L’erosione della costa è, pertanto, il risultato diretto ed indiretto delle alterazioni del ciclo dei sedimenti determinate da cause naturali e antropiche.
I fenomeni erosivi possono essere suddivisi in due categorie: l’erosione a breve termine, di tipo reversibile, prodotta in genere dal trasporto di sedimenti verso il largo, associata alle mareggiate (con periodicità stagionale), e l’erosione a lungo termine dovuta normalmente a squilibri nel bilancio sedimentario originati dal trasporto solido litoraneo.
Per l’erosione a lungo termine i fattori naturali hanno un ruolo di gran lunga predominante, soprattutto nel lungo periodo, e quelli più importanti sono: i venti e le tempeste, le correnti vicine alle spiagge, l’innalzamento del livello del mare, la subsidenza del suolo e l’apporto liquido e solido dei fiumi al mare. Tuttavia, attualmente, l’erosione è determinata principalmente dall’intervento dell’uomo sull’ambiente.
Tra i fattori antropici si evidenziano quelli inerenti l’utilizzazione della fascia costiera con la realizzazione di infrastrutture ed opere per insediamenti abitativi, industriali e ricreativi; l’uso del suolo e l’alterazione della vegetazione; l’estrazione di acqua dal sottosuolo; la pulizia della spiaggia con mezzi meccanici o pesanti; lo scalzamento e la distruzione della duna; la regimazione dei corsi d’acqua, sia per la difesa del suolo che per il prelievo della stessa risorsa idrica per uso potabile, irriguo ed industriale e l’estrazione di inerti dai fiumi da utilizzare nelle costruzioni. Le azioni antropiche destabilizzano i complicati e delicati equilibri che presiedono alla costituzione delle spiagge ed alla loro evoluzione.
Nel dettaglio, tali fattori includono:
L’erosione costiera ha raggiunto in molti tratti livelli di grave dissesto e, considerata la rapida evoluzione dei fenomeni di arretramento delle spiagge degli ultimi anni, le prospettive future sono molto preoccupanti. Si ritiene pertanto utile e d’interesse, proporre qui di seguito taluni principi e considerazioni di carattere generale di cui dovrebbero tener conto le istituzioni, gli amministratori pubblici e privati, i tecnici e tutti i soggetti coinvolti nell’assumere le decisioni in materia.
A titolo di esempio, il veicolo pulisci spiaggia, cd. “Solarino”, a controllo remoto e a propulsione solare è in grado di ridurre al minimo sino quasi ad annullare qualsiasi impatto sul sistema spiaggia. Tale veicolo non determina l’usura e la compattazione della spiaggia. Tale veicolo è fondamentale in quanto tutela l’integrità funzionale dei sistemi mobili costieri adibiti ad uso turistico. È bene ricordare, infatti, che le spiagge sabbiose sono continuamente sottoposte all’azione del moto ondoso e del clima. Inoltre, la loro morfologia è dinamica e non statica.
En ocasión del día Internacional del libro (23 de abril) me gustaría aconsejaros la apasionante trilogía, Hijos de York, de la escritora Cristina Mourón Figueroa.
Esta trilogía narra el turbulento periodo de la Guerra de las Rosas, a través de las vivencias de Alice, una chica originaria de York, a la que los acontecimientos la llevaran a conocer a personas que le cambiarán la vida. La obra atrapa en sus redes al lector ya desde sus primeras líneas gracias a sus descripciones veloces, detalladas y envolventes, su ágil prosa y su rigurosidad histórica.
Déjate llevar de la mano de la sapiente prosa de la autora y revive un inolvidable periodo histórico y descubre las mentiras existentes sobre la denostada figura de Ricardo III, en medio de mil aventuras en donde reinan la pasión, el amor y la traición.
Hijos de York I: York
Corre el año 1472, mientras en York, tras los episodios más cruentos de la Guerra de las Rosas, Alice, la protagonista, conocerá al actor Thomas Norton de quien se enamorará perdidamente. En Londres Richard, duque de Gloucester, contrae matrimonio con Lady Anne Neville, hija del traidor conde de Warwick. Todo parece tranquilo, sin embargo, la incursión inglesa en Francia de 1475 desencadenará una serie de terribles e inexorables acontecimientos que entrelazará de manera irrevocable las vidas y los destinos de todos ellos.
Hijos de York II: Middleham
Middleham, Inglaterra, 1476. Bajo la protección de Richard, duque de Gloucester, Alice se enfrenta a una nueva y sorprendente etapa de su vida. Aunque añora York y a su familia, ella encontrará paz, recuperará aficiones que creía perdidas para siempre y luchará por no caer en las garras de un amor prohibido.
Hijos de York III: Londres
Londres, Inglaterra, 1483. Tras la sorprendente y repentina muerte del rey Edward, Richard Gloucester, duque de Gloucester, asciende al trono como Richard III. Dispuesto a reinar con justicia y legitimidad, Richard buscará la reconciliación con sus acérrimos enemigos, mientras desbarata conspiraciones y atentados contra su vida y se enfrenta a la invasión de Henry Tudor. Alice y sus hijos serán testigos de su lucha por defender la corona. Todos se verán envueltos en una sucesión de súbitas tragedias que sacudirán sin compasión los cimientos de sus sueños, esperanzas e ilusiones.
Può esistere un mondo senza confini? Ripercorrendo la storia, la risposta non può che essere negativa. Eppure, a ben guardare, ci si rende conto che quello tra gli esseri umani e i confini è uno dei rapporti più controversi che siano mai esistiti. Partiamo da un dato di chiara evidenza: tra tutti gli esseri viventi, la specie umana è quella che più crea confini e, allo stesso tempo, più si adopera per superarli. Numerosissime sono le linee di confine tracciate nel corso del tempo, così come numerosissimi sono stati i tentativi di oltrepassarle.
Quello del confine è un concetto che raccoglie attorno a sé una molteplicità di significati. Potremmo dire che esso può rappresentare un luogo di separazione, ma anche di incontro e di scambio; o un oggetto di contesa, fonte di tensioni politiche, etniche e religiose; o ancora un ostacolo che molti vogliono oltrepassare, alla ricerca di nuove prospettive di vita. Proviamo qui a passare in rassegna – senza pretesa di esaustività – alcuni confini del passato e del presente che hanno assunto o assumono questi significati.
Ai tempi dell’Impero romano per indicare il confine si usava la parola limes. Questo termine, che in origine indicava il sentiero che separava i campi agricoli, assunse in questa epoca un significato ben preciso: esso era il confine che sorgeva in prossimità del corso del Reno e del Danubio, e che separava il mondo romano da quello dei germani. Per secoli il limes non fu una barriera insormontabile, anzi rimase un luogo di contatto e di incontro tra due popoli e due culture, una linea permeabile lungo cui si scambiavano non solo le merci, ma anche le conoscenze, gli usi e i costumi, le idee.
La svolta si ebbe solo nel III secolo d.C., quando i germani cominciarono a fare razzie in territorio romano, attratti dalla possibilità di ricchi bottini. Fu a questo punto che il confine venne fortificato, trasformandosi per i romani in una linea difensiva, lungo cui sorgevano torri, fortini e castra, cioè accampamenti militari. Ma a dire il vero anche in questo frangente il limes non cessò del tutto di essere un luogo di passaggio di viaggiatori e prodotti. Anche oggi, quando non sono barriere, i confini permettono l’incontro tra popoli e culture diversi: diventano cioè fonte di nuove conoscenze, scoperte, opportunità, scambi di storie e di idee.
Ricostruzione della torre di di guardia di Pohl, in Sassonia, lungo l’antico limes romano in Germania.
La gran parte dei conflitti della storia si sono combattuti attorno ai confini. Da questo punto di vista il secolo lungo, il Novecento, è stato purtroppo testimone di numerosi e tragici episodi bellici. Il confine tra Francia e Germania, così come quello tra Italia e Austria, divenne teatro delle più spaventose carneficine della Prima guerra mondiale.
Dopo la Grande guerra, il confine tornò presto oggetto di contesa internazionale. I principi di nazionalità ed autodeterminazione dei popoli sostenuti dal presidente statunitense Wilson vennero presto rimessi in discussione, in particolare nelle più delicate aree di confine. Un esempio è quanto accadde per la regione della Dalmazia e per la città di Fiume, che erano abitate da molti italiani e che l’Italia perciò aveva chiesto di annettere. I nazionalisti parlarono di “vittoria mutilata”, perché secondo loro quei territori dovevano rientrare tra i confini italiani. Da qui l’occupazione di Fiume del 1919 guidata dal D’Annunzio, questione chiusa solo nel novembre del 1920 dal trattato di Rapallo, che rese Fiume “città libera”, cioè non dipendente dalla sovranità di uno Stato.
Allargare i propri confini divenne poco più tardi l’imperativo della Germania nazista, in nome del pangermanesimo e della teoria dello “spazio vitale”. Si aprì così un’escalation di pressioni e violenze, di annessioni più o meno “spontanee” (si pensi all’Anschluss dell’Austria o alla rivendicazione da parte di Hitler del territorio dei Sudeti, nel 1938) o propriamente forzate (con l’invasione e l’occupazione della Cecoslovacchia e del corridoio di Danzica, nel 1939)
Di annessioni forzate siamo stati spettatori anche in tempi molto più recenti. Basti pensare a quanto accaduto in Crimea tra il febbraio e il marzo 2014, quando le truppe russe, sostenute da una parte della popolazione locale filorussa, hanno occupato la penisola, sottraendola al controllo ucraino. Nel Novecento come ai giorni nostri, le annessioni forzate si sono dimostrate preludio a successivi conflitti, come la Seconda guerra mondiale o la guerra tra Russia e Ucraina.
Le truppe naziste tedesche rimuovono una sbarra che segna il confine con la Polonia: è l’inizio della Seconda guerra mondiale.
Il confine può essere inteso anche come un limite che le persone cercano di oltrepassare, spinte dalla ricerca di un lavoro o di migliori condizioni di vita. Parliamo a questo proposito dell’emigrazione degli italiani che ha caratterizzato la storia del nostro Paese dalla metà dell’Ottocento agli anni Settanta del Novecento.
In questo lungo periodo si possono individuare due grandi momenti migratori. Il primo va dal 1850 circa al 1940: circa 10 milioni di italiani emigrarono prevalentemente verso gli Stati Uniti e l’America latina. Il secondo va dal 1946 al 1970: altri 8 milioni di italiani emigrarono soprattutto verso i Paesi più industrializzati del Nord Europa. In entrambi i casi le motivazioni furono la ricerca del lavoro e di una vita più dignitosa rispetto a quella che potevano condurre in alcune aree d’Italia particolarmente arretrate dal punto di vista dello sviluppo economico.
Con il 1970 e la crescita del benessere del nostro Paese, l’emigrazione diminuì, anche se aumentarono le migrazioni interne dal Sud al Nord della penisola. In anni più recenti l’Italia è diventata terra di immigrazione, destinazione di persone provenienti soprattutto da Paesi più poveri. Oggi i cittadini stranieri in Italia sono circa 5 milioni, che costituiscono il 9,5% della popolazione totale. Ma non bisogna scordare che tuttora sono circa 5 milioni gli italiani all’estero e ogni anno 100000 persone circa emigrano.
I Paesi più ricchi del mondo attuale percepiscono l’immigrazione dai Paesi poveri principalmente come un problema e non sono pochi i casi di Stati che si chiudono o si stanno chiudendo entro i propri confini (dal punto degli ingressi, non delle uscite…). Ed è così che in tempi recenti stanno tornando le barriere, i muri, le linee di separazione: si pensi, per citare un celebre caso, al confine tra Messico e Stati Uniti.
Ma il Vecchio Continente non è esente da questa tentazione: a fine 2022 si sono contati 2048 chilometri di muri ai confini dell’Unione europea. Si va dai 21 chilometri di recinzione costruiti dalla Spagna intorno alle sue exclave in Marocco di Ceuta e Melilla, ai 35 chilometri tra Grecia e Turchia, dai 158 chilometri di barriera realizzati dall’Ungheria al confine con la Croazia (oggi membro Ue), ai 235 chilometri tra Bulgaria e Turchia.
A seguire questa strada, dunque, sono proprio i Paesi dell’Unione europea, quell’istituzione che nel 1990 attuò il primo grande tentativo di superare i propri confini, togliendo le frontiere interne e creando il cosiddetto Spazio Schengen per la libera circolazione delle persone. Un paradosso o una necessità? Può il confine ridotto a barriera rappresentare la soluzione del fenomeno migratorio?
Tijuana, un’immagine della barriera eretta al confine tra USA e Messico.
L’asciutta è l’interruzione forzata della lattazione che permette alle bovine di effettuare un periodo di pausa e di riposo per prepararsi alla successiva lattazione. Le motivazioni che sono alla base di questa fase di allevamento sono:
La fase dell’asciutta ha una durata convenzionale di 60 giorni (Sguerrini, 2015) e risulta un momento improduttivo dove le bovine rappresentano esclusivamente una voce di costo per il bilancio aziendale.
Diversi studi scientifici hanno evidenziato che, un’asciutta con una durata pari a 35 giorni, può far diminuire la produzione di latte di una quantità che può variare tra il 20% e il 4,4% in meno nelle lattazioni successive (Santschi et al., 2014). Questa perdita può essere compensata dalla produzione di latte che può variare tra i 400 e i 500 kg in più durante i giorni di extra lattazione. L’asciutta con una durata ridotta a 35 giorni inoltre garantisce una miglior efficienza ruminale in termini di minore stress dovuto al cambio dieta e miglior ripresa dell’attività ruminale nel post parto/inizio lattazione. Questo a patto che le diete formulate per l’asciutta siano ben equilibrate (Drackley, 2011).
Durante il periodo di asciutta emergono però due importanti criticità che possono evidenziarsi nei primi 15-20 giorni dopo l’ultima mungitura (periodo chiamato dry-off) e, successivamente, nei 15-20 giorni che precedono il parto (periodo chiamato close-up).
Ci concentriamo qui sulla prima criticità che vede, a seguito della messa in asciutta, l’alta probabilità di insorgenza di mastiti cliniche o subcliniche (Schukken et al., 2011) che, successivamente, non verranno diagnosticate generando ingenti perdite economiche (la causa è la mancanza di controlli oggettivi da parte degli allevatori in concomitanza dell’ultima mungitura). La mastite è un’infiammazione della ghiandola mammaria dovuta a diverse cause che prevalentemente si riconducono a infezioni di tipo batterico (Zecconi et al., 2013). Per tale motivo la cura di queste patologie avviene con l’utilizzo di terapie a base di principi attivi antibiotici. Le nuove norme comunitarie (reg. 2019/6 EU) di tracciamento, controllo e uso dei farmaci veterinari promuovono un uso più consapevole degli antibiotici al fine di contrastare l’antibiotico resistenza (AMR – Anti Microbial Resistance). Durante la messa in asciutta, in concomitanza con l’ultima mungitura, è prassi consolidata trattare gli animali con una terapia antibiotica ad ampio spettro d’azione con un tempo di sospensione pari a 60 giorni. Questa strategia però vanifica gli obiettivi comunitari di riduzione dell’uso di antibiotici perché prevede l’utilizzo indiscriminato di farmaci anche su animali sani. Una recente indagine ha evidenziato che il 53% degli allevamenti italiani utilizza ancora questa strategia, il 9% non utilizza nessun antibiotico ed il 38%, invece, applica la terapia antibiotica selettiva (Bonellli et al., 2020).
La terapia antibiotica selettiva prevede di somministrare il farmaco solo a quegli animali che evidenziano un numero di cellule somatiche superiore alle 200.000 cellule/ml (Zecconi, 2019). L’utilizzo dell’asciutta selettiva permette di diminuire l’utilizzo di antibiotici generando un notevole risparmio economico senza causare perdite produttive e senza influire negativamente sulla salute delle bovine.
Secondaria di 2° grado Classe quinta IT Settore economico – Indirizzo Turismo Esame di Stato
Il contenuto è protetto da password
Contatta la tua agenzia di zona per richiedere il codice d'accesso
Secondaria di 2° grado Secondaria di secondo grado Diritto civile e internazionale Diritto internazionale
Il contenuto è protetto da password
Contatta la tua agenzia di zona per richiedere il codice d'accesso
Una ricerca scientifica presso la Ohio State University ha calcolato il bagaglio lessicale dei bambini che entrano a scuola in relazione alla quantità di libri che sono stati letti loro dalla nascita fino ai 5 anni. Sembra infatti vi sia una correlazione tra la proprietà lessicale e la quantità di parole conosciute dai bambini ai quali sono stati letti molti libri.
Stiamo parlando di una differenza impressionante: i bambini piccoli a cui i genitori leggono cinque libri al giorno entrano alla scuola dell’infanzia dopo aver sentito circa 1,4 milioni di parole in più rispetto ai bambini ai quali non sono mai stati letti libri. Questa ricerca fa nascere una riflessione: quanto fondamentale può essere la lettura ad alta voce, fin dai primi mesi, ma soprattutto lungo tutto l’arco scolastico?
Leggere a voce alta a scuola
La letteratura per l’infanzia ha il potere di arricchire il mondo interiore dei nostri bambini e delle nostre bambine, ma allo stesso tempo pone domande, fa nascere curiosità, costruisce significati nuovi e diversi, apre orizzonti di senso e fa crescere il desiderio di leggere ancora. Fin dai primi giorni di scuola l’insegnante con la lettura ad alta voce può seminare il piacere della bellezza, attraverso la lettura di storie sempre diverse ma soprattutto di qualità. L’orizzonte da tenere a mente è sicuramente ampio e non raggiungibile in tempi brevi, perché ci vuole tempo, per formare “lettori per sempre, abituati a ricavare una reading zone lungo l’intero arco della vita, buongustai della lettura e delle storie” (S. Pognante).
Quando parliamo di formare lettori intendiamo bambini e bambine abituati ad andare in profondità delle storie, dove il piacere della lettura passi anche attraverso i collegamenti e le connessioni con la propria vita e con i significati molteplici delle narrazioni. Infatti se abituiamo i nostri alunni e le nostre alunne a riconoscere e interpretare i segnali forniti dal testo, saranno in grado di comporre significati e potranno confrontarsi con la pluralità di orizzonti che le storie aprono.
L’esplorazione di un libro fatta in modalità collettiva non ha sicuramente lo scopo di verificare la comprensione del testo o il suo gradimento, ma tende a mettere il lettore al centro, che come un detective individua gli indizi per costruire significati e categorie. Dobbiamo fare attenzione alla modalità con cui parliamo di libri con bambine e bambini, in quanto vi sono domande che inibiscono la conversazione, perché richiedono categorizzazioni e richieste specifiche, che non abituano i lettori ad andare a fondo.
Le domande non funzionali sono ad esempio: di cosa parla il libro? Chi sono i personaggi? Ti è piaciuto? Che cosa ci insegna la storia? Dall’altra parte alcune domande funzionali invece sono: Cosa ne pensate? Avete notato qualcosa di interessante? Come lo sapete? Come si capisce che..? Puoi farci vedere dove hai visto..? Il nostro obiettivo è quello di fare in modo che i significati e le categorie, insieme all’interpretazione, siano costruiti sul campo, attraverso l’analisi collettiva e approfondita del testo.
Il tempo dedicato alla lettura è prezioso: se ai bambini si fa sperimentare la bellezza, se si fa loro toccare con mano la meraviglia e lo stupore, saranno poi attenti a riconoscerla nel mondo, sapranno cogliere la bellezza delle piccole e grandi cose, della natura dell’arte o dell’intelletto. (Capetti, 2018)
“Non legge!”, “Non gli piace leggere.”, “Vorrei che leggesse di più…” sono espressioni che sentiamo molto spesso e che ci vengono rivolte sia dai colleghi insegnanti che dai genitori. Leggere è una questione di prossimità e di routine, dove per prossimità intendiamo la possibilità di accedere a un numero discreto di libri e per routine un’azione deliberata e ripetuta nel tempo.
Se vogliamo che i bambini leggano di più dobbiamo metterli nella condizione di avere a disposizione un buon numero di libri. Per farlo dobbiamo approntare un angolo o uno scaffale in classe preposto a questo scopo. Ma quando leggere? A scuola sembra non esserci mai tempo eppure, la competenza LETTURA è a tutti gli effetti uno degli obiettivi del curricolo della Lingua Italiana e dell’intero consiglio di classe che è chiamato, secondo le Indicazioni Nazionali per il Curricolo di Italiano, a promuovere la lettura in tutte le discipline. Quindi occorrerà creare delle routine affinché questo obiettivo possa essere portato avanti trasversalmente. Di seguito elenchiamo cinque routine che possiamo instaurare proficuamente in classe:
Il libro che abbiamo scelto questo mese per accompagnare l’azione didattica è “È un libro” di Lane Smith edito da Rizzoli; si tratta di un albo illustrato molto ironico che vuole mettere in evidenza le differenze tra un libro e i dispositivi digitali.
Il video qui proposto è suddiviso in tre parti:
Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.
Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.
Entrambe sono autrici Fabbri–Erickson.