Un mare di plastica

Enzo Suma è una guida naturalistica di Ostuni, in provincia di Brindisi. È anche l’ideatore di Archeoplastica, il museo dei rifiuti in plastica che lui stesso da anni raccoglie sulle spiagge salentine. Della collezione fanno parte flaconi, bombolette spray e oggetti che talvolta sono stati sospinti dalla corrente per più di cinquant’anni prima di fermarsi su una spiaggia, rimanendo in ottimo stato di conservazione. Con il suo progetto, Enzo organizza giornate di pulizia della spiagge, mostre e attività di sensibilizzazione riguardo lo stato di inquinamento del nostro mare e delle nostre coste.

Il problema dei rifiuti plastici in mare è estremamente serio. L’IUCN, l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, ha pubblicato nel 2020 il report The Mediterranean: Mare plasticum in cui denuncia la piaga dell’inquinamento dovuto a materie plastiche. Nel report, l’organizzazione non governativa stima una quantità di plastica nel mar Mediterraneo pari a 1.178.000 tonnellate, più di quattro volte la quantità di rifiuti che derivano dall’utilizzo di bottiglie in plastica in Italia ogni anno. Il nostro paese è uno dei più impattanti sotto questo punto di vista, insieme a Egitto e Turchia.

Il 94% di questa enorme quantità di rifiuti è costituita da frammenti plastici che possiamo vedere e raccogliere con mano – sebbene la maggior parte di essi finisca sui fondali – quelli che Enzo Suma raccoglie sulle spiagge pugliesi bagnate dal mare Adriatico, o quelli che formano le isole di plastica che galleggiano trasportate dalle correnti marine. Il restante 6% è invece costituito da un forma di inquinamento più subdola, da quelle che chiamiamo microplastiche. Sono frammenti di materiale di dimensioni inferiori ai 5 millimetri, quindi molto più difficili da raccogliere ed eliminare. 

L’inquinamento dei mari dovuto alle materie plastiche è un’urgenza a cui si sta rivolgendo, anche se in ritardo, sempre più attenzione. In tutto il mondo si sta andando in maniera graduale verso una messa al bando degli oggetti in plastica monouso – piatti, posate, cannucce, bastoncini cotonati e così via – che potrebbe diminuire l’impatto di questi rifiuti sui nostri mari nel lungo termine.

Nel frattempo, molte associazioni tra le quali Legambiente portano avanti da anni campagne di sensibilizzazione sulla pulizia non solo delle nostre spiagge, ma anche di laghi, fiumi, parchi urbani e così via. Campagne come Spiagge&Fondali Puliti oppure Puliamo il Mondo portano avanti azioni di coinvolgimento della popolazione nel monitoraggio e nella pulizia degli ambienti naturali dai rifiuti attraverso protocolli per il beach, river o park litter.

Il museo di Archepoplastica è un’importante testimonianza di una visione del problema dell’inquinamento da materiali plastici miope e pericolosa. Il futuro potrebbe essere migliore grazie alla scienza, alle politiche di tutela ambientale e alle iniziative di sensibilizzazione che coinvolgono le persone. Enzo Suma sarebbe di sicuro molto contento se alla sua collezione smettessero in futuro di aggiungersi nuovi reperti.

Gli insilati nella dieta per ruminanti

Gli insilati sono foraggi con elevato contenuto di acqua che, grazie a fermentazioni controllate, possono essere conservati per lungo tempo. Questa caratteristica garantisce all’allevatore un’indipendenza dal mercato mangimistico per l’approvvigionamento periodico delle materie prime per la preparazione della razione alimentare.

I foraggi insilati uniscono il valore nutritivo dei cereali, ricco di amidi e zuccheri fermentescibili, con l’elevata presenza di fibra degradabile. I ruminanti, grazie alla presenza di una ricca fauna microbica nei prestomaci, sono in grado di utilizzare le fibre indigeribili dei vegetali e trasformarle in principi nutritivi ad alto valore biologico.

Il crescente interesse verso la coltivazione dei cereali autunno-vernini, graminacee foraggere, cereali foraggeri e leguminose da foraggio per l’insilamento, può comportare vantaggi sia da un punto di vista agronomico che di miglioramento dell’efficienza digestiva.

La possibilità di coltivare questi foraggi a livello aziendale può implementare l’efficienza produttiva nella gestione agronomica dei terreni aziendali. Questo perché l’utilizzo dei suoli coltivati con le suddette coltivazioni, avviene durante il periodo invernale-primaverile ovvero, in un momento solitamente di riposo dei terreni rispetto alle colture estive (mais e soia).

Le colture foraggere da insilato primaverile sono prevalentemente rappresentate da orzo, frumento, graminacee da foraggio (Lolium spp.) e miscugli foraggeri (graminacee, graminacee più leguminose). Le graminacee e le leguminose da foraggio vengono raccolte previo pre-appassimento in campo, al fine di poter ottenere un ottimo compromesso tra quantità di sostanza secca prodotta e qualità del foraggio. I cereali autunno vernini, invece, possono essere raccolti in diverse epoche attraverso l’appassimento o con raccolta diretta nel momento di maturazione idonea delle cariossidi. La differenza tra queste due colture prevede di ottenere rese produttive diverse. Le graminacee da foraggio prevedono rese al raccolto comprese tra 4 e 6 tonnellate per ettaro (t/ha) mentre per i cereali vernini il range è molto più ampio ed è compreso tra le 5 e le 13 t/ha in funzione della scelta dell’epoca di raccolta (Borreani et al., 2021).

L’utilizzo di colture invernali-primaverili, inoltre, permette di diminuire i consumi di acqua e di prodotti fitosanitari e di ridurre notevolmente il carbon footprint con notevoli vantaggi per l’impatto ambientale. Per assicurare la buona conservazione di questi prodotti bisogna assicurare un buon decorso fermentativo ponendo particolare attenzione al contenuto di sostanza secca alla raccolta (> 30%) e alla scelta dei tempi di appassimento in campo (24-48 h). Nei casi in cui la sostanza secca totale non superasse il 30%, è consigliato utilizzare gli inoculi batterici al fine di controllare in modo più efficiente le fermentazioni al fine di ridurre al massimo le fermentazioni butirriche ed ottenere un prodotto finale di elevata qualità.

L’uso di insilati da coltivazioni foraggere autunno vernine permettono di ottenere vantaggi sotto molteplici aspetti, quali l’efficienza digestiva, il miglioramento del benessere animale, l’efficienza agronomica, la riduzione dell’impatto ambientale e il miglioramento della redditività aziendale.

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Piega, spiega e scopri: 3 attività di matematica da proporre con il foglio delle pieghe del completo estivo origami

Cosa proporre negli ultimi giorni di scuola quando la stanchezza e il caldo iniziano a farsi sentire? Ovviamente attività interessanti e coinvolgenti, ma anche utili per consolidare gli argomenti già affrontati o per esplorare in maniera ludica nuovi aspetti da approfondire successivamente.

La proposta didattica di questo articolo riguarda un colorato completo estivo origami, da realizzare con poche e semplici pieghe.

Uno degli aspetti interessanti degli origami è la varietà delle attività che posso essere proposte a partire da un foglio di carta. Ogni modello può essere analizzato da più punti di vista e in diversi momenti. Si possono fare osservazioni mentre si piega, sul modello finito o sul foglio delle pieghe, il crease pattern, che si ottiene riaprendo il modello origami dopo l’ultima piega. Si possono osservare le diverse figure geometriche che si formano tra le pieghe, la loro area, il loro perimetro, i loro lati o i loro angoli, ecc.

Come gli altri modelli, anche il completo estivo origami, offre diversi spunti didattici. In particolare, in questo articolo, ci soffermeremo sul crease pattern, esplorando le possibili domande da rivolgere ai bambini.

Il completo estivo origami

Per realizzare il completo estivo (scarica le istruzioni) si consiglia di utilizzare un foglio origami bicolore (già pronto o da realizzare colorando in modo diverso le due facce del foglio) in modo tale da differenziare il colore della maglietta da quello del pantaloncino.

Dopo aver effettuato l’ultima piega, riapriamo delicatamente il foglio fino a tornare al quadrato di partenza e ripassiamo con un colore le pieghe visibili: otterremo il crease pattern allegato.

Vediamo ora quali particolarità nasconde il crease pattern del completo estivo.

Possiamo iniziare osservando e classificando le diverse forme.

In quante figure è suddiviso il foglio? Quali figure geometriche riconosci? 

Il quadrato iniziale è ora suddiviso in 20 figure geometriche: 2 rettangoli, 2 quadrati e 16 triangoli (4 triangoli rettangoli scaleni e 12 triangoli rettangoli isosceli). Si può chiedere di colorare le diverse figure geometriche con colori differenti (es. giallo = triangolo, rosso = quadrato, blu = rettangolo). 

Spostiamo ora l’attenzione sulla superficie delle diverse forme.

Quali figure occupano la stessa superficie? 

È interessante osservare che ci sono due triangoli non equiestesi e che ci sono figure differenti (es. triangolo rettangolo scaleno e quadrato) che hanno la stessa area. Colorando con lo stesso colore le figure equiestese emergeranno tre diverse aree che potremmo esprimere anche sotto forma di frazione: rettangolo 1/8, quadrato e triangolo rettangolo scaleno 1/16, triangolo rettangolo isoscele 1/32. La particolarità di questo crease pattern riguarda anche il rapporto tra le aree delle diverse figure: l’area del quadrato è il doppio di quella del triangolino e la metà di quella del rettangolo. Assegnando ad ogni figura la relativa frazione, è possibile effettuare anche delle semplici addizioni tra frazioni con l’aiuto del supporto visivo: una figura creata unendo un quadrato e un rettangolo corrisponde, ad esempio, a 3/16 del quadrato iniziale, ovvero 1/16 + 1/8.

Possiamo infine ritagliare le diverse forme del crease pattern e utilizzarle come tessere di un puzzle per comporre altre figure.

Il quadrato iniziale, il castello, il cono e la barca sono figure equiestese?

Dopo aver ritagliato il crease pattern, i bambini utilizzano tutte le forme geometriche per comporre ogni figura (vedi allegato). Oltre ad essere una sfida divertente, giocando i bambini potranno constatare che le varie figure occupano la stessa superficie perché equiscomponibili. 

Gli spunti didattici non si esauriscono qui: si può continuare a giocare con il completo estivo origami esplorando la simmetria nel crease pattern o nel modello finito oppure divertirsi con il calcolo combinatorio scoprendo quanti completi differenti si possono creare con tre diversi colori (es. rosso, giallo e blu) e come posizionare il foglio di partenza per ottenere la maglietta e il pantaloncino di un determinato colore.

Buone pieghe e buon divertimento!

Per una didattica a colori

Per parlare del tema di questo mese abbiamo deciso di mettere mano allo strumento più studiato e meno conosciuto dell’Universo: il cervello.

Secondo un articolo non più recentissimo, pubblicato su Nature Neuroscience nel 2012, la scienza ci può dire con estrema precisione se e quanto siamo inclusivi.

Procediamo con ordine.

In un esperimento curato dal team di Elizabeth A Phelps della New York University, è stato analizzato il cervello di un buon numero di persone in seguito alla visione di alcune foto riguardanti volti di etnie differenti.

Conclusione: quando venivano mostrate foto con volti diversi dalla propria etnia, nel cervello si attivava l’area “della paura”. Si tratta di una semplificazione, ovviamente, ma la sostanza è questa: il nostro cervello sembra essere stato programmato per essere decisamente poco inclusivo.

Prima di dichiararci sconfitti e cambiare mestiere, però, è bene considerare la seconda fase dell’esperimento.

Phelps e il suo team hanno condotto la stessa prova ma, questa volta, mostrando volti di personaggi famosi. Il risultato in questo caso è stato molto diverso. Le nuove foto hanno prodotto nel cervello effetti molto più rassicuranti, dimostrando alcune evidenze che ci portano a parlare del lavoro che svolgiamo quotidianamente a scuola.

La ricerca del 2012 ci dice che il nostro cervello si è evoluto in un’epoca lontanissima e violenta, quando la diversità era associata a “clan” ostili. Allo stesso tempo, però, si è saputo adattare alle sollecitazioni della modernità dimostrando di saper definire come “conosciuto” anche chi non appartiene alla nostra stessa etnia.

Il lavoro di tutti i giorni, in questo senso, è fondamentale perché allarga il confine di questo ambito conosciuto: non solo il calciatore famoso o l’attore e l’attrice, ma anche il vicino di banco, la sua famiglia e potenzialmente qualsiasi persona.

Le neuroscienze confermano, semmai ce ne fosse bisogno, che l’inclusione non è un’opzione, ma una necessità sociale e una scelta culturale da praticare giorno per giorno.

E giorno per giorno abbiamo l’impegno di educare alle differenze. 

Non solo cromatiche, ovviamente. 

Differenze, appunto, non diversità. 

Si è diversi quando c’è uno standard di riferimento considerato “normale”. La diversità vuole la preposizione “DA”.

Si è differenti , invece, tutti e tutte; le differenze sono normali TRA le persone, NEL gruppo. 

Una questione di preposizioni che cela una grande questione educativa. 

La vera inclusione è quella che parte dalle differenze: a scuola è quella che si pratica con lo Universal Design for Learning. 

Una didattica pensata per tutti e per tutte, universale, appunto. 

Colorata, certo: una didattica a colori, per poter soddisfare tutte le sfumature presenti nel nostro dipinto-classe. 

La didattica a colori, da oggi la chiameremo così, è quella che:

  • organizza bene l’ambiente di apprendimento, immaginando ogni possibile bisogno durante l’attività;
  • mette in campo una buona ridondanza di risorse e materiali, che i bambini e le bambine gestiranno in modo libero e autonomo, in base alle esigenze e alle curiosità;
  • propone compiti e progetti aperti, di senso, stimolanti, che non prevedano una unica “soluzione giusta”, ma che possano essere svolti in tanti modi diversi, ciascuno sfruttando le proprie potenzialità e i propri interessi;
  • fa leva sulla creatività e sul pensiero divergente: parte da un percorso comune di conoscenze e abilità, ma invita ciascun bambino e ciascuna bambina a inventare combinazioni cromatiche differenti per mettere in campo soluzioni e idee, per diventare più competenti.

La didattica a colori richiede maestria, da parte nostra. Ma in fondo, siamo maestri e maestre: è la nostra sfida!

 

ProbabilMente: Scratch! e il caso

Ragionare sull’incerto

Quando si introducono gli studenti alla probabilità, è sempre bene tenere a mente un fatto: ragionare di probabilità è difficile. Non si tratta solamente dell’impressione di chi scrive o di quella dei molti che si cimentano nell’impresa, ma è la conclusione a cui sono giunti negli anni numerosi studi, svolti principalmente allo scopo di indagare il modo in cui prendiamo decisioni in situazioni incerte. Psicologi del calibro di Daniel Kahneman (Premio Nobel per l’economia nel 2002 proprio per l’impatto dei suoi lavori in ambito economico), Amos Tversky e Gerd Gigerenzer hanno fornito spiegazioni diverse: se da un lato i primi due sostengono l’ipotesi secondo cui, per natura, la mente umana sia poco adatta al ragionamento probabilistico e invece maggiormente incline al pensiero intuitivo, l’ultimo punta invece il dito contro la nostra ignoranza in materia.

Una competenza cruciale

Qualunque sia la spiegazione, è però evidente che saper riconoscere e limitare l’influenza delle fallacie dell’intuizione in situazioni incerte è una competenza essenziale per un cittadino: saper gestire razionalmente la probabilità serve a interpretare dati ed informazioni oltre che a orientare attivamente le proprie decisioni in scenari aleatori. Diventa quindi particolarmente opportuno togliere alla probabilità quel ruolo di Cenerentola della programmazione disciplinare ed evitare di riservarle quello di prima vittima sacrificale in caso di imprevisti o ritardi.

Prendere il toro per le corna

Un nodo cruciale rimane dunque come portare alla luce queste difficoltà senza spaventare gli studenti che incontrano la probabilità al termine del primo ciclo, per i quali la capacità di astrazione è spesso ancora non completamente costituita. Si tratta più che altro di preparare il terreno a quello che poi dovrà essere formalizzato più sistematicamente in studi superiori, cercando di costruire un’idea di probabilità priva di misconcezioni e provando tuttavia a non nascondere le difficoltà che emergono nel trattare tali argomenti.

Un modo per farlo potrebbe essere proprio prendere il toro per le corna ed esporre deliberatamente gli studenti a problemi dai risultati sorprendenti e controintuitivi, che, se opportunamente presentati, possano alimentare la convinzione che una trattazione ragionata dei fenomeni aleatori sia tanto utile quanto necessaria. Non si tratta ovviamente solo di motivare l’apprendimento, ma anche di esporre sin da subito le insidie di cui è costellato il tema.

Il ruolo del coding con Scratch!

In un percorso di questo genere, un linguaggio di programmazione come Scratch! può rappresentare uno strumento efficace per comprendere problemi poco intuitivi oppure per costruire esperimenti aleatori di una certa complessità, la cui trattazione formale può essere fuori dalla portata degli studenti.

Un esempio: passeggiate aleatorie

Si consideri un semplice programma che fa avanzare il gatto di Scratch! muovendosi dalla sinistra la verso destra dello schermo, sulla base dell’esito del lancio di una moneta non truccata: se esce testa il gatto compie un passo verso destra e uno verso l’alto, se esce croce il gatto compie un passo verso destra e uno verso il basso. Questo fa sì che il gatto disegni una traiettoria (che tecnicamente rappresenterebbe una cosiddetta passeggiata aleatoria monodimensionale) a partire dalla quale si possono formulare tantissime domande.

Una serie di passeggiate aleatorie generate con Scratch! a partire da uno stesso punto.

Per esempio: quando il gatto raggiungerà la destra dello schermo, di quanto si sarà scostato verticalmente rispetto alla posizione iniziale? Non è difficile accorgersi che questo risultato cambia ogni volta che si lancia il programma e dunque che è opportuno costruire una statistica degli esiti osservati, magari con un diagramma a barre per visualizzarli meglio.

E le domande possono andare oltre: in media, qual è l’esito finale che ci si può attendere con maggiore probabilità? Come cambia il diagramma se cambiamo l’ampiezza dei passi (in verticale, in orizzontale, …)? Come cambia l’esito medio che ci si può attendere se la moneta è truccata?

Il codice Scratch! utilizzato per generare passeggiate aleatorie.

Questo semplice esperimento nasconde un sacco di questioni probabilistiche anche molto sottili e può essere occasione per discussioni estremamente profonde. Si pensi alla fallacia  dello scommettitore e quindi al condizionamento e all’indipendenza degli eventi, ma anche a diverse nozioni di probabilità (come quella classica e quella frequentista), ai concetti più sofisticati che vengono sfiorati (senza però essere insegnati) come quello di densità di probabilità, di valore atteso, di processo aleatorio, ecc.

Altri esempi

Scratch! consente di esplorare tanti altri problemi in cui la probabilità ha un ruolo.

Le passeggiate aleatorie, per esempio, possono essere anche bidimensionali (cioè il movimento casuale può non essere solo lungo la direzione verticale) e quindi avere un maggior numero di parametri su cui intervenire, facendo anche variare molto la tipologia di domande che ci si può porre (comprese quelle legate alla geometria delle trame disegnate).

Si può anche ragionare su giochi le cui spiegazioni teoriche sono alla portata degli studenti, come una semplice “gara” in cui i concorrenti avanzano sulla base dell’esito del lancio di due dadi (in fin dei conti, come succede in molti giochi da tavolo). Questa può essere l’occasione per introdurre diversi aspetti di coding, come per esempio l’invio di messaggi tra sprite e background.

L’esito finale di una “gara” basata sulla somma degli esiti del lancio di due dadi per 2911 volte: il 7 è vincitore.

Un bell’esempio di problema controintuitivo che si può simulare in Scratch! è il problema di Monty Hall, di cui si può trovare ampia trattazione sul web e per il quale emerge chiaramente quanto a volte sia difficile per noi intuire come gli eventi probabilistici possano dipendere gli uni dagli altri.

Per chiudere, vi propongo anche di esporre gli studenti all’utilizzo di Scratch! e della probabilità per applicazioni sorprendenti, come quella della stima delle aree (per approfondimenti si vedano a questo proposito il Metodo Monte Carlo).

Tutti questi esempi possono essere visti con diverso livello di profondità, sia dal punto di vista matematico che da quello di scrittura del codice. La sfida per il docente è sempre la stessa: trovare il giusto equilibrio. Questa può essere vinta solo conoscendo bene i propri studenti e cercando di trovare, come al solito, il giusto bilanciamento. Buona ricerca a tutte e a tutti!

Per approfondire

Live streaming:

Esempi di codici con esperimenti aleatori:

Approfondimenti:

Importanza e uso delle mappe concettuali

Quando parliamo di mappe, pensiamo a una rappresentazione grafica più o meno accurata di un territorio, che consenta di leggerlo e di orientarsi. Le mappe, tuttavia, possono anche rappresentare il nostro pensiero. Esse, infatti, si possono costruire per raffigurare il modo in cui ciascuno di noi organizza e rielabora le idee e per prenderne consapevolezza.

Le mappe che vengono maggiormente utilizzate in ambito scolastico sono quelle mentali e quelle concettuali. 

Le mappe concettuali, teorizzate da Joseph Novak negli anni Settanta del secolo scorso, rappresentano uno strumento utile alla realizzazione dell’apprendimento significativo, teorizzato da David Ausubel: un apprendimento capace di mettere in relazione le nuove conoscenze con quelle già possedute dal soggetto che apprende.

Ciò che caratterizza una mappa concettuale, infatti, è la possibilità di visualizzare i concetti chiave relativi a un certo argomento e i legami logici che li connettono.

Gli elementi che le costituiscono sono essenzialmente tre:

  • i nodi concettuali: sagome che descrivono i principali concetti presenti nel dominio di conoscenza della mappa, all’interno delle quali viene riportata una descrizione testuale più o meno sintetica;
  • le relazioni associative: archi di collegamento, in alcuni casi orientati, che rappresentano graficamente i legami fra i nodi della mappa;
  • le etichette: descrizioni che possono essere introdotte per precisare il significato delle relazioni.

(Alberto Scocco, Costruire mappe per rappresentare e organizzare il proprio pensiero)

La loro struttura è di tipo gerarchico-relazionale: le relazioni associative si diramano dai concetti più generali verso quelli più particolari, le etichette permettono di seguire o ricostruire un percorso o un ragionamento.

Una mappa concettuale riflette lo stile cognitivo del soggetto che la costruisce e permette di prendere coscienza dei processi messi in atto nella fase di organizzazione delle conoscenze. Il soggetto in questo modo impara ad imparare. “L’imparare è un processo personale e caratteristico dell’individuo” (J.Novak-D.B. Gowin, Imparando a imparare )

Le mappe concettuali possono essere utilizzate sia dal docente sia dallo studente e rappresentano veri e propri strumenti compensativi per gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento.

 Se costruite dallo studente, permettono di:

  • organizzare  le informazioni secondo una propria strategia mentale;
  • mostrare i legami tra i diversi concetti individuati all’interno di un testo; 
  • favorire, attraverso la costruzione di nuovi legami, l’integrazione di nuove conoscenze con quelle già possedute;
  • recuperare le informazioni per l’esposizione orale o per la costruzione di un testo scritto;
  • stimolare la discussione all’interno di un gruppo per giungere alla “negoziazione di significati”(funzione sociale).

Se costruite dal docente, permettono di:

  • presentare in forma sintetica i concetti chiave di un argomento o di una lezione;
  • evidenziare i legami gerarchici e logici tra i diversi concetti;
  • riassumere e mettere a fuoco i concetti più importanti a conclusione di una o più lezioni.

Le mappe possono essere utilizzate anche nei libri di testo per visualizzare i concetti “chiave” di un argomento.

È con quest’ultimo intento che nel testo Tangram, alla fine di ogni unità, è stata inserita una mappa concettuale a cui è affiancata una pagina di ripasso con quesiti a cui è possibile dare una risposta interagendo con la mappa.

Per approfondire

  • Costruire mappe concettuali Strategie e metodi per utilizzarle nella didattica , Joseph D. Novak, Erickson, 2012
  • Costruire mappe per rappresentare e organizzare il proprio pensiero, Alberto Scocco, Franco Angeli, 2019

Scopri l’opera

  • Tangram, il nostro corso di matematica per la scuola secondaria di primo grado, di L. Ferri, A. Matteo, E. Pellegrini – Fabbri Editore – Rizzoli Education, 2020

L’arte di tutelare l’arte. Conoscere, tramandare e conservare il patrimonio artistico e culturale

L’espressione “beni culturali”, come sinonimo di patrimonio artistico e culturale, è stata adottata in Italia in tempi molto recenti. Solo dagli anni Sessanta del Novecento, infatti, parallelamente all’attenzione nei confronti dei capolavori – opere d’arte inestimabili quali la Vergine delle Rocce di Leonardo o il David di Michelangelo o la Rotonda di Palladio – ha cominciato ad imporsi l’interesse verso il tessuto connettivo delle testimonianze culturali. L’attenzione si è così spostata dal museo al territorio nella sua complessità urbanistica e culturale, ossia dal singolo pezzo, ben  documentato sui testi scolastici e sui libri d’arte, a quel ricchissimo reticolo di beni – la chiesetta medievale di provincia, l’edifico di una vecchia fabbrica abbandonata, il bel cancello in ferro battuto all’ingresso di una abitazione in rovina – che rende ineguagliabile l’intero territorio italiano, tanto da far sostenere  ad Antonio Paolucci, illustre storico d’arte, nonché ex ministro dei beni culturali e ambientali, che l’Italia è “un museo diffuso”.

Affinché la felice definizione del professor Paolucci possa però concretizzarsi nel virtuoso sentire ed operare dell’intera comunità è fondamentale compiere tre passi: conoscere il patrimonio, tramandarne il valore, industriarsi al fine di conservarlo.

È indubbio che, per avviarsi sulla strada della conoscenza, sia primariamente fondamentale la capacità di riconoscere, ossia essere in grado di individuare il valore di ciò che ci circonda, attribuendo la giusta importanza non solo ad oggetti d’arte contrassegnati da una didascalia o da apposita segnaletica, ma accogliendo con curiosità e consapevole rispetto ogni espressione che sia frutto di creatività e testimonianza della storia e della trasformazione dell’uomo e del suo ambiente.

Questo significa, ad esempio, guardare con occhi nuovi al tema del paesaggio, ma anche approcciare con un’analisi sociologica, oltre che artistica, la diffusa realtà dei borghi dipinti, nonché dare valore e spessore a un bene personale e collettivo quale la memoria che, pur non essendo un luogo fisico, è somma depositaria di storia, in grado di tramandare cultura ad ogni livello.

A guidare le nuove generazioni verso questa consapevolezza sarà la nostra capacità di tramandare il valore del patrimonio culturale dell’umanità, composto da beni materiali, immateriali e orali.

Silvestro Lega ha dipinto un quadro che ho sempre collegato all’ancestrale forza dell’insegnare, ossia del “lasciare un segno” per mezzo della narrazione e della parola. Nell’opera del pittore macchiaiolo, intitolata Educazione al lavoro, una bambina seduta sul piccolo sgabello guarda con incredibile concentrazione il volto della madre: non è solo il filo di lana a passare dalle mani dell’una alle mani dell’altra, ma probabilmente anche la trama di una storia che la donna regala alle orecchie attente e alla fantasia di sua figlia.

È un dipinto che piace al primo sguardo, che con immediatezza appaga l’occhio per la semplicità con la quale le persone e le cose si trovano riunite nella stanza pervasa dalla luce. Sarebbe però fortemente riduttivo fermarsi al primo sguardo, all’atto stesso del vedere, poiché credo che l’artista abbia davvero raccontato molto di più, dando forma con il pennello alla forza del tramandare con l’esempio e con la parola.

Parola da “parabola” che nasce dall’unione di “parà”, vicino, di fianco e “ballein”, gettare, lanciare: la parola, in quanto racconto e narrazione, deve essere parte di un progetto che crei ponti in grado di attivare fattivamente la comunicazione e la conoscenza.

In tutte le discipline, ma soprattutto in quelle d’ambito storico-artistico, è fondamentale creare questi ponti, ossia dei percorsi che, avvalendosi di competenze trasversali, permettano agli studenti di acquisire uno sguardo consapevole, attivo, informato su tutto quanto li circonda. Ritornando al dipinto di Lega, mi piace pensare che, in virtù di quanto saremo in grado di tramandare, le nuove generazioni avranno voglia di mettersi in gioco anche fuori da quella stanza, proiettando le loro capacità oltre il limite della finestra, in quel paesaggio caratterizzato dai toni verdi della campagna.

Per favorire questa presa di conoscenza del mondo che, circondandoci, ci forma e ci definisce, è fondamentale che i giovani assumano un ruolo attivo e che si accostino al patrimonio storico, artistico e culturale non come ad un ente astratto e lontano, ma come ad una realtà nella quale si è calati o, meglio ancora, come ad una realtà che richiede la nostra attenzione e il nostro intervento.

Tutta la penisola italiana è densa di storia, nascendo dalla stratificazione di storie che s’intrecciano ed è veramente auspicabile che, partendo dal periodo della formazione scolastica, si propongano attività rivolte alla mappatura del territorio, anche quello locale e periferico, spesso sconosciuto, proponendo ricerche, laboratori e visite culturali rivolte alla conoscenza del proprio contesto abitativo.

Conoscere, tramandare e infine conservare: questo ultimo tassello, che da sempre appare non solo come il più complesso, ma anche come “distante” in quanto ambito d’azione di legislatori e ministri, apparirà sotto una luce diversa se saremo stati in grado di promuovere uno sguardo nuovo sull’intero patrimonio storico, artistico, culturale e ambientale.

In un avvincente ed articolato piano di educazione civica, che preveda l’azione combinata di molteplici saperi ed interessi, il passo per trasformare uno studente attivo in un cittadino consapevole può diventare davvero breve.

Per approfondire

Il  manuale di storia dell’arte “Con gli occhi dell’Arte” di Valerio Terraroli è stato arricchito dal progetto “Patrimonio nel territorio”, una serie di inserti che nascono da un’attenta riflessione legata alla pluralità di sfaccettature della disciplina storico artistica in un più ampliato contesto di educazione civica. Proponendo temi non usuali – per esempio i cimiteri, le biblioteche, la musica, le case d’artista, i parchi di scultura – e disegnando un arco temporale che dall’antichità conduca all’era contemporanea, ciascun inserto si offre come traccia per mettere a fuoco trasversalmente tecniche e contenuti dell’arte, in modo da favorire una didattica rinnovata. 

Mi piace pensare che la metodologia d’insegnamento possa germinare dal contesto nel quale ci si trova ad insegnare e, nel caso specifico, che queste schede riescano a stimolare ulteriori percorsi d’approfondimento in cui siano gli studenti a ricercare, scoprire e studiare il quid che caratterizza il proprio territorio.

Questi alcuni esempi di schede dedicate al patrimonio tratte dal corso:

Copertina: Silvestro Lega, L’educazione al lavoro, 1863 (?), olio su tela, 91,5 x 67 cm, Collezione privata.

Le guerre di ieri (si fa per dire). Il biennio 1915-16

Il prezzo del logoramento

Già nel corso del 1915 i combattimenti tra le forze tedesche e quelle franco-inglesi assunsero sempre di più i contorni di una guerra di logoramento. Attacchi e contrattacchi si succedevano quasi senza soluzione di continuità con minimi risultati, salvo il consumo abnorme di uomini e di materiali. Era come se il conflitto risucchiasse la ricchezza delle nazioni per dissiparle in stragi inutili e continue: le spese, previste nel 1914 con una certa larghezza, superarono in breve ogni immaginazione. 

Come si misura una vittoria?

Il problema principale consisteva nella mancanza di esiti decisivi. Se erano chiarissimi gli effetti degli assalti – intere divisioni di fanteria annientate in pochi giorni, talvolta in poche ore -, non altrettanto lo erano gli obiettivi: scartata la guerra di movimento, come si doveva misurare la vittoria? La conquista di una collina, di qualche centinaio di metri di terreno, potevano essere considerati una vittoria? 

Il ruolo della propaganda

Se sfogliamo i giornali dell’epoca, ci accorgiamo della retorica costruita intorno ad episodi minori o minimi, pur di non confessare la sproporzione fra il sacrificio e il risultato. Dopo un anno di guerra, gli osservatori più acuti avevano già capito qual era la verità: il conflitto di nuovo tipo che si stava combattendo sarebbe stato deciso dal collasso di una delle parti coinvolte, ovvero dall’usura di ogni energia fisica, morale, materiale, economica. Qualsiasi azione volta a “far perdere” al nemico più risorse di quelle impiegate, era da considerarsi quindi intrinsecamente positiva

Una dimensione “armata”

Lo scenario era quindi spaventoso, perché spostava l’asse della vita delle nazioni interamente sulla sforzo bellico, come se esso fosse l’unico a importare davvero. Non era accaduto così nel XIX secolo e anche prima: era la prima volta che le nazioni si militarizzavano in una dimensione totale, organizzandosi in senso gerarchico, orientando perfino la moda femminile in forma bellica (colori, pantaloni, mantelline). 

L’emancipazione femminile ma anche l’irrigidimento delle opinioni

Le donne, peraltro, erano chiamate a sostituire gli uomini nei campi, negli uffici e nelle fabbriche: per un’intera generazione, quell’esperienza fu una pietra miliare sulla via dell’emancipazione, e non a caso il suffragio femminile divenne realtà, fra il 1918 e il 1920, in Gran Bretagna, Canada, Germania e Stati Uniti (ma non in Italia e in Francia). Se, da un lato, il conflitto funse da integratore sociale, da grande assimilatore di classi, generi, ceti, dall’altro indusse un forte irrigidimento delle opinioni, disciplinando i modi pensare tollerati: le democrazie cominciarono a perdere, sull’onda della propaganda, i consueti anticorpi della protesta e della critica: c’era un eroismo anche a casa, nel fronte interno, di cui essere all’altezza.

Per lavorare in classe

  • Avrete notato le forti assonanze fra questo quadro del biennio 1915-1916 e la guerra in Ucraina del 2022: riflettete su analogie e differenze con l’aiuto del docente. Attenzione: quella che stiamo vivendo non è “storia”. È ancora cronaca.

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