Storytelling

Se ne parla tantissimo: “storytelling” è una parola di successo e come tale viene impiegata negli ambiti più disparati. Esiste lo storytelling della politica o della pubblicità, prodotto in modo digitale o basato sulla sola parola. Ma che cos’è, esattamente, lo storytelling? E perché dovrebbe interessare la didattica?

Partiamo da lontano, più o meno dal significato del termine. Storytelling in italiano può essere tradotto come affabulazione e quindi richiama l’atto del narrareSe fosse solo questo, però, avrebbe un campo molto limitato e interesserebbe solo gli appassionati di storie e gli scrittori o le scrittrici di professione. In realtà è molto di più. Una persona che fa storytelling usa i principi della narratologia per inquadrare gli eventi della realtà circostante e per spiegarli al meglio, per arrivare in modo più efficace al destinatario della comunicazione.

Per questo, uno storytelling efficace si basa sicuramente su una buona trama, ma è l’impiego delle emozioni a rendere la comunicazione davvero efficace. Un esempio tipico può essere ricavato dall’impiego dello storytelling nella pubblicità. Difficilmente un’auto viene presentata con un puntuale e dettagliato elenco di prestazioni meccaniche. È più comune che la pubblicità giochi a coinvolgere le emozioni di eventuali acquirenti.

Così, in ambito didattico, se è evidente la connessione tra lo storytelling e discipline come lingua italiana, dove il tema della narrazione e delle emozioni è centrale, non deve sfuggire che l’arte di raccontare è trasversale e può fare la differenza tra una buona e una cattiva lezione. Un efficace storytelling può accompagnare anche discipline apparentemente lontane (un esempio classico: la matematica), rendere più facilmente comprensibili concetti complessi attraverso esempi vicini al vissuto delle persone e alle loro emozioni. È proprio la vicinanza, la chiave di ogni analisi dello storytelling.

Ogni discorso narrativo, digitale o analogico, collocato in ambito didattico o fuori dal contesto scolastico, parte da un’esperienza che può essere definita come “comune”. Attraverso la condivisione delle storie si mette ordine e si dà senso alle esperienze quotidiane. Il vissuto umano diventa comunicabile, comprensibile e può essere quindi ricordato.

La biblioteca di classe – promuovere la passione per la lettura

“Come si fa a instillare nei bambini e nelle bambine la voglia di leggere?”

Questa domanda ci viene posta in continuazione, da genitori e insegnanti, e da sempre la nostra risposta parte da quello che è il nostro vissuto: leggere è un’azione intima tra chi legge e il libro; e una relazione non è fatta di obblighi, ma di rispetto, interesse, emozioni e amore. Come sempre, quando si tratta di relazioni, il nostro modo di agire e comportarci è dato dall’emulazione delle persone che ci stanno vicine: è più facile sviluppare l’amore per i libri se le persone che frequentiamo li amano e leggono a loro volta.

La nostra relazione con i libri è stata promossa fin da piccole dai nostri genitori, che hanno arredato la nostra stanza di libri meravigliosi e ci hanno letto tantissime storie popolando la nostra fantasia di personaggi straordinari. Romanzi, libri di divulgazione, fumetti, pop-up, nulla era bandito se era un libro. Non c’era uscita il fine settimana che non comprendesse un passaggio in una libreria, abitudine che non abbiamo mai abbandonato! Ad aggiungersi al loro esempio il lavoro delle nostre maestre che in seconda elementare hanno organizzato la prima escursione alla Biblioteca Civica di Rovereto. Un luogo fino ad allora sconosciuto e che si è rivelato magico: alte colonne, scaffali carichi di storie, un silenzio interrotto solo dal frusciare dei libri e una magica tessera con cui accedere al prestito.

Dopo questa premessa non possiamo che interrogarci su quali siano i punti in comune tra questi due scenari. Sia a casa che a scuola il libro non ci è stato proposto come oggetto, come “pillola” per imparare e diventare intelligenti. Le persone che ce li hanno proposti erano persone che amavano i libri e credevano nel valore delle storie. Il quadro sarebbe incompleto se parlassimo solo “dell’esposizione ai libri”, infatti sia i nostri genitori che le nostre insegnanti non si sono limitati e limitate a metterci davanti a una grande quantità di libri, hanno anche selezionato e letto ad alta voce per noi brani e romanzi.

Non parliamo dell’ovvia necessità di leggere a un bambino o a una bambina che ancora non sanno leggere, ma al momento della lettura collettiva, in cui qualcuno legge e gli altri ascoltano per scelta condivisa. In questo nostra madre è stata l’attrice principale: ha letto per noi quando non sapevamo leggere, ha letto con noi quando abbiamo imparato, ha letto per noi quando eravamo malate, ha letto per noi quando disegnavamo e coloravamo, ha letto per noi l’estate sedute sul terrazzo a prendere il sole, ha letto a noi fino a quando non abbiamo cominciato a leggere noi per lei; e ancora oggi, quando c’è un po’ di tempo ci ritroviamo per leggere insieme qualche libro che accende il nostro interesse

Le nostre insegnanti, quelle delle elementari prima e quelle delle medie dopo, hanno sempre proposto momenti di lettura condivisa. In seconda elementare abbiamo letto a puntate “Pinocchio” di Collodi, mentre alle medie ci è stato proposto “C’era due volte il barone Lamberto” di Rodari. Quando in terza media abbiamo raggiunto tutti un buon grado di lettura, eravamo noi a leggere per i nostri compagni. Per convincere un bambino o una bambina a leggere, quindi, non basta dire: “Leggi, i libri sono belli!” e nemmeno regalargli libri da leggere da solo o da sola. È l’esempio a fare la differenza. Se l’adulto legge, e legge con passione, l’interesse per questo oggetto crescerà esponenzialmente.

Come insegnanti cosa possiamo fare?

Sicuramente possiamo rendere l’accesso ai libri facile, attraverso visite periodiche alla biblioteca della città o della biblioteca scolastica, ma anche prevedendo uno scaffale biblioteca all’interno dell’aula. Ma questo non basta. Mettere dei libri su uno scaffale o in una scatola non è sufficiente. Ecco alcune idee da mettere subito in pratica:

  • A fine lezione, ultimiamo cinque minuti prima, peschiamo tra i libri un volume e leggiamo qualche pagina per interessare i bambini. Intratteniamoli nei momenti destrutturati, come la pausa pranzo con delle letture anziché con un video. 
  • Prevediamo dei tempi stabiliti per leggere. Ad esempio, all’inizio della mattina mentre compiliamo i buoni o aggiorniamo il registro, chiediamo ai bambini e alle bambine di intrattenersi con la lettura di un libro da tenere sempre sotto al banco. Altrettanto facciamo per i “tempi morti”, quando i bambini e le bambine finiscono prima il lavoro e si annoiano, invitiamoli a leggere. Si tratta di dieci, quindici minuti che se dedicati ogni giorno diventano un’ora e un quarto di lettura a settimana. Se moltiplichiamo questo tempo per 33 settimane di scuola abbiamo circa 41 ore di lettura. Con una media di lettura di una pagina ogni tre minuti sono circa 820 pagine che corrispondono a circa 6 – 8 libri di narrativa… ed ecco che in 5 anni di scuola i nostri bambini possono dirsi forti lettori con alle spalle una notevole bibliografia!
  • Quando finiscono un libro, chiediamo loro di raccontarcelo, dedichiamo pochi secondi a interessarci a quello che hanno apprezzato nella storia. Commentiamo le loro opinioni. In questo modo alleneremo anche la competenza dell’“ascolto e parlato” e li educheremo alla sintesi e al pensiero critico.
  • A partire dalla classe terza primaria proponiamo loro di leggere ogni due mesi un libro per casa, e chiediamo loro di preparare un cartellone, un lapbook o un power point in cui raccogliere le informazioni principali del libro letto e organizziamo un momento collettivo per la restituzione. Un momento in cui possano confrontarsi sui libri letti e consigliarsi a vicenda nuovi libri da leggere. Non sottovalutiamo il “potere” del gruppo dei pari.
  • Celebriamo i libri e la lettura con giornate speciali come quella del 23 aprile: Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore.
  • Aiutiamo i bambini e le bambine a tenere traccia delle loro letture, utilizzando un taccuino oppure dei segnalibri dove poter scrivere i titoli dei libri letti.

Qualcuno potrebbe obiettare “Ma io non insegno italiano… “
La nostra risposta è la seguente: “La lettura è una competenza trasversale!”
Non importa la disciplina insegnata: se si tratta di una lingua straniera è possibile cominciare la giornata leggendo un libro in lingua straniera, se si insegna storia si potrà leggere un testo divulgativo.
La lettura sarà sempre indispensabile anche per comprendere il testo di un problema e per capire
la consegna dell’esperimento di scienze.

Per noi la lettura è “patrimonio della scuola e dell’intero Consiglio di Classe” e come tale va promossa da tutti indistintamente.

Nelle Indicazioni Nazionali per il Curricolo di Italiano, dopo la voce “ascolto e parlato” viene la lettura. La lettura ad alta voce e a bassa voce; la lettura fatta per comprendere, per analizzare, per
condividere. Per questo motivo, dal primo giorno di scuola, consigliamo di veicolare gli argomenti
didattici con delle storie: i nostri migliori alleati in classe sono proprio i libri e non solo gli albi illustrati e di narrativa ma anche i libri di divulgazione. Non serve scegliere una storia lunga o complessa, basta che sia evocativa e, restando in tema, provochi delle emozioni positive che resteranno indelebilmente collegate a quell’esperienza e all’argomento proposto.

Anche quando andiamo a progettare un’unità di apprendimento possiamo utilizzare una storia come filo conduttore e ponte tra discipline e insegnamenti, in modo da creare il terreno per creare connessioni tra i diversi argomenti da approfondire. Infine, spezziamo una lancia per quei libri che parlano di libri, che secondo noi sono i libri per eccellenza quando vogliamo avvicinare i bambini e le bambine a leggere.

Per aiutarvi nella vostra missione per far amare i libri ai vostri alunni e alunne abbiamo deciso di proporre in questo numero la lettura dell’albo illustrato “I Fantastici Libri Volanti di Mr Morris Lessmore” di William Joyce e Joe Bluhm edito da Rizzoli, accompagnando la lettura con la costruzione di uno speciale segnalibro dove i bambini e le bambine possano appuntare i libri che leggeranno in questo anno scolastico.

Il video qui proposto è suddiviso in tre parti:

  • prima parte: lettura e interpretazione della storia;
  • seconda parte: presentazione del segnalibro;
  • terza parte: video tutorial con i passaggi per realizzare il segnalibro.

Video

MATERIALI AGGIUNTIVI

LE AUTRICI

Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.

Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.

Entrambe sono autrici Fabbri–Erickson.

Realizzare un mini-libro con un foglio A4

“Morris Lessmore amava le parole.
Amava le storie.
Amava i libri.
La sua vita era un libro che scriveva lui stesso ogni giorno una pagina dopo l’altra. Lo apriva tutte le mattine per scrivere le sue gioie e i suoi dolori, tutto ciò che sapeva e tutto ciò che sperava”

(W. Joyce, I fantastici libri volanti di Mr. Morris Lessmore, Rizzoli, 2012)

I libri ci fanno volare, divertire, piangere, sognare e riflettere, ci raccontano storie reali e fantastiche, ci catapultano nel passato e ci fanno esplorare mondi immaginari. I libri sono tanti e diversi perché tante e diverse sono le storie da raccontare. Se è vero che “c’è una storia per ciascuno” è altrettanto vero che ognuno può scrivere la propria. 

Da questa convinzione nasce l’idea di proporre ai bambini la realizzazione di un mini-libro piegando un semplice foglio A4 (o A3). Il libricino sarà formato da sedici pagine interne, un numero sufficiente per raccontare, a parole o con le immagini, una fantastica esperienza, un sogno, una scoperta, un desiderio o una storia “matematica” dove i protagonisti sono i numeri (per esempio, la propria presentazione attraverso i numeri: il mio nome è composto da 6 lettere, ho 36 anni, abito al numero 93…).

Il primo obiettivo è quello di suddividere il foglio in sedici parti uguali. Ma come? Si può piegare il foglio a metà, poi di nuovo a metà, ancora e ancora e scoprire che il foglio risulterà prima diviso in due, poi in quattro, poi otto e infine sedici parti ma procedendo in questo modo non avremo le pieghe nel giusto verso (a monte e a valle), che agevolano la piegatura finale del mini-libro. Il consiglio è quindi quello di seguire i passaggi mostrati nel videotutorial oppure le istruzioni scritte e illustrate nel file allegato.

Questa attività è un’ottima occasione per parlare delle figure che sono visibili, di volta in volta, piegando. In questo modello si formano sempre rettangoli congruenti ad eccezione di un passaggio dove i due rettangoli avranno una dimensione diversa: uno sarà la metà/il doppio dell’altro. Con il modello tra le mani, durante le pieghe, si può osservare anche la superficie di ogni rettangolo: a quale frazione corrisponde rispetto al foglio intero? Tutte queste riflessioni possono essere espresse oralmente durante l’attività laboratoriale e poi verbalizzate in un momento successivo, dedicato alla rendicontazione dell’esperienza (utilizzando, se necessario, il file allegato). 

Passare dal foglio suddiviso in sedicesimi al mini-libro è semplice: si tratta di fare tre tagli e piegare le pagine a fisarmonica, assecondando le pieghe.

E poi? E poi si hanno a disposizione sedici pagine bianche da riempire, dove scrivere le proprie gioie, i propri dolori, tutto ciò che si sa e tutto ciò che si spera!

Video

Materiali

Le funzioni di utilità sotto l’albero di Natale

Cara lettrice, caro lettore,
le giornate si accorciano, le città si riempiono di luci e, con l’avvicinarsi del Natale, ritornano anche le annose domande sui regali. L’ennesimo libro, orsetto Thun, videogioco potrà far piacere a quel parente o a quell’amico? Quantificare la soddisfazione causata da un bene può sembrare impossibile. Eppure in microeconomia, il ramo dell’economia che si occupa di studiare le decisioni dei singoli individui, si cerca di studiare qualitativamente proprio questa sensazione. Lo strumento principale per farlo è il concetto di funzione di utilità.

Le funzioni di utilità per un singolo bene

Proviamo a immedesimarci in una persona disoccupata, senza alcun introito. Se questa persona riuscisse a ottenere un lavoro tale da garantirgli uno stipendio netto di mille euro al mese, la sua soddisfazione sarebbe piuttosto elevata. Infatti ora potrebbe permettersi, oltre ai beni di prima necessità, anche qualche piccola spesa di piacere. Ora immaginiamo un dirigente che guadagna seimila euro al mese. Se ricevesse un aumento di stipendio di mille euro al mese, la sua vita non cambierebbe così tanto. In altre parole, la differenza tra la soddisfazione corrispondente a settemila euro al mese e a seimila euro al mese è inferiore alla differenza tra la soddisfazione corrispondente a mille euro al mese e a nessun introito.
Per spiegare questo concetto, gli economisti utilizzano il concetto di utilità marginale. In prima approssimazione, l’utilità marginale di un bene con funzione di utilità $f$ è la funzione che associa $x$ a $f(x+1)-f(x)$ (in questa formula, $x$ indica la quantità di bene posseduto). L’esempio dell’aumento di stipendio si può parafrasare così: l’utilità marginale che descrive la soddisfazione dovuta alla disponibilità economica è una funzione non crescente. In effetti, questo è uno dei principi di base della teoria dell’utilità, valido per tutti i beni.
Se un bene, almeno a livello ideale, si potesse descrivere mediante una una funzione $f: \mathbb R \to \mathbb R$ continua e derivabile due volte, invece di utilizzare $f(x+1)-f(x)$ si considera l’utilità marginale $\lim_{h\to0} \frac{f(x+h)-f(x)}{h} = f'(x)$. Sotto queste ipotesi sulla funzione di utilità $f$, il principio di base della teoria dell’utilità si può formulare dicendo che $f’$ è non crescente o, in modo equivalente, che $f”$ è non positiva (cioè $f”(x)\leq 0$ per ogni $x \in\mathbb R$).

Le funzioni di utilità per più beni

Le funzioni di utilità permettono anche di descrivere la soddisfazione derivante dall’uso congiunto di più beni. Di solito, in economia si distinguono due casi: quello dei beni sostituti, in cui le due scelte sono quasi indifferenti al consumatore (per esempio due marche diverse di gazzosa), e quello dei beni complementari, in cui l’assenza di uno dei due impedisce di godere anche dell’altro (per esempio una console e un videogioco). Il primo caso è abbastanza semplice, siccome l’utilità si comporta press’a poco come quella di un singolo bene, in quantità pari alla somma dei singoli beni sostituti.
Il secondo caso, invece, è più interessante. Pensiamo a una persona che vuole cucinare il proprio dolce natalizio preferito. La ricetta prevede degli ingredienti in proporzioni precise: per esempio, 250 grammi di datteri, 300 grammi di farina, 175 grammi di zucchero, 100 di burro, 4 uova, spezie e lievito. La soddisfazione del possesso di ciascun ingrediente dipende dalla presenza o assenza di ciascun altro: possedere 750 grammi di datteri ma non avere alcun uovo corrisponderebbe a una soddisfazione nulla, siccome questa combinazione di ingredienti non permette di realizzare nemmeno una torta. Le funzioni di utilità che rappresentano questo tipo di situazioni dipendono dalla presenza minima di ciascun ingrediente nella proporzione richiesta per preparare il dolce. In termini matematici, la funzione di utilità degli ingredienti per la torta dipende da una variabile simile a $\min\left(\frac{d}{250},\frac{f}{300}, \frac{z}{170}, \frac{b}{100}, \frac{u}{4} \right)$ (dove $d$ indica la quantità di datteri, $f$ quella di farina, e così via). Questo tipo di funzioni di utilità per i beni complementari è stato studiato dall’economista russo naturalizzato statunitense Wassily Leontief.

Le funzioni di utilità e i regali di Natale

Cosa ci dicono le funzioni di utilità sui regali di Natale? A meno che non ci troviamo di fronte a un avido collezionista, il quarto orsetto Thun consecutivo difficilmente farà la stessa impressione del primo. Per i libri il discorso è diverso: un romanzo qualsiasi potrebbe passare inosservato, ma se sappiamo che a una persona manca l’ultimo libro di una serie avvincente, quel regalo sarà certamente gradito. Però affrontiamo la scelta dei regali senza l’affanno di dover ottimizzare ipotetici modelli matematici: la consapevolezza di essere stati ricordati da una persona cara vale molto di più di quanto qualsiasi funzione di utilità possa descrivere.

Per approfondire

  • Alcuni esempi di funzioni di utilità, tra cui quella di Leontief, sono presentati alla pagina dirittoeconomia.net
  • Per approfondire le tecniche matematiche legate all’ottimizzazione delle funzioni di utilità, puoi fare riferimento a Gauss 5, Unità 3, in cui vengono trattati in dettaglio metodi per ottimizzare la scelta, nel caso di due beni complementari, per un consumatore che sia soggetto a un dato vincolo di bilancio. Le stesse tecniche possono essere impiegate dalle aziende per valutare quale combinazione di fattori produttivi riesca a massimizzare l’utile complessivo

La giornata europea delle lingue

La Giornata europea delle lingue (GEL) è stata celebrata per la prima volta nel corso dell’Anno europeo delle lingue nel 2001. Al termine di questa campagna, il Comitato dei Ministri ha deciso di istituire la GEL in quanto evento celebrato il 26 settembre di ogni anno. In tale occasione, milioni di persone in tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, ma anche in altre parti del mondo, organizzano o prendono parte ad attività volte a promuovere la diversità linguistica e la capacità di parlare altre lingue.

Lo scopo generale della Giornata è quello di richiamare l’attenzione sulla ricca diversità linguistica e culturale dell’Europa, che deve essere mantenuta e incoraggiata, ma anche sulla necessità di accrescere la gamma di lingue apprese nel corso della vita, in modo da sviluppare la propria competenza plurilinguistica e arricchire la comprensione interculturale. La Giornata europea delle lingue rappresenta un’occasione per celebrare tutte le lingue che vengono utilizzate in Europa, ivi comprese quelle meno diffuse e quelle dei migranti.

Così recita il sito ufficiale del Consiglio d’Europa. Questa data è una grande occasione per allargare gli orizzonti, aprire porte e incentivare tra gli studenti delle nostre scuole lo studio delle lingue straniere. Di seguito troverete alcuni spunti per diverse lingue Europee per celebrare nelle classi la Giornata Europea delle Lingue 2021.

INGLESE

FRANCESE

SPAGNOLO

TEDESCO

RUSSO

PER TUTTI

 

Inoltre, il Collegio San Carlo di Milano, offre a tutti i docenti la possibilità di partecipare con le proprie classi a due conferenze organizzate dal Dipartimento di Lingue della secondaria di secondo grado. Le conferenze si terranno nella giornata di martedì 28 settembre dalle ore 8:00 alle ore 10:00.

 

CONFERENZA 1 – Consigliata per biennio.

La via dei tesori” – in viaggio tra le lingue minoritarie italiane
Relatori:
Avv. Marta Galbiati – avvocato presso il foro di Lecco
Prof. Maurizio Virdis – ordinario di filologia Università degli Studi di Cagliari
Prof. Federico Vicario – ordinario di filologia Università degli Studi di Udine, presidente Società Filologica Friulana
Prof.ssa Sabrina Rasom – direttrice Istituto Culturale Ladino in Italia
Prof.ssa Christiane Dunoyer – direttrice Istituto Lingue franco-provenzali in Italia

CONFERENZA 2 – Consigliata per triennio

Uniti nella diversità”. Cosa fare con le lingue in Europa?
Relatori:
Dott.sa Mojca Bozic – Rappresentanza a Milano Commissione Europea
Interverranno anche giovani italiani impegnati in progetti UE

26 de septiembre, Día europeo de las lenguas

El Día europeo de las lenguas, que se celebra el día 26 de septiembre, es una iniciativa nacida en 2001 de la mano de la Comisión Europea y del Consejo de Europa, con el objetivo de animar a los más de 800 millones de ciudadanos de los países miembros a aprender lenguas, porque la lengua es un elemento clave no solo para entender a los habitantes que la hablan sino también es fundamental para preservar la ingente herencia que nos han legado nuestros antepasados. 

Esta celebración anual es importante no solo porque es un homenaje a la diversidad lingüística de Europa, continente que posee más de 200 lenguas propias, de las cuales solo 24 son oficiales, sino también porque fomenta la diversidad cultural y lingüística.

Las organizaciones nacionales, las instituciones de la UE, la red EUNIC (European Union National Institutes for Culture) y el Consejo de Europa colaboran en la creación de un programa variado de actividades para todas las edades, en el que participan numerosas instituciones y asociaciones con intereses culturales y lingüísticos, así como universidades y centros escolares, que incluye cursos de idiomas, juegos, charlas, conferencias, programas de radio…, a lo largo y ancho de Europa que tendrán lugar a lo largo de la cuarta semana de septiembre.

Para más información y actividades consultar en el siguiente enlace:
https://edl.ecml.at/Home/tabid/1455/language/es-ES/Default.aspx

Navegando por la página que se abre entrando en el anterior enlace, vuestros alumnos podrán descubrir curiosidades sobre las lenguas de Europa, realizar desafíos y tareas muy entretenidas en los que repasar léxico y gramática. 

 

Teaching ideas: Tokyo 2020/1

The Olympic Games, held every 4 years, is one of the great global occasions where people from every country in the world, no matter how big or small, come together to compete in an astonishing variety of sports. The richness of cultures and languages only enhance the experience for all the participants and communication between them. It is truly a mighty force for togetherness and inclusion.

We’ve all enjoyed the Olympics in Tokyo. Why not using this important event for one of our first lessons of the year?

Mais les profs sont toujours les mêmes?

Jeudi 2 septembre 2021, en France c’est le jour J, le jour de la rentrée.

Pour les parents, c’est un moment très délicat parce qu’il y a un tas de choses à faire pour repartir du bon pied : l’inscription au centre de loisirs, le choix d’une activité sportive, culturelle ou solidaire, l’accompagnement aux devoirs,…

Pour les 12,5 millions d’étudiants français, c’est surtout la joie de retrouver ses amis ou copains, mais c’est aussi l’inquiétude de découvrir ses nouveaux profs, le stress et l’anxiété de la performance scolaire et le strict respect du protocole sanitaire conçu pour limiter la propagation de la Covid-19.

Et pour les enseignants ? Il faut immédiatement dire que le portrait de l’enseignant-robot, qui répète mille fois la même leçon sans jamais s’épuiser, qui garde son calme en toutes circonstances, jamais malade, jamais gréviste… a changé, surtout chez les jeunes, sensibles aux troubles de leur génération. 

L’augmentation des tâches des professeurs, la gestion des rapports avec les étudiants difficiles ou provenant de catégories sociales défavorisées, le manque de reconnaissance, l’enseignement à distance ne sont que la partie visible de l’iceberg qui mène, peu à peu, à l’épuisement professionnel (ou burn-out) des enseignants.

Mais alors, c’est vraiment une « mission impossible », le prof ? Non, bien sûr, à condition de changer !

Comme le témoigne un article du célèbre hebdomadaire L’Express, « la vieille image du professeur, branché sur les radios du service public, abonné à Télérama et qui fait ses achats à la Camif, semble aujourd’hui avoir du plomb dans l’aile ». En effet, même si on continue à suivre les matinales de France Inter et France Info, il faut aussi dire que, le matin, la radio la plus écoutée par les moins de 30 ans est NRJ, la radio privée qui mieux incarne les inclinations des jeunes profs, consommateurs de rire et d’humour comme les personnes de leur âge.

Même l’adhésion aux associations syndicales des enseignants, toujours prêtes à se battre pour les intérêts professionnels, est devenue moins importante : de 45% en 1990 à 30% aujourd’hui. C’est encore le portrait de la société actuelle, celle où chacun existe pour soi et non plus au nom d’une catégorie.

Il en est de même pour la politique : s’il est vrai que la plupart des enseignants reste de gauche, il faut cependant reconnaitre qu’après la chute de Jospin au premier tour de la présidentielle en 2002, on assiste au début de la dispersion de leur vote.

Et alors, les profs vont-ils disparaitre ? Bien sûr que non! Notre société a évolué parce que la vie est faite de changements et que tout le monde doit s’adapter. Certains le font assez aisément et utilisent ce stress positif pour se dépasser, relever des défis, évoluer et se remettre en discussion. D’autres ont du mal à y parvenir et tombent dans le stress et la déprime. Les profs, heureusement, n’ont pas peur et ont choisi de changer !

Bibliographie

Sur les profs :

Sur l’école et la rentrée :

L’11 settembre alla prova della storia

L’11 settembre 2001 ha segnato la vita di diverse generazioni, in gran parte ancora giovani e attive: tutti ricordiamo dove eravamo nel momento in cui fu data la notizia in televisione. Si tratta di uno di quei rari eventi storici che, per il clamore suscitato e per la rapidità della ricezione nella comunicazione di massa, riescono a far breccia nella biografia dei contemporanei, imprimendosi sulla loro memoria personale.

Ma questo evento, considerato oggi come “epocale”, alla stregua di uno spartiacque decisivo fra un periodo e un altro, resterà nei manuali come l’assassinio di Sarajevo nel 1914? È probabile che, fra alcune decine d’anni, all’attacco alle Torri Gemelle si riserveranno ancora alcune righe sui manuali, ma non molto di più. Vediamo di capire perché.

In primo luogo, non si è trattato di un fatto che ha cambiato il corso della storia. Vent’anni dopo, la guerra al terrorismo estremista di matrice islamica non si è ancora esaurita e, soprattutto, non è stata vinta da nessuno: non da Osama bin Laden, ucciso da un commando americano in Pakistan nel maggio del 2011, ma neppure dagli occidentali, che, dopo essere intervenuti in Afghanistan proprio per reazione all’attacco alle Torri Gemelle in nome della “guerra al terrorismo” scatenata dal presidente George W. Bush, nel 2021 hanno abbandonato il paese ai talebani senza essere riusciti a stabilizzarlo e senza aver praticato un efficace processo di ricostruzione nazionale, nonostante le tuttora imprecisate vittime civili (circa 47.000), gli oltre 110.000 caduti in combattimento da ambo le parti, e i quasi 3.600 morti, 54 dei quali italiani, contati fra le forze NATO.

L’Afghanistan si conferma, quindi, lo spazio remoto e inafferrabile che è stato dall’Ottocento in poi: allora preda impossibile nel “Grande Gioco” fra inglesi e russi per il controllo del cuore dell’Asia, obiettivo di alcune sanguinose spedizioni britanniche (una prima nel 1839-1842, ed una seconda nel 1878-1880); oggi – dopo dieci anni di occupazione sovietica (1979-1989) e venti di protettorato occidentale – territorio sospeso fra tribù, minoranze modernizzatrici, terroristi di diversa matrice, interessi delle superpotenze (oltre agli USA, la Russia e la Cina), e traffici di ogni genere – a partire dalla droga – intermediati dai cartelli internazionali del crimine. Non solo: la sua appetibilità economica è nel frattempo molto cresciuta grazie alla scoperta di importanti giacimenti di terre rare, preziose per l’industria elettronica avanzata.

Se, però, è stato assurdo scatenare una guerra contro “uno stato emotivo” (il terrore, appunto) che non si poteva battere sul campo di battaglia e con il quale non si poteva stipulare una pace, è altrettanto vero che il terrorismo fondamentalista, benché tuttora vivo e vegeto, non è stato capace di piegare l’Occidente: molto meno, almeno, di quanto vi sia riuscito l’invisibile Covid-19, fra il 2020 e il 2021.

L’11 settembre, tra storia e memoria

Per chi, vent’anni fa, aveva sufficiente memoria del trentennio precedente, l’11 settembre era la data del colpo di stato in Cile, dell’inizio della dittatura del generale Pinochet, un evento che tanto impressionò e influì sulla politica italiana degli anni Settanta. Poi, oltre ogni immaginazione, l’11 settembre 2001 arrivarono le immagini delle Twin towers incendiate, del fallito attentato al Pentagono di Washington e dell’areo caduto nelle campagne della Pennsylvania. Si trattava di immagini potenti, mai viste prima, destinate a imprimersi nell’immaginazioni di tutti coloro che le videro, in diretta o quasi, in un giorno in cui tutto sembrava cambiare per sempre.

A distanza di vent’anni sarebbe eccessivo dire che quell’immaginario nato dal più grave attentato terroristico in un paese occidentale, sia completamente venuto meno. Tuttavia non abbiamo più l’impressione che esso abbia rappresentato una cesura netta nella storia, un evento periodizzante, come si usa dire. I successivi vent’anni di storia, i primi del nuovo Millennio, ci hanno riservato ancora molte immagini di attentati e di stragi dovute al radicalismo islamico, soprattutto nel Medioriente, così come le imprese di quella sorta di multinazionale del terrore guidata da Osama Bin Laden (il miliardario arabo ideatore dell’attentato alle Torri gemelle) nota come Al Qaeda (la base, in arabo) hanno dovuto cedere il passo alle gesta dell’Isis, il cosiddetto nuovo califfato islamista, deciso a creare uno vero e proprio spazio politico e militare jihadista in tutto il Medio, il Vicino Oriente e l’Africa settentrionale e occidentale, non accontentandosi di punire l’Occidente con attentati mirati e periodici.

Se poi volessimo giocare ancora con il potere evocativo delle date, potremmo chiederci se il 30 agosto 2021, il giorno in cui l’ultimo soldato americano ha lasciato l’Afghanistan, dopo una guerra lunghissima ˗ la cui origine fu proprio il desiderio di rivalsa dopo l”11 settembre”˗ rimarrà altrettanto impresso nella nostra memoria. La guerra in Afghanistan, il cui svolgimento è ancora sotto i nostri occhi, sembra quasi la chiusura di un cerchio. L’America ferita del 2001 scatenò tutto il suo potenziale bellico contro il terrorismo islamista. Arrivò a invadere ben due paesi (uno dei quali, l’Iraq, che con lo jihadismo niente centrava), riuscì a scovare il covo di Bin Laden e a eliminare l’ideatore dell’attentato, in quel Pakistan ambiguamente sospeso tra un’alleanza filo-occidentale e il desiderio di considerare il limitrofo Afghanistan come una sorta di “cortile di casa” dove giocare a esperimenti geopolitici inediti. Il più significativo di questi fu la nascita del movimento talebano, una sorta di teocrazia politica capace di tenere unito un territorio tradizionalmente alieno al centralismo statale e caratterizzato da divisioni tribali di lunghissima data.

La memoria dell’11 settembre 2001, allora, non rischia certo di venire a mancare per la tragica spettacolarità che la caratterizzò. E neanche per il corollario di dubbi e teorie stravaganti che si è portata dietro, ossia la pretesa che si sia trattato di una montatura o altre facezie simili. L’11 settembre, piuttosto, può essere visto come l’inizio di quel declino della potenza americana di cui tanti studiosi parlano da almeno una decina di anni. 

Il ruolo esercitato dagli Stati uniti dopo la Seconda guerra mondiale sembrò, con la caduta del comunismo della fine degli anni Ottanta dello scorso secolo, divenire assoluto, in assenza di una superpotenza ostile come controparte. Pochi avevano previsto, allora, la gigantesca ascesa economica della Cina che, entro questo decennio, raggiungerà il PIL degli Stati Uniti. In un mondo in cui gli attori economici vanno sempre più diversificandosi, persino l’opinione pubblica americana si sta convincendo che non è più interesse primario per la nazione essere il gendarme del mondo. Ha dimostrato una prima volta questa tendenza nel 2016, eleggendo un presidente dichiaratamente isolazionista come Trump. Il fatto che recentissimi sondaggi elettorali castighino solo relativamente la condotta dell’attuale presidente Biden in Afghanistan, quella cioè di un ritiro immediato e definitivo, è forse il segno che dalla politica mondiale del futuro dobbiamo aspettarci sempre di più una pluralità di protagonisti. Tutti impegnati, come sempre, a rendere centrali i propri interessi particolari.