Blend it!

In 2003 blended learning was recognized to be one of the top ten emerging trends in the knowledge delivery industry by the American Society for Training and Development.¹

Nowadays the pandemics has brought back the need to find new ways to deliver knowledge and blended learning can be a good solution. But, what do we mean by blended learning?

There are a lot of definitions that have been given but the main concept is always the same: mixing face to face teaching with multiple online learning techniques and materials.²

Since 2002, when some University in California started delivering knowledge using both face-to-face lessons and internet, there has been no fixed pattern for blended learning but the possibilities are endless.

In 20 years many changes have occurred and online possibilities are now many more and diverse. Moreover, the new challenges of Didattica a Distanza have given us the chance to explore new possibilities.

The elements that play a role in Blended learning are mainly four: Space, Time, Fidelity and Humanness. The different mix of the four elements gives life to an infinite number of activities³ such as flipped classroom, team-based learning, experiential learning, problem-based learning, cooperative learning and many more.
________________________________________________________________________
¹ 
Graham, Dziuban, Blended learning environments, Handbook of Research on Educational Communications and Technology: A Project of the Association for Educational Communications and Technology, 2007.
² G.Picciano, Blended Learning: Research Perspectives, Volume 2, Routledge, 2013.
³ Curtis, Bonk, Graham, The Handbook of Blended Learning: Global Perspectives, Local Designs, 2005.

Pros and cons

Like every other teaching approach, blended learning has both pros and cons.

PROS

  • Personalisation – blended learning gives the possibility to match students’ needs
  • Time management – Online materials are available anywhere at any time 
  • 360° Educational experience thanks to the varied material provided

CONS

  • Organising a blended unit is time consuming
  • Technology sometimes can be challenging
  • Time spent in front of a screen increases

Examples

The following examples are meant to be just general outlines of what teachers can plan for a blended teaching unit.

A DAY IN THE LIFE OF… | FOCUS ON WORK

  • Vocabulary for jobs and skills required
  • Interview somebody asking him/her about the tasks involved in his/her job and the skills needed
  • TV Series – Dirty jobs. Let your students choose an episode and investigate a particular job that is not that common in their area
  • Strange jobs around the world – group research (Dabawalla, Train pusher, Smokejumper…)
  • Write a paragraph on the job you find perfect for your teacher

WHERE LIFE IS TOUGH | FOCUS ON WAR LITERATURE

START CREATING YOUR OWN BLENDED LESSON

https://ed.ted.com/videos

Alla scoperta del Realismo Magico

La storia dell’arte si dipana in maniera a volte schizofrenica rispetto alla tendenza del gusto e degli interessi visuali del grande pubblico, che trascura spesso fenomeni e personalità artistiche di indubbio valore e di grande fascino. Valerio Terraroli, curatore della mostra in corso in questi mesi a palazzo Reale a Milano, dedicata al Realismo Magico, ci introduce nel mondo fascinoso e sottilmente inquietante di questo fenomeno artistico dai riflessi internazionali, cui l’Italia ha dato un contributo di alto spessore.

Il Realismo Magico – definizione coniata nel 1925 dal critico tedesco Franz Roh e ripresa e codificata da Massimo Bontempelli nel 1927 – non è uno stile o una corrente artistica organizzata, bensì un modo di percepire e interpretare la realtà quotidiana attraverso una pittura che, opponendosi alle tensioni dinamiche futuriste e alle sensibilità deformanti espressioniste, si distingue sia da un generico “ritorno all’ordine” antimodernista intriso di classicità, sia dalle più esplicite invenzioni metafisiche.

La rappresentazione oggettiva di un’atmosfera sospesa

L’ossimoro che descrive il Realismo Magico sottolinea la coesistenza di una rappresentazione oggettiva e di atmosfere sospese e surreali: la realtà, infatti, è il punto di partenza di una trasfigurazione che passa attraverso l’immaginazione e la meraviglia, capace di rivelare il mistero che si nasconde dietro il mondo rappresentato.

La declinazione realistico-magica emerge alla fine della Grande Guerra, con degli antefatti negli anni Dieci, e attraversa la pittura italiana degli anni Venti come una linea di forza autonoma e riconoscibile, in specie rispetto al Novecento italiano di Margherita Sarfatti, condividendo la sua rapida parabola con il panorama artistico internazionale e, in particolare, con quella pittura tedesca, definita della Neue Sachlickheit (“Nuova Oggettività”), contraddistinta da una figurazione oggettiva e cristallina, sospesa e straniante. Questa straordinaria stagione pittorica dell’incanto si estende fino agli esordi degli anni Trenta, prima di essere assorbita dalla più generale tendenza novecentista.

“La magia non è soltanto stregoneria: qualunque incanto è magia (…). Forse è l’arte il solo incantesimo concesso all’uomo e dell’incantesimo possiede tutti i caratteri e tutte le specie: essa è evocazione di cose morte, apparizione di cose lontane, profezia di cose future, sovvertimento delle leggi di natura, operati dalla sola immaginazione.”

(Massimo Bontempelli, 1927)

I precedenti e le suggestioni

Preludio alla poetica del Realismo Magico sono le ricerche di quegli artisti che operano un percorso a ritroso verso le fonti più limpide della pittura, ricercando la grazia della visione, la semplicità del sentire, la nostalgia dell’origine.

“Tutto è ritornato come nelle ere primordiali” scrive Carlo Carrà nel 1916, anno in cui l’artista comincia a meditare la lezione degli antichi maestri e a orientare il proprio lavoro nella direzione di una sorta di colto primitivismo. Un desiderio di semplicità e autenticità che fa riemergere quella ricerca carica di candore arcaico che rimanda alla naïvité del Doganiere Rousseau, ma che porta alla creazione di una pittura tutt’altro che ingenua, frutto di uno studio approfondito dell’arte antica e della geometria che dona alla composizione rigore e equilibrio.

I caratteri che connotano maggiormente l’arte del Realismo Magico – una quieta narrazione che cela un senso di attesa e di meraviglia, l’impressione di assistere a un’inspiegabile epifania – si possono riconoscere in Le figlie di Lot (1919) di Carrà [1] e in Silvana Cenni (1922) di Felice Casorati [2], così come nel bassorilievo di Arturo Martini Gli amanti (1920) [3] che condividono questa ricerca di un nuovo equilibrio nel quale la realtà viene filtrata alla luce di uno sguardo nitido, geometrico, immobile, in altre parole purificato da qualsiasi deformazione espressiva e interpretativa.

In tutti è sotteso il magistero della pittura di Giorgio de Chirico, che il fratello Alberto Savinio definisce “mago moderno”, artista capace di far emergere il mistero che si cela dietro l’apparenza.

L’opera manifesto

Dopo l’orgia, dipinto nel 1928 da Cagnaccio di San Pietro [4], è emblematicamente uno dei manifesti pittorici del Realismo Magico per la potenza dell’oggettività descrittiva e per l’assoluto straniamento che l’immagine suggerisce: verità e sogno, Eros e Thanatos, denuncia e compiacimento voyeuristico si fondono in questo capolavoro rifiutato dalla giuria di accettazione della XVI Biennale di Venezia presieduta da Margherita Sarfatti per la crudezza della scena e per il sottile riferimento alla corruzione morale dei dirigenti fascisti (il fascio littorio nel gemello del polsino abbandonato sul tappeto).

Se il riferimento più esplicito è a Meriggio [5] esposto da Felice Casorati alla propria personale in Biennale nel 1924, Cagnaccio qui risolve la monumentale composizione su un piano di estrema durezza figurativa, sotto una luce artificiale e violenta in cui la carica erotica dei nudi femminili, diversamente scorciati, è totalmente anestetizzata da un alone di morte e di gelo fortemente affine a contemporanee soluzioni proposte dalla Neue Sacklickeit tedesca.

Fanno da contrappunto a questa oggettualizzazione del corpo femminile Primo denaro (1928), sempre di Cagnaccio, e, nella sua esplicita ambiguità, Arcadia proposta da Carlo Levi alla XIV Biennale (1924) [6], e da corollario le più elegantemente classicheggianti tele di Mario Tozzi (La toeletta del mattino; 1922) [7] e, soprattutto, del romano Mario Broglio (Le nacchere, La piscina, Romanzo) in cui il nudo contemporaneo è rivisitato alla luce dei modelli classici. Classicismo che innerva, per l’ormai novecentista Ubaldo Oppi, Nudo disteso (1925) “più vero del vero, fa pensare a correnti attuali della ricerca di un realismo esasperato. Il tappeto rossastro buttato in diagonale in un cortile (lo stesso ambiente ospiterà tra poco i gelidi Chirurghi) accoglie un’odalisca di Ingres passata dallo studio di Delacroix […]. Un gelido calore, per ridare vita all’eterno mito di Pigmalione” (Maurizio Fagiolo dell’Arco, 1988).

Una parabola di breve durata

Il Realismo Magico, in realtà, conclude la propria parabola nell’arco di pochi anni. Questa formula riemerge a più riprese nelle opere di Edita Broglio (Ritratto di signora su tarsia), di Ferruccio Ferrazzi, di Ubaldo Oppi (il decisamente antinovecentista e nuovo oggettivo Tre chirurghi [8], del 1926), ma soprattutto degli “inflessibili” Cagnaccio di San Pietro e Antonio Donghi, i quali perseverano nella loro scelta poetica e stilistica per tutti gli anni Trenta e poco oltre.

Cagnaccio descrive l’atmosfera malinconica della laguna veneziana, la dignità silente delle due popolane vestite di nero e in preghiera in La sera [9], del 1923, con la stessa modalità analitica con cui descrive, dopo più di un decennio, le tensioni muscolari e lo sforzo dei due barcaioli che trascinano la barca, in L’Alzana (1935) [10], come un novello Lucas Cranach, o meglio come il nuovo oggettivo Christian Schad, e con lo stesso approccio dipinge ritratti austeri, quali L’operaia, così come, nei medesimi anni, Edita Broglio dipinge il raffinato ritratto femminile pensato come un intarsio quattrocentesco. Ma è Antonio Donghi a portare all’estremo limite la parabola realistico magica con l’incomunicabilità raggelata riconoscibile in Gli amanti [11], Bambini alla finestra e nel malinconico Pescatore, ma soprattutto nello smaltato ed emblematico Suonatrice di chitarra.

La cifra inconfondibile del Realismo magico è, dunque, l’idea di un approccio mimetico alla realtà, dove mimesis non è mai sinonimo di meccanica riproduzione naturalistica, quanto costruzione di una realtà artificiale, per quanto verosimile, in cui la vita viene congelata affinché sia possibile scorgerne l’incantato e tragico mistero. Distanti anni luce dal generale diffondersi del novecentismo, nelle sue diverse declinazioni,  e dal muralismo sironiano, i due artisti si ritirano ai margini dell’agone artistico e culturale poiché il mondo intorno a loro ha rinunciato al mistero, all’incanto dello sguardo, così come è rifuggito dalla lucidità critica e dalla descrizione analitica del quotidiano e della realtà contingente, insomma da quelle superfici smaltate, da quell’apparente distacco che, invece, dell’esistenza e del contingente è in grado di rivelare, inesorabilmente, tutte le contraddizioni interne e le irrisolte ambiguità.

La mostra

La mostra Realismo Magico in corso a palazzo Reale a Milano (dal 19.10.2021 al 27.02.2022) ripercorre le vicende, i temi prediletti e gli autori principali del fenomeno Realismo Magico attraverso una selezione di capolavori provenienti da un’importante collezione privata intorno alla quale si sono costruiti dei confronti e delle suggestioni con opere italiane e straniere. La mostra è dedicata alla memoria di Elena Marco che ha sempre creduto e sostenuto questo progetto e ad Emilio Bertonati, il gallerista che ha fatto conoscere l’arte del Realismo magico italiano e della Neue Sachlickeit tedesca a partire dai primi anni Settanta.

Per approfondire l’argomento con l’analisi di alcune opere presenti alla mostra milanese fatta dalla viva voce del curatore, puoi vedere il video:

Didascalie delle immagini

1 Carlo Carrà, Le figlie di Loth, 1919, olio su tela, 111×80 cm, Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto / Collezione VAF-Stiftung

2 Felice Casorati, Ritratto di Silvana Cenni, 1922, tempera su tela, 205 x 105 cm, collezione privata.

3 Arturo Martini, Gli amanti, 1920, bassorilievo in gesso patinato, 75 cm x 12 cm x 90 cm, Milano, Casa Necchi Campiglio.

4 Cagnaccio di San Pietro, Dopo l’orgia, 1928, olio su tela, 140 x 180 cm, collezione privata

5 Felice Casorati, Meriggio, 1923, olio su tela, 119,5 x 130 cm, Trieste, Museo Revoltella, Galleria d’Arte Moderna

6 Carlo Levi, Arcadia, 1923, olio su tela, 66,5 x 103,5 cm, Roma, Fondazione Carlo Levi in prestito permanente al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

7 Mario Tozzi, La toeletta del mattino. Composizione, 1922, olio su tela, 106 x 114 cm, Verbania, Museo del paesaggio

8 Ubaldo Oppi, Tre chirurghi, 1926, olio su tela, 148×123 cm, Vicenza, Musei civici

9 Cagnaccio di San Pietro, La sera, 1923, olio su tela, Genova, Galleria d’Arte moderna

10 Cagnaccio di San Pietro, L’alzana, 1926, olio su tela, 200 x 173 cm, Venezia, Collezione d’arte della Fondazione Cariplo di Venezia

11 Antonio Donghi, Gli amanti alla stazione (La partenza), 1933, 116 x 67 cm, Campodarsego (PD), Fondazione Chiara e Francesco Carraro

Educazione Civica: “Un passo alla volta, faccio la differenza!”

“Sono solo un bambino, come posso fare la differenza?”

Un decennio fa, probabilmente avremmo risposto a questa domanda dicendo che un bambino può fare ben poco, e che doveva aspettare di crescere prima di fare la differenza. Ma oggi, dopo molte ragazze e ragazzi intraprendenti e movimenti come il Fridays for Future potremmo rispondere in maniera molto differente, lo facciamo citando Greta Thunberg: “Non si è mai troppo piccoli per fare la differenza”.

In questa semplice frase è racchiusa una grande verità, che lascia tutti senza scuse. Ogni giorno compiamo centinaia di scelte che possono essere determinanti per la lotta contro il cambiamento climatico: andare a scuola a piedi o in bicicletta, spegnere la luce quando non è necessaria, abbassare il riscaldamento o i condizionatori… piccoli gesti che, se compiuti da tutti, possono effettivamente fare una grande differenza. Poco più di un anno fa, durante il lockdown per l’emergenza COVID-19 abbiamo potuto vedere cieli e mari puliti in appena tre mesi.

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, è costituita da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. Tra questi il numero 13 è dedicato alla LOTTA CONTRO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO. La scuola italiana ha raccolto questa sfida con l’introduzione dell’ora di Educazione Civica in ogni ordine scolastico: 33 ore distribuite tra tutti di insegnamenti da svolgersi intorno a tre nuclei concettuali: la Costituzione, lo Sviluppo sostenibile e la Cittadinanza digitale.

Il libro che abbiamo scelto questo mese per accompagnare l’azione didattica è “I mostri che minacciano il pianeta. Scopri come difendere la Terra!” di Marie G. Rhode edito da Mondadori. Si tratta di un albo illustrato molto interessante che descrive la Terra come un luogo assediato da pericolosissimi mostri come Ingozzono (il mostro che divora l’ozono), Caldosauro (il mostro che riscalda la Terra nutrendosi dei gas di scarico dei mezzi di trasporto), Acidamari (il fratello gemello di Caldosauro che acidifica i mari e uccide i pesci), Smogodor (il mostro dello smog e delle polveri sottili) e Pluviacre (il mostro che rende acida la pioggia).

Il libro propone mostri inventati sulla base di creature mitologiche della tradizione e propone per ogni mostro una carta d’identità con indicati i comportamenti che rinvigoriscono il mostro e quelli che lo indeboliscono. Il libro si conclude con una riflessione sul fatto che l’uomo è parte del problema e sono le sue scelte di oggi a determinare la grandezza dell’impronta ecologica sul mondo. L’attività che andiamo a proporre legata a questo albo è quella di riflettere con i bambini e le bambine su cinque possibili comportamenti da mettere in pratica fin da subito per fare la differenza nella lotta contro il cambiamento climatico.

Il video qui proposto è suddiviso in tre parti:

  • prima parte: lettura e interpretazione della storia;
  • seconda parte: presentazione del template per raccogliere i cinque comportamenti per la lotta contro il cambiamento climatico. Il template rappresenta un fiore, simbolo di rinascita e di un mondo più pulito. Le sue foglie sono verdi per rappresentare la Terra, la sua corolla azzurra per raffigurare mari e cieli più puliti;
  • terza parte: video tutorial con i passaggi per realizzare il template.

VIDEO

MATERIALI AGGIUNTIVI

LE AUTRICI

Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.

Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.

Entrambe sono autrici Fabbri–Erickson.

Una didattica rivoluzionaria

Questa settimana affrontiamo un tema di grande attualità. Siamo partiti, in questa riflessione, mettendo al centro la lotta al cambiamento climatico e i contenuti dell’Agenda 2030. In questa “lotta”, non si contano i richiami dei giovani e delle giovani al cambiamento: un fenomeno che interessa sempre più anche i bambini e le bambine della scuola primaria. Dalle tematiche ambientali siamo arrivati facilmente al vero tema che è alla base di qualsiasi percorso di educazione: le rivoluzioni.

Sosteneva Bartolomé de Las Casas (1484 – 1566) che “Compito di ogni vera educazione è liberarci dall’educazione che abbiamo ricevuto.” Dunque: una rivoluzione. La stessa che serve per promuovere un’educazione così efficace da far cambiare attitudini al consumo che stanno impegnando l’unico Pianeta a nostra disposizione. La coscienza ecologista è aumentata, nel corso degli anni. Lo testimoniano proprio i bambini e le bambine che non restano indifferenti ai fenomeni come quello di Greta Thumberg. Vuol dire che molto di quello che si è fatto a scuola ha funzionato. Ma si può fare di più?

Le questioni ambientali, ancor più di altre, si prestano a una didattica per competenze. Se chiediamo agli alunni e alle alunne di prendere parte a progetti, analizzando dati reali e promuovendo azioni di cambiamento altrettanto reali, calati nella vita di tutti i giorni, possiamo vedere che le loro conoscenze aumentano. Allo stesso modo, cambiano i comportamenti e il modo di abitare il mondo. In una parola, la didattica che interviene nella realtà è efficace e produce cambiamenti positivi, perché basati su un approccio razionale.  La rivoluzione sta nel produrre cambiamenti positivi.

Rivoluzionare il nostro modo di fare scuola può essere utile a rendere più razionale la gestione dei grandi temi collettivi. Una missione importante, bisogna essere pronti, bisogna essere pronte.

 

Scegli la soluzione migliore!

Ci sono problemi personali e altri che riguardano la collettività, problemi che non hanno soluzione e altri che ne hanno più di una, problemi semplici da risolvere e altri più complessi. Il cambiamento climatico è un problema che riguarda tutti, da affrontare con urgenza con molteplici  azioni coordinate a livello internazionale: la “lotta contro il cambiamento climatico” è stata, infatti, inserita tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo Sviluppo Sostenibile.

E noi cosa possiamo fare se la temperatura media della Terra sta aumentando, i ghiacciai si stanno  sciogliendo e il livello del mare si sta alzando con conseguenze disastrose sull’ambiente? Le misure  che gli Stati possono inserire nelle proprie politiche nazionali non escludono il piccolo contributo che ognuno di noi può dare, compiendo scelte sostenibili. Nella vita di tutti i giorni spesso possiamo  optare, tra le diverse azioni possibili per raggiungere un obiettivo, per quella con il minor impatto ambientale. Si tratta di individuare la soluzione migliore per l’ambiente e il nostro futuro.

In queste questioni decisionali quotidiane è possibile rintracciare una tipologia di problema  matematico poco conosciuta dagli studenti: i problemi di ottimizzazione. A scuola vengono infatti  proposti quasi esclusivamente problemi di ricerca nei quali viene chiesto di esibire una soluzione. Poche volte i bambini si cimentano nella risoluzione di problemi di enumerazione individuando tutte le possibili soluzioni. Nei problemi di ottimizzazione non viene richiesto di esporre una  soluzione qualsiasi o l’elenco delle possibili soluzioni, ma di individuare, tra queste, quella migliore  rispetto a un criterio definito dal problema stesso (Liverani M., Qual è il problema, Milano,  Mimesis, 2005).

Perché proporre quest’ultimo tipo di problemi a scuola? Cimentarsi nella risoluzione di problemi di  varia natura allontana i bambini dall’elaborazione di un concetto riduttivo di problema matematico. I bambini sono spronati ad approfondire la conoscenza della questione analizzandola da più punti di vista al fine di individuare soluzioni alternative. La necessità di confrontare tutte le soluzioni possibili fa emergere l’utilità di una ricerca sistematica che offre loro la certezza di aver vagliato ogni possibile percorso risolutivo. Nell’identificazione della soluzione ottimale, i bambini imparano a mettere a confronto diverse opzioni e ad effettuare scelte oculate in base all’obiettivo da  minimizzare o massimizzare. Inoltre, in queste sfide i bambini mettono in campo le loro conoscenze  e consolidano abilità matematiche, oltre a sviluppare la capacità di problem solving, utile per la  formazione di un futuro cittadino consapevole in grado di operare scelte ottimali.

Ai bambini della scuola primaria non possiamo proporre situazioni complesse tipiche della realtà quotidiana ma possiamo chiedere loro di trovare la soluzione migliore in diverse situazioni, più semplici, che riguardano, ad esempio, numeri, figure da comporre, distanze da percorrere, acquisti da fare. Nella proposta didattica allegata i bambini dovranno compiere la scelta migliore, quella cioè che permette di utilizzare il maggior numero di blocchi di ghiaccio evitando il loro  scioglimento. Quelli da escludere sono, infatti, destinati a sciogliersi. Ogni blocco di ghiaccio contiene un numero (entro il 10, entro il 100 o decimale) e l’obiettivo è quello di ottenere una somma (10, 100 o 1) utilizzando più addendi possibili, tra quelli disponibili. I bambini potranno ricercare tutte le possibili combinazioni ritagliando e manipolando i diversi esagoni. Quando  avranno individuato la soluzione ottimale dovranno incollarli uniti formando una banchisa.

Pronti a lottare contro lo scioglimento dei ghiacciai?

Materiali

La prima farmacia è stata la natura

L’Etnobotanica studia come i popoli hanno usato o usino le piante e i loro prodotti. Il principale interesse dell’etnobotanica (anche se non l’unico) sono le piante medicinali, il cui uso è ancora oggi praticato da molti popoli ed è spesso tramandato come un’arte, la cosiddetta “medicina tradizionale”. Essa si basa su pratiche spesso sedimentate fin da tempi antichi e gelosamente custodite dai guaritori. Molti le considerano come un patrimonio immateriale da custodire e tramandare. In effetti, alcune delle piante identificate e utilizzate dalla medicina tradizionale, o le sostanze estratte da esse, hanno di fatto proprietà farmacologiche promettenti, tanto da attirare l’interesse delle industrie farmaceutiche.

Tralasciando in questa sede il dibattito sulla remunerazione dei popoli indigeni per la condivisione di queste conoscenze, per comprendere l’etnobotanica e le sue applicazioni prendiamo l’esempio di un rimedio tradizionale poi rivelatosi efficace e di come sia così nata una industria farmaceutica. L’esempio è quello dell’aspirina. Da almeno 4 millenni la corteccia del salice veniva usata per decotti antidolorifici. All’inizio del XIX secolo, Johann Buchner isolò dalla corteccia la salicina un glicoside che l’italiano Raffaele Piria dimostrò contenere acido salicilico o acido 2-idrossibenzoico:

Successivamente, l’acetilazione dell’OH fenolico ne ridusse gli effetti collaterali e la sintesi completa ne permise la produzione industriale senza ricorrere all’estrazione dalla corteccia del salice. Se oggi dovessimo ancora produrre l’antipiretico dalla corteccia, non basterebbero gli alberi, il contenuto di farmaco sarebbe molto più variabile (e quindi variabile l’efficacia) e gli effetti collaterali notevoli (es. gastrite, oltre al prezzo!). In poche parole, lo studio delle molecole naturali, la messa a punto della loro sintesi industriale ed eventuali modifiche nella loro struttura hanno contribuito alla nascita delle industrie farmaceutiche e reso disponibili dei farmaci a basso costo e con ridotti effetti collaterali, portando benefici notevoli a miliardi di esseri umani.

Afghanistan: quale futuro?

Novembre 2021

Ritenuti corresponsabili dell’attacco alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2011 e scacciati dal Paese dalla coalizione militare a guida statunitense, dopo vent’anni di guerra i Taliban sono tornati al potere in Afghanistan con l’avvallo di quelle stesse potenze straniere che ne avevano provocato la caduta. Ma al di là del precario accordo politico, quel è il futuro che si prospetta per l’Afghanistan e per i suoi abitanti? Una domanda cui l’autore di questo articolo, William Vittore Longhi, cerca di rispondere offrendo una fotografia dettagliata della situazione sul campo.

Completano l’articolo delle attività per la classe.

Día Mundial de los Derechos de la Infancia

Algunos derechos del niño
Artículo 1: «Esta Convención se ocupa de los derechos de todos aquellos que aún no han cumplido 18 años.»
Artículo 2: «Todos los estados deben respetar los derechos del niño sin distinción de raza, color, sexo, lenguaje, religión, opinión política del niño o de su familia.»
Artículo 12: «El niño tiene derecho a expresar su opinión y a ser escuchado cada vez que se tome una decisión que le afecte.»
Artículo 19: «Nadie debe descuidar, abandonar, maltratar, explotar a un niño o ejercer violencia sobre él.»

El Día Mundial de la Infancia (o Día Universal del Niño) se celebra el 20 de noviembre para llamar la atención sobre los derechos de los niños y su difícil situación en muchas partes del planeta.

La infancia es el colectivo más vulnerable y el que más sufre todas las crisis. Esta jornada es una oportunidad para concienciar a todo el mundo de la necesidad de colaborar para mejorar su bienestar, desarrollo y educación. 

Para ello UNICEF hace un llamamiento para que las nuevas generaciones unidas reinventen un nuevo tipo de mundo, en el que exista un futuro mejor para todos los niños

Origen de la celebración
La ONU celebra el Día Mundial de la Infancia el 20 de noviembre, porque es la fecha en la que la Asamblea General de la ONU aprobó la Declaración de los Derechos del Niño (1959) y la Convención de los Derechos del Niño (1989).

Para alcanzarlo, pide a los gobiernos que adopten un plan de seis puntos para proteger a los niños.

  1. Acabar la brecha digital y garantizar que todos los niños aprendan.
  2. Garantizar a todos los niños el acceso a los servicios de salud y nutrición y a las vacunas.
  3. Apoyar y proteger la salud mental de niños y jóvenes y poner fin al abuso, la violencia de género y la negligencia en la niñez.
  4. Aumentar el acceso al agua potable, el saneamiento y la higiene y abordar la degradación ambiental y el cambio climático.
  5. Revertir el aumento de la pobreza infantil y garantizar una recuperación inclusiva para todos.
  6. Redoblar los esfuerzos para proteger y apoyar a los niños y sus familias que viven en situaciones de conflicto, desastre y desplazamiento.

Siguiendo estos puntos, en nuestras aulas podemos conmemorar el Día Mundial de la Infancia, organizando una jornada o una semana de actividades con nuestros alumnos con el tema Liga medioambiental por el planeta, en la que podemos llevar a cabo debates, talleres de manualidades, talleres literarios o trabajos de investigación. 

Además, este mes queremos recomendaros tres libros dedicados a la infancia sobre las relaciones personales y las emociones.

 

De mayor quiero ser… feliz
Autora: Anna Morato
Editorial: BEASCOA

Reúne seis títulos que están escritos para ayudar a los más pequeños a aprender sobre las emociones y cómo gestionarlas desde la positividad. A través de las historias, aprenderán que ser feliz no es solo estar contento cuando las cosas van bien. 

 

 

 

Te quiero (casi siempre)
Autora: Anna Llenas
Editorial: Timun Mas Infantil

Favorece la comprensión de la diversidad, aquello que nos hace diferentes. Se trata de una historia de amor que demuestra que hasta las personas más distintas pueden aceptarse e incluso, llegar a amarse. 

 

 

 

La ovejita que vino a cenar
Autor: Steve Smallman
Editorial: BEASCOA

Un viejo lobo solo come sopa, sopa, y más sopa… cada noche, hasta que un día recibe una visita de una ovejita que se ha perdido. ¡Por fin va a poder llenarse el estómago con algo rico! Pero se equivoca, porque esa ovejita quiere ser su amiga y no quiere ser la cena de nadie. Una entrañable historia que pone el foco sobre las relaciones de amistad. 

Enlaces de interés:

I feudi, il feudalesimo e la piramide feudale

I feudi – il feudalesimo, come si dice in alcuni manuali – sono uno degli argomenti più difficili dell’insegnamento della storia. Se si cerca in rete – o anche nei manuali e persino nelle pubblicazioni specialistiche – si trova molto, ma credo che si abbia anche l’impressione di una certa confusione. Da molte parti si legge che non è corretto usare l’espressione piramide feudale. Alcuni storici hanno persino proposto di abolire la parola feudalesimo. In questo articolo vorrei provare a sintetizzare alcuni suggerimenti, per chiarire perché certi modi di trattare l’argomento possano essere sbagliati, e avanzare alcune proposte che aiutino a inquadrare correttamente il tema dei feudi. Partiamo dagli errori più comuni.
Il primo riguarda senz’altro la piramide feudale. Con questa espressione ci si riferiva a una presunta gerarchia sociale che, sotto il sovrano, prevedeva l’esistenza di vassalli, di valvassori (vassalli di vassalli) e di valvassini (vassalli di vassalli di vassalli). Di norma, quando ancora compare nei manuali, la piramide feudale è usata per spiegare la società alla fine dell’Alto medioevo, indicativamente nei secoli IX e X, o anche XI, sebbene le cronologie difficilmente vengano chiarite con precisione dai libri di testo. Perché non va bene usare quest’espressione?
La prima critica riguarda l’articolazione gerarchica proposta, che è di fatto quasi del tutto assente dai documenti dell’epoca. La parola valvassini, in particolare, a mia conoscenza è nota soltanto attraverso un unico trattato giuridico del XII secolo, ma non compare mai nei documenti. Anche il termine valvassore, che pure è testimoniato, è piuttosto raro. E se proprio dovessimo essere pignoli, i valvassori dipendevano non dai vassalli, ma dai capitanei, una parola che compare sempre nei testi di XI e XII secolo.
Ma focalizziamo l’attenzione sull’aspetto che ci interessa: quello contenutistico. La piramide feudale trasmette l’idea che essere vassalli, valvassori o valvassini corrisponda alla collocazione all’interno della società: come nell’esercito, in cui si può essere generali, colonnelli, capitani e così via. Invece non era così: nella società dell’epoca non si era vassalli in assoluto, si era semplicemente vassalli di qualcuno. Non si tratta quindi di un ordine stabilito, ma di una relazione personale.
Non si acquisiva uno status sociale particolare per il fatto di essere signore di altri vassalli. Per questa ragione, alcuni storici hanno proposto di non pensare le relazioni feudali in termine di piramide, ma piuttosto di rete. Una rete di legami personali, che serviva a codificare le relazioni tra gli aristocratici. Un ulteriore problema riguarda il fatto che la piramide trasmette l’idea di una società immobile, con rigide articolazioni sociali. Oggi sappiamo che le reti di relazioni vassallatiche non imbrigliarono mai la società in rapporti immutabili di gerarchia. La società di IX e X secolo era infatti fluida: erano possibili scalate sociali. Lo stesso fatto di essere vassalli non implicava del resto, come abbiamo detto, uno status sociale particolare.
C’è una quarta e ultima controindicazione nel concetto di piramide feudale: la pervasività della piramide feudale. L’idea cioè che i legami feudali fossero diffusi in maniera capillare nell’impero di Carlo Magno e dei suoi successori. Per lungo tempo gli storici hanno creduto che l’intera società di IX e X secolo fosse rigidamente organizzata attraverso questo tipo di relazioni feudali, tanto da definirla come “società feudale” e da usare per quest’epoca l’espressione di “feudalesimo”. In diverse zone d’Europa, i rapporti feudali erano poco diffusi ed esistevano molti aristocratici che avevano beni soltanto in “allodio”, cioè in piena proprietà, senza avere alcuna relazione di dipendenza vassallatica da altri. E non per questo erano più o meno potenti dei vassalli.
È stato pure osservato che – anche dal punto di vista della cronologia – l’uso delle relazioni feudali (o forse sarebbe meglio dire vassallatiche), che indubbiamente può essere fatto a partire da Carlo, ebbe una diffusione molto maggiore nel corso del basso medioevo e persino in età moderna. Talvolta associato alla piramide feudale, o comunque alla società dell’epoca, troviamo un altro errore frequente: i “servi della gleba”, così come vengono indicati i contadini il cui destino era legato alla terra. I servi della gleba sarebbero infatti contadini che venivano venduti insieme alla terra, che quasi passavano di proprietà insieme ai beni fondiari. Persone dunque dalla libertà limitata, costrette a risiedere sulle loro terre, che non potevano lasciare senza il consenso del signore.
Ma questa condizione non era diffusa nel medioevo e soprattutto non nell’alto medioevo. I tentativi di legare i contadini alla terra esistono nella storia, ma si applicano a contesti molto precisi: per esempio, ai tempi dell’imperatore Teodosio, dunque in età tardoantica e non medievale, e si ritrovano nell’Europa orientale, nel medioevo e anche nell’età moderna. Però, se guardiamo al complesso dell’Europa altomedievale, possiamo senz’altro dire che i contadini erano in maggioranza liberi. Avevano, per esempio, la possibilità di trasferirsi da un villaggio all’altro e di instaurare rapporti di lavoro con i signori che offrivano loro migliori condizioni contrattuali.

Talvolta si unisce ai servi della gleba, un ulteriore stereotipo, ancora più grottesco: lo ius primae noctis, cioè il fantomatico diritto che il signore avrebbe avuto di trascorrere la prima notte di nozze con le fanciulle del villaggio. Anche questo è naturalmente un luogo comune e nel medioevo non è mai esistito. Aggiungiamo un’osservazione finale: usare i concetti di piramide feudale e servi della gleba per spiegare la società dei secoli centrali del medioevo contribuisce a disegnare l’immagine di un periodo buio, cupo, segnato dall’immobilità delle relazioni sociali, dall’uso arbitrario della forza e dalla prepotenza dei signori.

Quali sono allora i concetti che possono aiutarci a inquadrare correttamente la società dell’epoca? Partiamo dal concetto di vassallaggio, che non sempre è spiegato bene nei manuali, e proviamo a darne una definizione. Si tratta di un giuramento di natura militare con cui il vassallo si impegna ad aiutare in guerra il signore in cambio di un beneficio vitalizio, costituito da un bene fondiario oppure da un ufficio. Analizziamo questa definizione, prestando attenzione al lessico.
Innanzitutto i protagonisti (chi?): il vassallo e il signore sono aristocratici (ci sono rarissimi casi di vassalli di condizione servile, ma diciamo che si tratta decisamente di un’eccezione). Questo aspetto deve essere sempre tenuto presente: per esempio, i contadini non erano vassalli (è questo un punto che forse non è sempre chiaro). In alcuni casi il signore può essere il sovrano (come nel caso di Carlo Magno), e in questo caso si parlerà di vassalli regi, altrimenti possono essere anche altri appartenenti alle società aristocratiche dei secoli centrali del medioevo.
Poi i termini di questo impegno, che costituisce quasi una sorta di contratto (cosa?): si tratta di un giuramento di natura militare, quindi un impegno che, almeno inizialmente, riguarda la sfera della guerra e gli obblighi militari. Il beneficio costituisce la ricompensa data dal signore per l’impegno all’aiuto militare e può consistere sia in terre, sia nei poteri su un territorio, magari anche attraverso la concessione di un ufficio (per esempio, ai tempi di Carlo Magno, la carica di conte).
È importante rilevare anche la durata del beneficio, che permane nelle disponibilità del vassallo soltanto finché in vita, per poi tornare, alla morte, nelle disponibilità del signore. Questo almeno in termini di principio, anche se per lo più il beneficio tendeva a essere trasmesso ai figli del vassallo, che rinnovavano il giuramento e l’impegno nei confronti del signore. Il beneficio viene anche chiamato feudo, sebbene l’uso di questo termine sia preferibile soprattutto dall’XI secolo, quando diviene in maniera più chiara ereditario (trasmesso quindi per diritto di padre in figlio).
Infine, le modalità (come?). Si tratta di un giuramento, che quindi ha una sua ritualità. Gli aspetti rituali erano molto importanti e servivano a sigillare la sacralità dell’impegno reciproco. Signore e vassallo si scambiavano un bacio sulla bocca (l’osculum), il vassallo metteva le mani in quelle del signore nel gesto dell’immixtio manuum, le mani intrecciate che hanno lasciato ancora oggi il gesto della preghiera. Infine, la genuflessione del vassallo di fronte al signore.
Aggiungiamo anche quando e dove. Il vassallaggio si diffonde innanzitutto nel regno dei franchi ai tempi di Carlo Magno e di lì nell’impero carolingio. Con i normanni, nel basso medioevo, giungerà anche in Inghilterra. Infine, qual è il significato del vassallaggio (perché?). Ai tempi di Carlo Magno, serviva innanzitutto al sovrano per legare a sé le aristocrazie e impiegarne la forza militare nell’esercito, che era fondato soprattutto sulla cavalleria pesante. Nel complesso, il vassallaggio ha avuto un ruolo importante per disciplinare i rapporti politici: ai sovrani per legare a sé i maggiori aristocratici, all’aristocrazia per creare le proprie clientele e le proprie reti di fedeli.

Alcuni consigli:

  • innanzitutto, diffidate dei concetti di piramide feudale e servi della gleba;
  • è utile ripartire dal concetto di vassallaggio e di feudo e dalla loro definizione. Gli aspetti rituali sono rappresentati nelle miniature dell’epoca, che possono costituire un repertorio di immagini utile alla lezione;
  • bisogna fare attenzione a non confondere la trattazione della curtis con quella del vassallaggio e dei feudi: i due aspetti devono rimanere ben separati, perché il primo riguarda l’economia, il secondo la politica, pertanto, i rapporti tra massari e signori non hanno nulla a che vedere con le relazioni vassallatiche e le curtis non sono feudi;
  • può essere utile, per spiegare la società di XI secolo, introdurre anche i concetti di signoria e poteri locali, di modo da non insistere troppo sulla connotazione feudale della società.