L’erosione costiera: cause e possibili soluzioni

Il dissesto idrogeologico è un potente modificatore del paesaggio. Nella loro virulenta forma presente, fenomeni come le frane, le inondazioni e l’erosione costiera sono stati definiti come malattia della civilizzazione, perché è la stessa evoluzione umana o meglio ancora il progresso tecnologico che hanno accelerato il lento decorso dei fenomeni naturali in maniera travolgente e preoccupante.

Nell’ultimo cinquantennio, purtroppo, la dissipazione di risorse primarie e il non corretto uso del suolo hanno dato luogo ad una situazione di diffuso degrado che contribuisce ad amplificare gli effetti dei fenomeni distruttivi di origine naturale quali alluvioni, frane ed erosione della costa. L’erosione della costa è, pertanto, il risultato diretto ed indiretto delle alterazioni del ciclo dei sedimenti determinate da cause naturali e antropiche. 

I fenomeni erosivi possono essere suddivisi in due categorie: l’erosione a breve termine, di tipo reversibile, prodotta in genere dal trasporto di sedimenti verso il largo, associata alle mareggiate (con periodicità stagionale), e l’erosione a lungo termine dovuta normalmente a squilibri nel bilancio sedimentario originati dal trasporto solido litoraneo.

Per l’erosione a lungo termine i fattori naturali hanno un ruolo di gran lunga predominante, soprattutto nel lungo periodo, e quelli più importanti sono: i venti e le tempeste, le correnti vicine alle spiagge, l’innalzamento del livello del mare, la subsidenza del suolo e l’apporto liquido e solido dei fiumi al mare. Tuttavia, attualmente, l’erosione è determinata principalmente dall’intervento dell’uomo sull’ambiente.

Tra i fattori antropici si evidenziano quelli inerenti l’utilizzazione della fascia costiera con la realizzazione di infrastrutture ed opere per insediamenti abitativi, industriali e ricreativi; l’uso del suolo e l’alterazione della vegetazione; l’estrazione di acqua dal sottosuolo; la pulizia della spiaggia con mezzi meccanici o pesanti; lo scalzamento e la distruzione della duna; la regimazione dei corsi d’acqua, sia per la difesa del suolo che per il prelievo della stessa risorsa idrica per uso potabile, irriguo ed industriale e l’estrazione di inerti dai fiumi da utilizzare nelle costruzioni. Le azioni antropiche destabilizzano i complicati e delicati equilibri che presiedono alla costituzione delle spiagge ed alla loro evoluzione.

Nel dettaglio, tali fattori includono:

  • l’intensa antropizzazione delle coste a causa della costruzione di porti, abitazioni, strutture ed infrastrutture. In particolare, la costruzione di porti e moli determina la duplice azione di congelamento del tratto di spiaggia interessato e di ostacolo alla normale direzione delle correnti marine e del nastro trasportatore lungo riva che sposta i sedimenti dalla foce. Infatti, tutto ciò che viene deposto sopraflutto viene sottratto al bilancio dell’intera unità e di conseguenza le zone sottoflutto sono soggette a forte erosione e all’approfondimento del fondale marino.  Anche la demolizione delle dune costiere per la progettazione e la realizzazione di infrastrutture determina fenomeni erosivi. Le dune sono un capiente serbatoio in grado di rifornire di sabbia i tratti di costa durante le fasi erosive ed hanno la funzione di assorbimento dell’energia delle mareggiate. Esse, pertanto, rappresentano una vera e propria opera di difesa naturale. La loro formazione è il risultato diretto e normale dei processi costieri quando il litorale è in equilibrio o in avanzamento, mentre è assai difficile, se non improbabile, che le dune si sviluppino quando la costa è in erosione. Occorre, quindi, conservare la struttura della duna anche e soprattutto nelle sue parti meno appariscenti ma più esposte, come ad esempio la zona erbacea (caratterizzata da vegetazione colonizzatrice, in genere l’Ammophila arenaria), che fissa le sabbie, e quella cespugliosa retrostante (caratterizzata da vegetazione schermante, come il ginepro);
  • l’impoverimento dell’apporto di materiale solido dei fiumi;
  • i lavori di manutenzione eseguiti sulle spiagge: gli interventi effettuati con mezzi meccanici che giungono in profondità incrementano l’erosione costiera delle spiagge sabbiose in quanto provocano la rottura degli aggregati di sabbia libera e delle singole particelle di sedimento. Tali particelle, trasportate dal vento, vengono disperse e non si accumulano più sulla spiaggia a meno che non siano trattenute dalla vegetazione, dai tronchi, dalle barriere frangivento e, ove possibile, dalla presenza della vegetazione sulle dune. Inoltre, l’uso di detti mezzi meccanici determina l’alterazione del naturale profilo morfologico della spiaggia, rendendola più vulnerabile alle mareggiate, la variazione dei caratteri morfo-topografici e l’usura della spiaggia stessa tale da modificarne la granulometria. Infine l’utilizzo degli stessi mezzi meccanici potrebbe determinare la torbidità delle acque prossime alla battigia in quanto, in un’area soggetta alle onde di risacca, il rimescolamento dei sedimenti, dei rifiuti e della sostanza organica liberata dai residui (quali resti di vegetali o di bivalvi) determina la formazione di schiuma;
  • la rimozione dei materiali spiaggiati: i materiali accumulati sulle spiagge come, ad esempio, la Posidonia oceanica, i tronchi, i pezzetti di legno, le canne, il materiale sminuzzato e le conchiglie rappresentano un importante elemento di ripascimento naturale dell’arenile ed esercitano un’azione di sostegno per la sabbia in quanto ostacolano l’erosione eolica e marina. Sarebbe auspicabile, quindi, la non rimozione di tali materiali durante i mesi autunnali – invernali in quanto essi garantiscono la resilienza della spiaggia durante le mareggiate. Gli arenili andrebbero puliti solamente dai veri rifiuti di origine antropica quali oggetti in plastica, copertoni, polistirolo, materiale di risulta proveniente dalle strutture presenti in loco, ecc.;
  • l’attività edilizia sul demanio marittimo in concessione: si rileva la necessità di mantenere una sufficiente resilienza della spiaggia, così come richiesto da tutte le indicazioni europee, tra cui il Protocollo di Gestione Integrata della Zona Costiera (GIZC). Si evidenzia che la superficie della spiaggia occupata dalle strutture balneari non amovibili espone i litorali ad una elevata sensibilità alle naturali fluttuazioni della linea di riva e contribuisce a diminuire il margine di sicurezza da danni da mareggiata e di conseguenza l’effetto dei ripascimenti morbidi effettuati durante l’anno;
  • gli stessi interventi di difesa: in fase di pianificazione e progettazione di un’opera di difesa costiera, sarebbe necessario tenere conto non solo dell’efficacia della stessa opera nel contrastare l’erosione, ma anche degli effetti che la sua presenza può generare sull’ambiente emerso e sommerso circostante. Qualunque manufatto realizzato a mare costituisce un ostacolo al libero propagarsi delle correnti e delle onde e pertanto interagisce con esse, dando luogo ad effetti di vario genere che possono produrre conseguenze anche a grandi distanze aggravando i fenomeni erosivi in atto o addirittura innescandone di nuovi sulle rive adiacenti non protette. Le opere di difesa, quindi, devono essere conformate in modo che i liberi movimenti delle acque possano superare l’opera e proseguire oltre, sia pure modificati e ridotti. Nella progettazione di un’opera di difesa occorre tenere nella debita considerazione e valutare opportunamente anche le caratteristiche dei movimenti migratori dei materiali litici, con particolare attenzione al senso nel quale in prevalenza tali movimenti si verificano; la posizione, rispetto all’opera da costruire, delle fonti di rifornimento dei materiali consistenti prevalentemente nelle conoidi situate alle foci dei fiumi; la ripartizione di tali materiali lungo gli arenili dovuta alle caratteristiche del litorale nonché ai movimenti delle acque marine in prossimità del litorale stesso; la composizione granulometrica dei materiali e la quantità di essi che mediamente persiste nella zona. Occorre pertanto evitare di contrastare eccessivamente i movimenti naturali delle acque marine, cercando di assecondarli il più possibile, e di favorire la normale tendenza del mare al ripascimento, nel senso di non impedire del tutto l’azione di trascinamento dei materiali sciolti lungo l’arenile ad opera delle correnti di riva, e di non ostacolare il raggiungimento dell’arenile stesso da parte dei materiali sciolti, nella zona dei frangenti, dal moto ondoso e da questo trascinati in sospensione verso la riva. Inoltre nello studio delle opere di difesa da realizzare non si dovrebbe analizzare solamente il breve tratto di linea di riva in erosione da tutelare ma bisognerebbe considerare l’unità fisiografica in cui tale segmento di costa è incluso poiché il bilancio sedimentario delle spiagge, ovvero il bilancio tra apporti e perdite di sedimento, si riferisce all’intera unità fisiografica (UF) di riferimento per la quale pertanto occorre effettuare lo studio della dinamica dei sedimenti. Infatti i sedimenti fluviali che costituiscono la costa presentano movimenti confinati all’interno dei limiti dell’unità stessa e gli scambi di sedimenti tra le UF adiacenti sono da considerarsi nulli. L’unità fisiografica, infatti, può essere definita come quel tratto di costa in sostanziale equilibrio interno che non ha scambi di sedimenti con i tratti limitrofi. Qualsiasi elemento realizzato lungo la costa, quindi, è in grado di interferire con tale flusso: ad esempio la presenza di un molo o di un pennello o di un’opera di difesa rigida costituisce una barriera in grado di intercettare i sedimenti con conseguente accumulo di sedimenti sopraflutto ed erosione sottoflutto. Gli interventi di difesa realizzati in un luogo causano effetti sull’intera unità fisiografica di cui esso fa parte e sulle varie sub unità fisiografiche di cui la prima è costituita.

L’erosione costiera ha raggiunto in molti tratti livelli di grave dissesto e, considerata la rapida evoluzione dei fenomeni di arretramento delle spiagge degli ultimi anni, le prospettive future sono molto preoccupanti. Si ritiene pertanto utile e d’interesse, proporre qui di seguito taluni principi e considerazioni di carattere generale di cui dovrebbero tener conto le istituzioni, gli amministratori pubblici e privati, i tecnici e tutti i soggetti coinvolti nell’assumere le decisioni in materia. 

  • Il maltempo e le onde non rappresentano la causa effettiva dell’erosione costiera e dell’insabbiamento dei porti.
  • L’ambiente costiero è un sistema aperto e dinamico e, conseguentemente, la morfologia costiera va monitorata con continuità studiando il comportamento della corrente litoranea di fondo ed includendo tali correnti nella modellistica di progetto.
  • La difesa dei litorali va inserita all’interno di un contesto d’azione integrato a medio – lungo termine in cui devono essere considerati gli effetti indiretti, che riducono la resilienza delle spiagge, e quelli diretti causati dall’erosione costiera e dai cambiamenti climatici.
  • Nello studio delle opere di difesa da realizzare non si dovrebbe analizzare soltanto il breve tratto di linea di riva in erosione da tutelare ma bisognerebbe considerare l’unità fisiografica in cui tale segmento di costa è incluso poiché il bilancio sedimentario delle spiagge, ovvero il bilancio tra apporti e perdite di sedimento, si riferisce all’intera unità fisiografica (UF) di riferimento per la quale pertanto è necessario effettuare lo studio della dinamica dei sedimenti.
  • Gli interventi di difesa devono essere integrati in un piano che deve includere criteri di sviluppo sostenibile e tutela ambientale in quanto la conservazione dei litorali sabbiosi ben sviluppati e il contrasto all’erosione costiera rappresentano, in genere, una strategia di difesa e di riduzione del rischio di inondazione dei territori costieri.
  • Nella progettazione di un’opera di difesa occorre valutare l’opportunità o meno di prevedere l’esecuzione delle opere di difesa in un’unica fase oppure in più soluzioni in relazione sia alla tendenza dell’opera a modificare i processi naturali che si attuano nella zona di arenile interessata sia dall’entità degli interventi da realizzare. L’entità e la tipologia dell’opera non deve essere subordinata esclusivamente al fattore economico.
  • Sarebbe auspicabile la rimozione o la riprogettazione delle strutture rigide esistenti sull’arenile. Si riterrebbe altresì opportuno evitare di progettare o realizzare nuove opere di difesa rigide, come indicato nelle “linee guida per la Difesa della Costa dai fenomeni di Erosione e dagli effetti dei Cambiamenti climatici” scaturite dal Tavolo Nazionale sull’Erosione Costiera MATTM-Regioni con il coordinamento tecnico dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). Inoltre, sarebbe opportuno privilegiare interventi basati sulle NBS (nature-based solutions) rispetto a quelli tradizionali e strutturali di difesa delle coste.
  • Occorre privilegiare interventi di salvaguardia delle coste omogenei sul territorio nazionale al fine di tutelare gli arenili ed evitare possibili azioni e misure in contrapposizione o in sovrapposizione. Sarebbe, quindi, opportuno prevedere un coordinamento nazionale per la pianificazione in materia di difesa della costa dall’erosione.
  • Occorrerebbe anche introdurre il divieto di operare ampliamenti, anche stagionali, della superficie dell’arenile verso il mare abbassando la quota esistente o la stabilità della spiaggia e quello di asportazione dei materiali spiaggiati, specialmente nel periodo autunnale-invernale, in modo che possano esercitare funzioni di contrasto all’azione del mare e del vento nonché di trappola per i sedimenti.
  • Occorrerebbe, infine, introdurre una fascia di rispetto in zona costiera che ne garantisca la tutela attiva per contrastare la sempre crescente domanda di trasformazione del suolo.
  • Occorre introdurre buone pratiche per la pulizia degli arenili poiché permettono di ridurre le perdite dal sistema spiaggia. 

A titolo di esempio, il veicolo pulisci spiaggia, cd. “Solarino”, a controllo remoto e a propulsione solare è in grado di ridurre al minimo sino quasi ad annullare qualsiasi impatto sul sistema spiaggia. Tale veicolo non determina l’usura e la compattazione della spiaggia. Tale veicolo è fondamentale in quanto tutela l’integrità funzionale dei sistemi mobili costieri adibiti ad uso turistico. È bene ricordare, infatti, che le spiagge sabbiose sono continuamente sottoposte all’azione del moto ondoso e del clima. Inoltre, la loro morfologia è dinamica e non statica.

Hijos de York – Consejos para el día del libro

En ocasión del día Internacional del libro (23 de abril) me gustaría aconsejaros la apasionante trilogía, Hijos de York, de la escritora Cristina Mourón Figueroa

Esta trilogía narra el turbulento periodo de la Guerra de las Rosas, a través de las vivencias de Alice, una chica originaria de York, a la que los acontecimientos la llevaran a conocer a personas que le cambiarán la vida. La obra atrapa en sus redes al lector ya desde sus primeras líneas gracias a sus descripciones veloces, detalladas y envolventes, su ágil prosa y su rigurosidad histórica.

Déjate llevar de la mano de la sapiente prosa de la autora y revive un inolvidable periodo histórico y descubre las mentiras existentes sobre la denostada figura de Ricardo III, en medio de mil aventuras en donde reinan la pasión, el amor y la traición. 

Sinopsis de la trilogía

Hijos de York I: York

Corre el año 1472, mientras en York, tras los episodios más cruentos de la Guerra de las Rosas, Alice, la protagonista, conocerá al actor Thomas Norton de quien se enamorará perdidamente. En Londres Richard, duque de Gloucester, contrae matrimonio con Lady Anne Neville, hija del traidor conde de Warwick. Todo parece tranquilo, sin embargo, la incursión inglesa en Francia de 1475 desencadenará una serie de terribles e inexorables acontecimientos que entrelazará de manera irrevocable las vidas y los destinos de todos ellos.

Hijos de York II: Middleham 

Middleham, Inglaterra, 1476. Bajo la protección de Richard, duque de Gloucester, Alice se enfrenta a una nueva y sorprendente etapa de su vida. Aunque añora York y a su familia, ella encontrará paz, recuperará aficiones que creía perdidas para siempre y luchará por no caer en las garras de un amor prohibido.

 

 

Hijos de York III: Londres

Londres, Inglaterra, 1483. Tras la sorprendente y repentina muerte del rey Edward, Richard Gloucester, duque de Gloucester, asciende al trono como Richard III. Dispuesto a reinar con justicia y legitimidad, Richard buscará la reconciliación con sus acérrimos enemigos, mientras desbarata conspiraciones y atentados contra su vida y se enfrenta a la invasión de Henry Tudor. Alice y sus hijos serán testigos de su lucha por defender la corona. Todos se verán envueltos en una sucesión de súbitas tragedias que sacudirán sin compasión los cimientos de sus sueños, esperanzas e ilusiones.

Confini di ieri, confini di oggi

Può esistere un mondo senza confini? Ripercorrendo la storia, la risposta non può che essere negativa. Eppure, a ben guardare, ci si rende conto che quello tra gli esseri umani e i confini è uno dei rapporti più controversi che siano mai esistiti.  Partiamo da un dato di chiara evidenza: tra tutti gli esseri viventi, la specie umana è quella che più crea confini e, allo stesso tempo, più si adopera per superarli. Numerosissime sono le linee di confine tracciate nel corso del tempo, così come numerosissimi sono stati i tentativi di oltrepassarle.

Quello del confine è un concetto che raccoglie attorno a sé una molteplicità di significati. Potremmo dire che esso può rappresentare un luogo di separazione, ma anche di incontro e di scambio; o un oggetto di contesa, fonte di tensioni politiche, etniche e religiose; o ancora un ostacolo che molti vogliono oltrepassare, alla ricerca di nuove prospettive di vita. Proviamo qui a passare in rassegna – senza pretesa di esaustività – alcuni confini del passato e del presente che hanno assunto o assumono questi significati.

Il confine come linea di scambio

Ai tempi dell’Impero romano per indicare il confine si usava la parola limes. Questo termine, che in origine indicava il sentiero che separava i campi agricoli, assunse in questa epoca un significato ben preciso: esso era il confine che sorgeva in prossimità del corso del Reno e del Danubio, e che separava il mondo romano da quello dei germani. Per secoli il limes non fu una barriera insormontabile, anzi rimase un luogo di contatto e di incontro tra due popoli e due culture, una linea permeabile lungo cui si scambiavano non solo le merci, ma anche le conoscenze, gli usi e i costumi, le idee.

La svolta si ebbe solo nel III secolo d.C., quando i germani cominciarono a fare razzie in territorio romano, attratti dalla possibilità di ricchi bottini. Fu a questo punto che il confine venne fortificato, trasformandosi per i romani in una linea difensiva, lungo cui sorgevano torri, fortini e castra, cioè accampamenti militari. Ma a dire il vero anche in questo frangente il limes non cessò del tutto di essere un luogo di passaggio di viaggiatori e prodotti. Anche oggi, quando non sono barriere, i confini permettono l’incontro tra popoli e culture diversi: diventano cioè fonte di nuove conoscenze, scoperte, opportunità, scambi di storie e di idee.

Ricostruzione della torre di di guardia di Pohl, in Sassonia, lungo l’antico limes romano in Germania.

Il confine come linea di contesa

La gran parte dei conflitti della storia si sono combattuti attorno ai confini. Da questo punto di vista il secolo lungo, il Novecento, è stato purtroppo testimone di numerosi e tragici episodi bellici. Il confine tra Francia e Germania, così come quello tra Italia e Austria, divenne teatro delle più spaventose carneficine della Prima guerra mondiale.

Dopo la Grande guerra, il confine tornò presto oggetto di contesa internazionale. I principi di nazionalità ed autodeterminazione dei popoli sostenuti dal presidente statunitense Wilson vennero presto rimessi in discussione, in particolare nelle più delicate aree di confine. Un esempio è quanto accadde per la regione della Dalmazia e per la città di Fiume, che erano abitate da molti italiani e che l’Italia perciò aveva chiesto di annettere. I nazionalisti parlarono di “vittoria mutilata”, perché secondo loro quei territori dovevano rientrare tra i confini italiani. Da qui l’occupazione di Fiume del 1919 guidata dal D’Annunzio, questione chiusa solo nel novembre del 1920 dal trattato di Rapallo, che rese Fiume “città libera”, cioè non dipendente dalla sovranità di uno Stato.

Allargare i propri confini divenne poco più tardi l’imperativo della Germania nazista, in nome del pangermanesimo e della teoria dello “spazio vitale”. Si aprì così un’escalation di pressioni e violenze, di annessioni più o meno “spontanee” (si pensi all’Anschluss dell’Austria o alla rivendicazione da parte di Hitler del territorio dei Sudeti, nel 1938) o propriamente forzate (con l’invasione e l’occupazione della Cecoslovacchia e del corridoio di Danzica, nel 1939)

Di annessioni forzate siamo stati spettatori anche in tempi molto più recenti. Basti pensare a quanto accaduto in Crimea tra il febbraio e il marzo 2014, quando le truppe russe, sostenute da una parte della popolazione locale filorussa, hanno occupato la penisola, sottraendola al controllo ucraino. Nel Novecento come ai giorni nostri, le annessioni forzate si sono dimostrate preludio a successivi conflitti, come la Seconda guerra mondiale o la guerra tra Russia e Ucraina.

Le truppe naziste tedesche rimuovono una sbarra che segna il confine con la Polonia: è l’inizio della Seconda guerra mondiale.

Il confine come barriera 

Il confine può essere inteso anche come un limite che le persone cercano di oltrepassare, spinte dalla ricerca di un lavoro o di migliori condizioni di vita. Parliamo a questo proposito dell’emigrazione degli italiani che ha caratterizzato la storia del nostro Paese dalla metà dell’Ottocento agli anni Settanta del Novecento.

In questo lungo periodo si possono individuare due grandi momenti migratori. Il primo va dal 1850 circa al 1940: circa 10 milioni di italiani emigrarono prevalentemente verso gli Stati Uniti e l’America latina. Il secondo va dal 1946 al 1970: altri 8 milioni di italiani emigrarono soprattutto verso i Paesi più industrializzati del Nord Europa. In entrambi i casi le motivazioni furono la ricerca del lavoro e di una vita più dignitosa rispetto a quella che potevano condurre in alcune aree d’Italia particolarmente arretrate dal punto di vista dello sviluppo economico.

Con il 1970 e la crescita del benessere del nostro Paese, l’emigrazione diminuì, anche se aumentarono le migrazioni interne dal Sud al Nord della penisola. In anni più recenti l’Italia è diventata terra di immigrazione, destinazione di persone provenienti soprattutto da Paesi più poveri. Oggi i cittadini stranieri in Italia sono circa 5 milioni, che costituiscono il 9,5% della popolazione totale. Ma non bisogna scordare che tuttora sono circa 5 milioni gli italiani all’estero e ogni anno 100000 persone circa emigrano.

I Paesi più ricchi del mondo attuale percepiscono l’immigrazione dai Paesi poveri principalmente come un problema e non sono pochi i casi di Stati che si chiudono o si stanno chiudendo entro i propri confini (dal punto degli ingressi, non delle uscite…). Ed è così che in tempi recenti stanno tornando le barriere, i muri, le linee di separazione: si pensi, per citare un celebre caso, al confine tra Messico e Stati Uniti.

Ma il Vecchio Continente non è esente da questa tentazione: a fine 2022 si sono contati 2048 chilometri di muri ai confini dell’Unione europea. Si va dai 21 chilometri di recinzione costruiti dalla Spagna intorno alle sue exclave in Marocco di Ceuta e Melilla, ai 35 chilometri tra Grecia e Turchia, dai 158 chilometri di barriera realizzati dall’Ungheria al confine con la Croazia (oggi membro Ue), ai 235 chilometri tra Bulgaria e Turchia. 

A seguire questa strada, dunque, sono proprio i Paesi dell’Unione europea, quell’istituzione che nel 1990 attuò il primo grande tentativo di superare i propri confini, togliendo le frontiere interne e creando il cosiddetto Spazio Schengen per la libera circolazione delle persone. Un paradosso o una necessità? Può il confine ridotto a barriera rappresentare la soluzione del fenomeno migratorio?

Tijuana, un’immagine della barriera eretta al confine tra USA e Messico.

La fase dell’asciutta nella bovina da latte

L’asciutta è l’interruzione forzata della lattazione che permette alle bovine di effettuare un periodo di pausa e di riposo per prepararsi alla successiva lattazione. Le motivazioni che sono alla base di questa fase di allevamento sono: 

  • garantire un periodo di ripristino dell’ambiente ruminale;
  • garantire il ripristino del tessuto ghiandolare secernente della mammella;
  • soddisfare i fabbisogni fetali;
  • ripristinare e mantenere le riserve lipidiche corporee (BCS – Body Condition Score).

La fase dell’asciutta ha una durata convenzionale di 60 giorni (Sguerrini, 2015) e risulta un momento improduttivo dove le bovine rappresentano esclusivamente una voce di costo per il bilancio aziendale.

Diversi studi scientifici hanno evidenziato che, un’asciutta con una durata pari a 35 giorni, può far diminuire la produzione di latte di una quantità che può variare tra il 20% e il 4,4% in meno nelle lattazioni successive (Santschi et al., 2014). Questa perdita può essere compensata dalla produzione di latte che può variare tra i 400 e i 500 kg in più durante i giorni di extra lattazione. L’asciutta con una durata ridotta a 35 giorni inoltre garantisce una miglior efficienza ruminale in termini di minore stress dovuto al cambio dieta e miglior ripresa dell’attività ruminale nel post parto/inizio lattazione. Questo a patto che le diete formulate per l’asciutta siano ben equilibrate (Drackley, 2011).

Durante il periodo di asciutta emergono però due importanti criticità che possono evidenziarsi nei primi 15-20 giorni dopo l’ultima mungitura (periodo chiamato dry-off) e, successivamente, nei 15-20 giorni che precedono il parto (periodo chiamato close-up).

Ci concentriamo qui sulla prima criticità che vede, a seguito della messa in asciutta, l’alta probabilità di insorgenza di mastiti cliniche o subcliniche (Schukken et al., 2011) che, successivamente, non verranno diagnosticate generando ingenti perdite economiche (la causa è la mancanza di controlli oggettivi da parte degli allevatori in concomitanza dell’ultima mungitura). La mastite è un’infiammazione della ghiandola mammaria dovuta a diverse cause che prevalentemente si riconducono a infezioni di tipo batterico (Zecconi et al., 2013). Per tale motivo la cura di queste patologie avviene con l’utilizzo di terapie a base di principi attivi antibiotici. Le nuove norme comunitarie (reg. 2019/6 EU) di tracciamento, controllo e uso dei farmaci veterinari promuovono un uso più consapevole degli antibiotici al fine di contrastare l’antibiotico resistenza (AMR – Anti Microbial Resistance). Durante la messa in asciutta, in concomitanza con l’ultima mungitura, è prassi consolidata trattare gli animali con una terapia antibiotica ad ampio spettro d’azione con un tempo di sospensione pari a 60 giorni. Questa strategia però vanifica gli obiettivi comunitari di riduzione dell’uso di antibiotici perché prevede l’utilizzo indiscriminato di farmaci anche su animali sani. Una recente indagine ha evidenziato che il 53% degli allevamenti italiani utilizza ancora questa strategia, il 9% non utilizza nessun antibiotico ed il 38%, invece, applica la terapia antibiotica selettiva (Bonellli et al., 2020).

La terapia antibiotica selettiva prevede di somministrare il farmaco solo a quegli animali che evidenziano un numero di cellule somatiche superiore alle 200.000 cellule/ml (Zecconi, 2019). L’utilizzo dell’asciutta selettiva permette di diminuire l’utilizzo di antibiotici generando un notevole risparmio economico senza causare perdite produttive e senza influire negativamente sulla salute delle bovine. 

Tema di discipline turistiche aziendali

Coltivare lettori

Leggere a voce alta fin dai primi mesi di vita

Una ricerca scientifica presso la Ohio State University ha calcolato il bagaglio lessicale dei bambini che entrano a scuola in relazione alla quantità di libri che sono stati letti loro dalla nascita fino ai 5 anni. Sembra infatti vi sia una correlazione tra la proprietà lessicale e la quantità di parole conosciute dai bambini ai quali sono stati letti molti libri.

Stiamo parlando di una differenza impressionante: i bambini piccoli a cui i genitori leggono cinque libri al giorno entrano alla scuola dell’infanzia dopo aver sentito circa 1,4 milioni di parole in più rispetto ai bambini ai quali non sono mai stati letti libri. Questa ricerca fa nascere una riflessione: quanto fondamentale può essere la lettura ad alta voce, fin dai primi mesi, ma soprattutto lungo tutto l’arco scolastico?

Leggere a voce alta a scuola

La letteratura per l’infanzia ha il potere di arricchire il mondo interiore dei nostri bambini e delle nostre bambine, ma allo stesso tempo pone domande, fa nascere curiosità, costruisce significati nuovi e diversi, apre orizzonti di senso e fa crescere il desiderio di leggere ancora. Fin dai primi giorni di scuola l’insegnante con la lettura ad alta voce può seminare il piacere della bellezza, attraverso la lettura di storie sempre diverse ma soprattutto di qualità. L’orizzonte da tenere a mente è sicuramente ampio e non raggiungibile in tempi brevi, perché ci vuole tempo, per formare “lettori per sempre, abituati a ricavare una reading zone lungo l’intero arco della vita, buongustai della lettura e delle storie” (S. Pognante).

Comprendere e interpretare

Quando parliamo di formare lettori intendiamo bambini e bambine abituati ad andare in profondità delle storie, dove il piacere della lettura passi anche attraverso i collegamenti e le connessioni con la propria vita e con i significati molteplici delle narrazioni. Infatti se abituiamo i nostri alunni e le nostre alunne a riconoscere e interpretare i segnali forniti dal testo, saranno in grado di comporre significati e potranno confrontarsi con la pluralità di orizzonti che le storie aprono.

Buone pratiche di lettura a scuola 

  1. Lettura come abitudine e non solo come riempi-tempo: è fondamentale dedicare un tempo specifico per la lettura, sia individuale, che di gruppo. Non basta infatti leggere in classe gli ultimi dieci minuti prima della campanella, ma la lettura necessita di un tempo dilatato e dedicato. Una buona abitudine è quella di riservare almeno 15 minuti al giorno di lettura autonoma con i più piccoli, aumentando sempre di più il tempo. Inoltre, nel laboratorio di lettura, è previsto anche un tempo dedicato per la lettura collettiva ad alta voce.
  2. Anche l’insegnante legge: durante i momenti di lettura dedicati, anche l’insegnante con il proprio libro legge, dà l’esempio e dialoga di lettura con i propri alunni e le proprie alunne.
  3. Spazio dedicato: all’interno della classe possiamo dedicare uno spazio specifico per la lettura, un angolo con cuscini o tappeti, dove il momento della lettura sia anche comodo e personale. Nella mia classe, ad esempio, i bambini e le bambine si tolgono le scarpe e si mettono comodi quando è ora di leggere.
  4. Quantità di libri a disposizione: i libri devono essere a portata di mano, dovremmo avere in classe una piccola biblioteca e uno spazio dove bambini e bambine possano prendere facilmente i libri e gli albi letti insieme e sfogliarli, leggerli e approfondirli, da soli o insieme.

Parlare di libri

L’esplorazione di un libro fatta in modalità collettiva non ha sicuramente lo scopo di verificare la comprensione del testo o il suo gradimento, ma tende a mettere il lettore al centro, che come un detective individua gli indizi per costruire significati e categorie. Dobbiamo fare attenzione alla modalità con cui parliamo di libri con bambine e bambini, in quanto vi sono domande che inibiscono la conversazione, perché richiedono categorizzazioni e richieste specifiche, che non abituano i lettori ad andare a fondo.

Le domande non funzionali sono ad esempio: di cosa parla il libro? Chi sono i personaggi? Ti è piaciuto? Che cosa ci insegna la storia?  Dall’altra parte alcune domande funzionali invece sono: Cosa ne pensate? Avete notato qualcosa di interessante? Come lo sapete? Come si capisce che..? Puoi farci vedere dove hai visto..? Il nostro obiettivo è quello di fare in modo che i significati e le categorie, insieme all’interpretazione, siano costruiti sul campo, attraverso l’analisi collettiva e approfondita del testo.

Giocare con i libri

  • La copertina. Prima dell’inizio della lettura, in circle time, con bambini e bambine si può osservare la copertina e andare a caccia degli indizi che le immagini forniscono, chiedendo di esplicitare aspettative o ipotesi sulla storia. In questo modo si inizia a lavorare sulle inferenze, stimolando all’osservazione attenta ai dettagli e alla rielaborazione dei suggerimenti per accedere ai significati della storia.  Al termine della lettura si verificano insieme le ipotesi iniziali. All’inizio è anche possibile nascondere il titolo per stimolare le ipotesi anche su questo, e alla fine chiedere a bambini e bambine quale titolo potrebbe andar bene per la storia letta, svelando l’originale solo alla fine. 
  • Stop alla storia. L’insegnante nel mezzo della lettura, magari in un momento significativo della narrazione, può fermarsi improvvisamente chiedendo alla classe di fare ipotesi sulla continuazione, anche in base ai dettagli raccolti nella prima parte della storia. Qui si aprirà una conversazione di approfondimento, dove potremo stimolare a raccontare ipotesi esplicitando anche il pensiero che li ha portati a tali conclusioni. Lavoreremo ancora una volta sulle inferenze e aiuteremo gli alunni e le alunne a costruire significati in un processo attivo di costruzione e scoperta.
  • L’intervista. A lettura conclusa possiamo chiedere a bambini e bambine di preparare un’intervista per un personaggio della storia. Per poter costruire domande mirate e precise si dovrà fare un’analisi attenta dei dettagli relativi alle azioni, ai pensieri, ai luoghi. In questo modo aiuteremo alunni e alunne ad andare a fondo della storia, immedesimandosi nelle vicende narrate.
  • Rilettura. Molto spesso gli alunni chiedono la rilettura di alcuni testi, o possiamo noi docenti prevederla a priori. Potremo allora sfruttare l’occasione per omettere alcune parole, chiedendo ai bambini e alle bambine di ricostruire i pezzi mancanti. Un’altra attività potrebbe essere quella di lavorare sui sinonimi e parole nuove, chiedendo di raccogliere le parole nuove per arricchire il vocabolario di classe o trovarne delle nuove da utilizzare nella storia per sostituire le originali. 

Il tempo dedicato alla lettura è prezioso: se ai bambini si fa sperimentare la bellezza, se si fa loro toccare con mano la meraviglia e lo stupore, saranno poi attenti a riconoscerla nel mondo, sapranno cogliere la bellezza delle piccole e grandi cose, della natura dell’arte o dell’intelletto. (Capetti, 2018)

Per approfondire

  • Capetti, A. (2018). A scuola con gli albi. Insegnare con la bellezza delle parole e delle immagini. Franco Angeli.
  • Picherle, S. B. (2015). Formare lettori, promuovere la lettura. Riflessioni e itinerari narrativi tra territorio e scuola. Topipittori.
  • Riz, J. P., & Pognante, S. (2022). Educare alla lettura con il WRW – Writing and Reading Workshop. Edizioni Centro Studi Erickson.

Promuovere la lettura ogni giorno. Il potere delle routine

“Non legge!”, “Non gli piace leggere.”, “Vorrei che leggesse di più…” sono espressioni che sentiamo molto spesso e che ci vengono rivolte sia dai colleghi insegnanti che dai genitori. Leggere è una questione di prossimità e di routine, dove per prossimità intendiamo la possibilità di accedere a un numero discreto di libri e per routine un’azione deliberata e ripetuta nel tempo.

Se vogliamo che i bambini leggano di più dobbiamo metterli nella condizione di avere a disposizione un buon numero di libri. Per farlo dobbiamo approntare un angolo o uno scaffale in classe preposto a questo scopo. Ma quando leggere? A scuola sembra non esserci mai tempo eppure, la competenza LETTURA è a tutti gli effetti uno degli obiettivi del curricolo della Lingua Italiana e dell’intero consiglio di classe che è chiamato, secondo le Indicazioni Nazionali per il Curricolo di Italiano, a promuovere la lettura in tutte le discipline. Quindi occorrerà creare delle routine affinché questo obiettivo possa essere portato avanti trasversalmente. Di seguito elenchiamo cinque routine che possiamo instaurare proficuamente in classe:

  • Lettura a inizio giornata: per quanto possiamo essere organizzati e celeri, all’inizio della giornata dobbiamo espletare alcune formalità, come la compilazione del registro, le presenze in mensa, ecc. Questo momento di solito prende dai cinque ai quindici minuti a seconda che ci siano comunicazioni delle famiglie e ritardi. Possiamo rendere questo momento proficuo creando una routine, che preveda che i bambini leggano il libro che tengono sotto al banco. Se l’intero consiglio di classe concorda su questa routine, alla fine della settimana i bambini avranno letto in media 25- 40 minuti a settimana. Se moltiplichiamo questo tempo per 33 settimane, alla fine dell’anno avranno letto per 22 ore, portando a termine la lettura di cinque/sei libri.  
  • Lettura come riempitivo: se alla prima routine aggiungiamo quella di leggere quando si è portato a termine un lavoro, il tempo di lettura, per alcuni bambini, aumenta ancora. In questo caso ovviamente avremo un divario tra chi è più veloce a portare a termine le consegne e chi è più lento. Facciamo in modo di lasciare qualche minuto anche ai più lenti, in modo che non si creino divari troppo importanti. 
  • Lettura a casa: alle routine a scuola possiamo aggiungere la routine di leggere a casa un libro alla settimana o al mese, in base alla lunghezza dei testi. 
  • Lettura in biblioteca: creiamo un appuntamento fisso in cui far visita alla biblioteca della scuola o alla biblioteca cittadina. Segniamo sul calendario questi momenti e creiamo l’attesa. In biblioteca lasciamo i bambini liberi di girare, esplorare e scegliere i libri che preferiscono. Leggere deve essere innanzitutto un piacere. Piuttosto, se il libro scelto è troppo semplice, proponiamo di prenderne in prestito due.
  • Lettura per la Giornata del libro: creiamo una festa per i libri. A inizio anno segniamo sul calendario il 23 aprile (Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore) e poi durante l’anno coinvolgiamo i bambini nel preparare questo evento, facciamo domande come: “Cosa potremmo fare per la festa del libro?”, “Come possiamo organizzare la giornata?”. Questa può essere proprio l’occasione per coinvolgere tutte le discipline nell’evento, ad esempio decidendo di iniziare ogni lezione leggendo un libro o un brano inerente alla propria materia. Nel 2018, in una classe prima, avevamo proposto che ogni bambino venisse a scuola con un albo illustrato a sua scelta. Ogni bambino avrebbe dovuto spiegare perché consigliava quel libro. Alla fine delle presentazioni si sarebbe effettuata una votazione e l’insegnante avrebbe letto ad alta voce i cinque libri che li avevano incuriositi maggiormente. I bambini furono così entusiasti che alla fine leggemmo tutti i libri. L’anno successivo, in classe seconda, i bambini proposero di essere loro a leggere ai loro compagni un passaggio da un libro che gli era piaciuto. In classe terza la Giornata del libro rischiò di essere cancellata a causa della pandemia, ma i bambini non vollero rinunciare, così la lettura fu organizzata sotto forma di pigiama party. Tutti collegati da casa e rigorosamente in pigiama (compresa la maestra), furono i bambini stessi a leggere un passaggio del loro libro ai compagni. In classe quarta, siccome la festa cadeva di domenica i bambini e le bambine proposero di trovarsi alla biblioteca cittadina, che era aperta. Ovviamente rimandammo l’evento al lunedì successivo, ma questo denota come una routine ben organizzata e vissuta può diventare forte e radicata. In classe quinta i bambini organizzarono una lettura recitata per i compagni più piccoli.

Il libro che abbiamo scelto questo mese per accompagnare l’azione didattica è “È un libro” di Lane Smith edito da Rizzoli; si tratta di un albo illustrato molto ironico che vuole mettere in evidenza le differenze tra un libro e i dispositivi digitali.

Il video qui proposto è suddiviso in tre parti:

  • prima parte: lettura espressiva della storia;
  • seconda parte: presentazione del lavoro;
  • terza parte: video tutorial con i passaggi per realizzare i segnalibri.

Video

Materiali

Le autrici

Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.

Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.

Entrambe sono autrici Fabbri–Erickson.

Lettrici e lettori esperti

Il report sulla produzione e sulla lettura di libri elaborata dall’Istat fornisce dati sempre molto interessanti. Nel documento dato alle stampe nel dicembre 2022, per esempio, si scopre che il 78,1% dei lettori compresi tra i 6 e i 18 anni ha genitori lettori. Un dato poco sorprendente, specie per chi tutti i giorni si confronta a scuola con i bambini e le bambine.

Andando a spulciare meglio i dati, però, si scopre che il 36,3% della fascia d’età compresa tra i 6 e i 18 anni legge a prescindere dai genitori. Proviene, cioè, da famiglie di non-lettori.  Entrambi i genitori non sono lettori. Si tratta di una percentuale importante e che può essere probabilmente interpretato come un successo alla scuola. Ulteriori informazioni sulla ricerca dell’Istat si possono trovare in questa sintesi.

La scuola rappresenta in tutta evidenza uno snodo cruciale per lo sviluppo della lettura come attitudine e la lettura, a sua volta, è un vero e proprio motore per gli apprendimenti. A questo punto la domanda che si impone è: come sollecitare il gusto della lettura? Ascoltare la lettura da parte di un adulto svolge un ruolo positivo, negativo o neutro?

Secondo alcune ricerche piuttosto recenti, un’ora di lettura ad alta voce ogni giorno, ad opera dell’insegnante, incide fino al 20% su aspetti cruciali dell’apprendimento e  del successo scolastico. In particolare, sono stati documentati miglioramenti a livello di intelligenza verbale, comprensione del testo e abilità cognitive connesse ad azioni quotidiane.

Il dato è ancora più significativo se si considera che i benefici riportati sopra sono indipendenti dalle condizioni iniziali: rappresentano cioè un vero e proprio valore aggiunto per l’apprendimentoLa lettura da parte di un adulto, a patto che sia costante nel tempo e sufficientemente “ingaggiante”, non solo avvia alla lettura autonoma ma produce di per sé effetti positivi.

Non resta che definire che cosa vuol dire “lettura ingaggiante”. È ormai abitudine consolidata classificare i libri per fasce di età. Ormai quasi tutte le collane di narrativa propongono una rigida classificazione in base all’età dei lettori e delle lettrici. Si tratta, ovviamente, di una distinzione arbitraria e che, al limite (proprio al limite), può essere utile per la lettura autonoma. Nel caso della lettura da parte dell’insegnante, invece, ci si può affidare al gusto della storia, a testi complessi e avvincenti. 

Nella nostra esperienza, per esempio, abbiamo verificato negli anni che a entusiasmare maggiormente le classi sono proprio le storie pensate  per un pubblico un pochino più maturo: La fabbrica di cioccolato in prima o Harry Potter in seconda, per esempio, fino ai libri cosiddetti Young Adult in quarta e in quinta. Con la mediazione dell’insegnante, infatti, è interessante spingere i bambini e le bambine in letture considerate nella loro zona di sviluppo prossimale. 

Se leggere in modo sistematico alle classi favorisce il piacere della narrazione, per far scattare il gusto della lettura anche autonoma occorrono ovviamente diverse azioni sinergicheTra quelle che ci sembrano maggiormente efficaci consideriamo:

  • dedicare del tempo alla lettura silenziosa individuale nell’organizzazione settimanale (un quarto d’ora al giorno, un’ora a settimana…);
  • organizzare eventi dedicati alla lettura: letture animate, reading, bancarelle del libro, flash mob di lettura…;
  • evitare le classiche “schede del libro”, sostituendole con compiti di realtà più ingaggianti, come la realizzazione di booktrailer, di lapbook, di presentazioni del libro “tutto in una pagina” o in scatole…;
  • creare occasioni per scambiarsi consigli e pareri sulle letture in classe, come dei circoli di lettura.

La fantasia non manca e in ogni scuola si attivano progetti per incentivare il piacere della lettura. Ultima, non per importanza, raccomandazione: come docenti dobbiamo conoscere i libri che proponiamo alle classi. I primi lettori esperti dovremmo essere proprio noi: conoscere tanti titoli, anche tra le pubblicazioni più recenti, ci rende competenti nel suggerire, consigliare, dibattere e, senza dubbio, ci rende più credibili.

Quindi, buone letture a tutti noi!

Perché “leggere” un albo illustrato a scuola?

Sono una di quelle maestre che colleziona albi illustrati e – oltre alla libreria piena – ne ha sempre almeno uno nella borsa della scuola. Lo tengo lì – tra i testi scolastici, l’agenda e il taccuino – perché mi conferisce una certa sicurezza. Lo considero una sorta di airbag: so che – in caso di caduta o di scontro – attutisce il colpo. L’albo illustrato, infatti, è la soluzione perfetta per ogni evenienza:

  • bambini troppo stanchi? 
  • bambini troppo agitati?
  • bambini troppo preoccupati?
  • qualche bambino triste o pensieroso?
  • qualcosa che va storto nel corso della giornata?

Ecco, in questi casi (e non solo!) ricorro all’albo illustrato e, grazie a lui cerco di dare una svolta. Badate bene che scrivo “lui” e non “esso” volutamente, in quanto lo percepisco “presenza viva”! Arriviamo allo snodo centrale della riflessione che vorrei proporre… perché “leggere” un albo illustrato a scuola?  “Leggere” è tra virgolette perché mi sembra un verbo piuttosto riduttivo (quasi svilente): un albo illustrato non lo si legge soltanto. Generalmente lo si esplora, lo si scopre, si disvela il senso più profondo… lo si vive!

Comunque, perché proporre un albo illustrato? 

La prima finalità – forse anche la più ovvia – per la quale propongo un albo illustrato è veicolare contenuti con leggerezza. Un albo illustrato, infatti, mi consente di travestirli in altre forme e renderli più “appetibili” e “digeribili”. Ci sono concetti astratti che diventano improvvisamente a portata di mano grazie all’intercessione di un albo illustrato. Persino le emozioni assumono un contorno più nitido e possono essere definite, senza però correre il rischio che siano ingabbiate!

La seconda è favorire la comprensione e la memorizzazione, anche grazie al ricorso ad almeno due mediatori: la voce ascoltata e le immagini osservate. È – senza dubbio – uno strumento inclusivo!

Il terzo desiderio che mi anima ogni volta che propongo un albo è comunicare l’incomunicabile e dare voce all’ineffabilità. Ci sono, infatti, temi che le parole non riescono a dire, valori che stentano a trasmettere, concetti su cui si incespicano. Pensiamo al tema della perdita o – purtroppo tanto attuale – della guerra! Come spiegarlo a bambini e bambine? Beh, l’albo illustrato può venire in nostro soccorso.

Un’altra finalità è coinvolgere per favorire un’immersione. L’albo illustrato attira tanto il lettore quanto il fruitore e li ingloba nelle sue pagine, tra parole e immagini. Li fa entrare dentro alle questioni, li invita ad assumersi un ruolo, a schierarsi, a prendere parte alle vicende. Ma, l’aspetto meraviglioso – a mio avviso – sapete qual è? Quell’immersione non è solo nelle parole e nelle illustrazioni, ma è anche dentro di sé! Marcel Proust affermava saggiamente: “Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto uno strumento ottico offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”.

E poi, la lettura condivisa di un albo può rivelarsi una preziosa occasione per intessere e corroborare le relazioniGrazie all’albo che funge da mediatore, tra chi legge e chi, attivamente, ne fruisce si crea un feeling talvolta inaspettato e persino difficile da spiegare. Pensate al gioco di sguardi, alla prossimità fisica, alla bellezza di sostare insieme nella stessa storia, che, come per magia, – benché sia la medesima – risuona in ciascuno di coloro che la accolgono in maniera totalmente diversa. A tal proposito, vi dono una frase molto bella di Umberto Eco, il quale sostiene che “Condividere una storia significa condividere una passeggiata nel bosco narrativo.”.

Infine, propongo un albo perché desidero educare. “I libri sono educatori silenziosi. Poco a poco facciamo in modo di mettere questo mondo sottosopra nuovamente nel verso giusto, cominciando dai bambini. Mostreranno agli adulti la via da percorrere”, affermò Jella Lepman. Ecco, propongo albi illustrati per educare, inteso come educere, cioè condurre fuori, portare alla luce ciò che – magari a livello germinale – è dentro ad ogni nostro bambino.

L’autrice

Gloria Ragni
Insegnante di scuola primaria, formatrice e autrice di testi scolastici, promotrice del “fare per apprendere” e sostenitrice dell’utilizzo integrato del digitale nella didattica. Ha un blog didattico www.maestraglo.it e condivide su Instagram le sue avventure da maestra (la trovate come @maestraglo).