Che Storia! | L’intelligenza artificiale nella didattica della storia

AI e storia

I chatbot AI conversazionali grazie alla capacità di comprendere e rielaborare il linguaggio umano, e di generare nuovi contenuti su richiesta dell’utente, rappresentano una nuova tipologia di “collaboratori” o “tutor” digitali: possono essere coinvolti attivamente nella didattica della storia, offrendo per chi studia opportunità inedite di esplorazione, simulazione e riflessione critica sul passato.

La storia rappresenta infatti un terreno particolarmente fertile per l’implementazione dell’intelligenza artificiale nella didattica, per diverse ragioni, tra la quali si possono citare:

  1. Multidimensionalità: eventi, personaggi, contesti in epoche diverse offrono infinite possibilità di interrogazione e interazione, coinvolgendo i chatbot AI.
  2. Complessità interpretativa: le diverse possibili letture degli eventi storici permettono di esercitare il pensiero critico, valutando le proposte dell’AI.
  3. Struttura relazionale: i nessi causali e le interconnessioni tra gli eventi storici sono un campo ideale per testare la capacità dei sistemi AI di elaborare reti complesse di eventi e informazioni.

Per un uso consapevole dell’AI

L’interazione con i chatbot AI permette di impostare attività didattiche coinvolgenti e partecipative, in grado di attivare competenze disciplinari e life skills come problem solving, collaborazione, pensiero creativo, empatia, consapevolezza di sé e, soprattutto, pensiero critico. Quest’ultimo deve diventare un punto di riferimento sia per chi insegna, sia per chi apprende, per stabilire un’interazione consapevole, sicura e responsabile con i software basati sull’intelligenza artificiale: nonostante abbiano sempre la “risposta pronta”, i chatbot AI non sono infatti “oracoli” infallibili, poiché possono generare contenuti con errori, inesattezze, informazioni completamente inventate e pregiudizi etnici, culturali e di genere. I contenuti generati vanno quindi sempre analizzati criticamente e verificati.

Dialogare con l’AI in ambito storico

Per comunicare con i chatbot AI si utilizzano i prompt, cioè istruzioni in formato scritto o vocale, con le quali avviamo e gestiamo l’interazione con il chatbot. La progettazione efficace dei prompt è una nuova e importante competenza digitale, imprescindibile per ottenere risposte pertinenti e utili all’obiettivo didattico e per limitare il più possibile la generazione di risposte errate, inappropriate e/o fuori contesto, da parte dei chatbot. Tanto più, nell’orizzonte dell’insegnamento storico dove precisione contestuale e accuratezza sono essenziali.

Proprio per questo, nelle attività con l’AI proposte all’interno del manuale (di cui daremo a seguire due esempi svolti) abbiamo deciso di dare particolare rilievo all’impostazione dei prompt, con suggerimenti pratici, modelli ed estratti di interazioni con i chatbot.

Ecco alcune strategie utili da attuare nei dialoghi con i chatbot AI, con riferimento specifico alla didattica della storia:

  1. Contestualizzazione storica precisa: definire con chiarezza periodo storico, area geografica e contesto culturale.
  2. Assegnazione di un ruolo specifico: indicare all’AI il suo specifico ruolo nell’attività, la prospettiva interpretativa che deve fare propria o la figura storica di cui deve assumere il punto di vista.
  3. Specificazione del formato della risposta: chiarire l’impostazione desiderata per i contenuti generati, per esempio un dialogo simulato, un’analisi comparativa, un documento d’epoca verosimile o uno scenario controfattuale.
  4. Indicazione del livello di complessità: adattare il linguaggio e il livello di approfondimento storico all’età e alle competenze degli studenti.
  5. Delimitazione contenutistica: precisare quali argomenti, processi ed eventi includere e quali invece escludere.

L’AI nel tuo manuale di storia

Il percorso didattico con l’intelligenza artificiale proposto in Visione storica è stato progettato per accompagnare, sia insegnanti sia studenti e studentesse, in un’implementazione graduale e consapevole dell’AI nello studio della storia. Abbiamo per questo sviluppato una struttura ricorrente nei tre volumi, con quattro tipologie principali di attività nei laboratori di fine unità (vedi sotto), che integrano e approfondiscono le esercitazioni AI (più contenute) presenti nei singoli capitoli. Con variazioni e complessità crescenti man mano che si avanza nel percorso.

Per rendere più concreta l’esperienza di apprendimento, nelle attività laboratoriali viene proposto un esempio di dialogo avviato con un chatbot AI, utile per comprendere i risultati ottenibili con prompt ben formulati e anche l’importanza dell’iterazione, ossia il processo di affinamento progressivo del dialogo con l’AI per ottenere risposte sempre più precise e pertinenti.

  1. INTERVISTA IMPOSSIBILE

Il chatbot AI assume il ruolo di un celebre personaggio storico e risponde alle domande preparate dagli studenti.

Life Skills: pensiero critico, relazioni efficaci, empatia

  1. DEBATE STORICO

Studentesse e studenti avviano un dibattito su una questione storica di particolare rilevanza. Il chatbot AI partecipa con un ruolo specifico e che può variare: controparte, giudice, generatori di argomenti di discussione ecc.

Life Skills: pensiero critico, capacità decisionale, relazioni efficaci

  1. TESTIMONIANZA DAL PASSATO

Studentesse e studenti immaginano di essere personaggi storici (celebri ma anche persone comuni) e scrivono un diario, una testimonianza, una lettera ecc. Il chatbot AI aiuta gli studenti a costruire descrizioni realistiche, fornendo suggerimenti e feedback sugli elaborati.

Life Skills: Consapevolezza di sé, empatia, pensiero creativo

  1. PROBLEM SOLVING STORICO

Alle studentesse e studenti viene presentato un evento chiave, un dilemma storico o una sfida del passato, chiedendo di analizzare la situazione e proporre soluzioni/prendere decisioni, valutando diverse opzioni e possibili conseguenze. Il chatbot AI viene coinvolto per ottenere suggerimenti, ma anche per verificare la plausibilità storica e le possibili conseguenze degli scenari proposti.

Life Skills: problem solving, pensiero critico, capacità decisionale, gestione dello stress

 

Per approfondire

Proposta di laboratori AI dal manuale Visione storica di S. Manca, G. Manzella e S. Variara, La Nuova Italia 2025.

  1. PROBLEM SOLVING STORICO Galileo a processo

 

  1. INTERVISTA IMPOSSIBILE Napoleone… si racconta

 

Resistenza o Resistenze? Quando singolare e plurale fanno la differenza

Partendo dalla cruciale domanda “La Resistenza è singolare o plurale?”, lo storico Roberto Balzani, autore del manuale Come siamo: la storia ci racconta, sottolinea il valore fondativo della Resistenza per la democrazia italiana, sottolineando al contempo la necessità di studiarne le diverse “anime”, così da coglierne appieno la portata per la nostra storia.

La Resistenza è singolare o plurale? Non si tratta di una domanda oziosa. Il fenomeno resistenziale, inteso come movimento collettivo di uomini e donne per liberare il nostro paese dal nazifascismo fra il 1943 e il 1945, rappresenta una delle radici della Repubblica democratica italiana. Quando Piero Calamandrei si chiedeva dove fosse nata la Costituzione, era alla Resistenza in senso unitario che pensava. E questa fu subito la preoccupazione sia del Comitato di liberazione nazionale, sia, dopo la guerra, dei partiti di massa: un popolo intero si era mosso e rivendicava un ruolo nella ricostruzione dell’Italia. È sufficiente guardare i manifesti affissi durante l’età repubblicana in occasione del 25 aprile per cogliere – da parte tanto della DC, quanto del PCI – l’intento fondamentalmente convergente di non smentire questa concorde ispirazione.

Se però guardiamo storicamente a ciò che avvenne durante i mesi dell’occupazione, la prospettiva cambia: ci accorgiamo che le Resistenze furono diverse, perché diverse furono le esperienze umane maturate in territori circoscritti, che spesso avevano scarsi contatti con l’esterno. Un conto era la lotta in città, condotta da gruppi specializzati con azioni mirate, sabotaggi e raccolte di informazioni; un conto era partecipare alla vita di una brigata in montagna, dove a fini della sopravvivenza era decisiva la relazione con il mondo contadino. Un conto era recuperare armi in modo casuale, un conto era disporre di rifornimenti da parte degli Alleati attraverso aviolanci e contatti radio. Un conto era avere a che fare con l’esercito regolare tedesco (la Wehrmacht), un conto era confrontarsi in un duello mortale con i servizi di sicurezza delle SS.

Ha quindi senso conservare l’idea della Resistenza come valore fondativo della democrazia italiana e, nello stesso tempo, studiare le Resistenze, con le loro mille storie, così come spontaneamente germogliarono dal tronco dell’Italia plurale che conosciamo.

Per approfondire

Per scoprire come le esperienze di lotta partigiana abbiano ispirato molti importanti scrittori italiani, consigliamo la lettura della scheda “Un romanzo realistico sulla Resistenza”, tratta da Come siamo di Roberto Balzani, La Nuova Italia.


Una peculiare “arma” della guerra condotta dalle partigiane e  dai partigiani fu la bicicletta, come puoi scoprire leggendo la scheda “Gli oggetti parlano. La bicicletta, un’arma nella lotta partigiana”, tratta da Come siamo di Roberto Balzani, La Nuova Italia.

Davvero gli antichi non vedevano il blu?

Omero e il blu

Quando guardiamo il mondo diamo per scontato che tutti vedano i colori nello stesso modo. Negli ultimi anni, complice internet, è tornata virale la curiosa idea che gli antichi non vedessero il blu, che non percepissero i colori nel modo in cui lo facciamo noi. L’argomento si basa su un’osservazione prettamente linguistica: nei testi antichi, il blu e il verde vengono menzionati molto più raramente rispetto ad altri colori come il rosso, il bianco o il nero. Già nel 1800 lo studioso William Gladstone si era accorto, durante alcuni studi sulla percezione dei colori, che nell’Iliade e nell’Odissea, il blu, in particolare, trovava espressione in termini oscillanti tra una sfumatura che era più simile ad un nero (kyáneos) e una estremamente chiara (glaukòs). Effettivamente può sembrare strano che nelle descrizioni omeriche il cielo sia grande e ampio, stellato, di ferro o di bronzo, ma non si utilizzasse quindi un termine specifico per il blu: questo colore non aveva un nome proprio. In quella che sembrava una mancanza lessicale e semantica, Gladstone vide il segno di un’inadeguatezza, riconducibile a uno stadio arretrato della storia dell’umanità: durante l’età omerica, l’organo visivo, che si sarebbe poi sviluppato perfettamente nel corso dei secoli, era ancora in fase di sviluppo e quindi incapace di distinguere nettamente i diversi colori tra loro. Di questo fecero cavallo di battaglia anche i Nazisti nei loro studi sulla superiorità della razza ariana: gli antichi Germani tingevano di blu e di verde, quindi a differenza dei Greci e dei Romani distinguevano questi colori e quindi erano geneticamente superiori. 

Gli studi antropologici 

Qui non discutiamo spesso di colore“: così rispose un abitante dell’isola di Bellona, in Polinesia, alle domande dei due antropologi danesi, Rolf Kuschel e Torben Monberg, che si basavano sulle tavole di classificazione cromatica sviluppate da Albert Munsell all’inizio del XX secolo. Per noi è normale distinguere tra blu e verde, tra rosso e arancione, e dare a ogni colore un nome preciso. Ma non tutte le lingue funzionano così. In alcune culture, esistono solo due parole per indicare i colori: una per i colori chiari e una per quelli scuri. In altre, il rosso è l’unico colore ben definito, mentre le altre sfumature vengono classificate in modo più vago. Gli abitanti di Bellona non usano una classificazione precisa dei colori come facciamo noi. Invece di dire “rosso” o “blu”, fanno riferimento a elementi naturali: il cielo per il blu, il sangue per il rosso. Questo suggerisce che il colore non è per loro un concetto astratto, ma qualcosa di legato all’esperienza concreta.

​I ricercatori hanno scoperto che questa caratteristica non è unica di questo luogo. In molte culture tradizionali i colori non vengono separati in categorie rigide, ma vengono descritti in base alla loro funzione o associazione con oggetti familiari. La percezione del colore è influenzata senza ombra di dubbio dal linguaggio e dalla cultura. Diversi studi dimostrano che le categorie cromatiche variano significativamente tra le lingue, riflettendo una diversità culturale nella classificazione sensoriale. Ad esempio, gli Himba della Namibia distinguono perfettamente tra diverse tonalità di verde che per noi sembrano uguali, ma hanno difficoltà a distinguere il blu dal verde perché nella loro lingua non esistono parole diverse per questi due colori.

Il fatto che un colore non venga menzionato esplicitamente non significa assolutamente che non fosse percepito.

Gli studi linguistici dimostrano che molte lingue sviluppano le parole per i colori seguendo un certo ordine: prima arrivano il bianco e il nero, poi il rosso, seguiti dal giallo e dal verde, e infine il blu. Questo non significa che le culture senza una parola per il blu non lo vedessero, ma semplicemente che non lo consideravano un colore di particolare importanza e questo forse è legato alla sua rarità. La natura stessa ci fornisce poche fonti di blu: si tratta di uno dei colori più rari e si stima che solo l’1% degli animali e il 10% dei fiori che ci appaiono blu lo siano realmente. 

Il blu nelle tavolozze antiche

L’argomento che gli antichi non vedessero il blu, però, è contraddetto da numerose prove archeologiche. Gli Egizi, per esempio, producevano il pigmento noto come “blu egizio” già nel 2200 a.C., usandolo per decorazioni artistiche e manufatti. Anche i Romani e i Greci distinguevano chiaramente il blu e lo usavano (più raramente) nella loro arte, per tingere i tessuti e nelle loro descrizioni, nonostante non fosse un colore molto apprezzato, considerato “da barbari”. 

Gli antichi non ci hanno lasciato molte testimonianze scritte sul colore, un po’ come accade per gli abitanti dell’isola polinesiana di Bellona. Tuttavia, sebbene le fonti pervenuteci siano limitate, esse offrono spunti significativi. A parte i trattati filosofici come il De coloribus, attribuito alla scuola aristotelica, e alcune sezioni dei Meteorologica di Aristotele, gli scritti antichi che trattano di colore non si limitano a considerarlo come una semplice proprietà della natura, ma si concentrano anche sulla sua riproduzione e applicazione nelle tecniche artistiche e artigianali.

È possibile che molte riflessioni sul colore siano andate perdute nel corso dei secoli, ma ciò che è sopravvissuto dimostra che Greci e Romani non affrontavano il tema del colore solo dal punto di vista teorico o classificatorio. Il loro interesse era strettamente legato alla sua funzione pratica: dall’uso nelle arti figurative alla tintura di tessuti e metalli. 

Sul versante artistico, informazioni preziose sulla gamma cromatica a disposizione dei pittori si trovano nel libro VII del De architectura di Vitruvio (I secolo a.C.) e nei libri 33-37 della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (I secolo d.C.). Vitruvio elenca tra i colori naturali l’armenium, un minerale proveniente dall’Armenia, e l’indicum, di origine vegetale e importato dall’India. Inoltre, descrive il caeruleum come un colore ottenuto artificialmente attraverso un processo complesso che coinvolge rame, sabbia e nitro. La produzione di questa tonalità di blu, inizialmente concentrata in Egitto, si era diffusa anche a Pozzuoli. Vitruvio si concentra sull’utilizzo dei colori nella pittura parietale, senza approfondire le diverse sfumature di ciascun pigmento. Al contrario, Plinio il Vecchio offre una classificazione più articolata. Nel suo resoconto, il caeruleum è una sabbia naturale, esistente in diverse varietà: egizia, scitica, puteolana e spagnola. In particolare, la versione scitica è descritta come modificabile in quattro tonalità diverse, dal più chiaro al più scuro. 

Sembra che il colore che noi oggi chiamiamo “blu” fosse considerato parte della gamma cromatica utilizzata dai pittori antichi, almeno per come questi ultimi lo concepivano. Tuttavia, dalle testimonianze di Plinio e da quelle fonti andate perdute, ma che possiamo intuire attraverso i suoi scritti, emerge l’idea che il blu fosse percepito come un colore instabile, mutevole e cangiante. Proprio questa variabilità rendeva difficile offrirne una definizione univoca e assegnargli una posizione precisa nella tavolozza pittorica.

Dal momento che il colore aveva un ruolo fondamentale nelle tecniche di tintura e pittura, questa continua mescolanza di sfumature potrebbe aver influenzato la sua rappresentazione concettuale e la sua stessa definizione. Il blu, con la sua natura sfuggente e poco definibile in termini netti, si distingueva dagli altri colori, più stabili e facilmente categorizzabili.

Il colore dipende dal linguaggio?

Ma allora, il modo in cui vediamo i colori dipende dal linguaggio che parliamo? Gli scienziati discutono da tempo su questa domanda. Alcuni sostengono che la percezione del colore sia universale e basata sulla biologia: tutti gli esseri umani hanno gli stessi occhi e lo stesso cervello, quindi vedono i colori nello stesso modo; altri, invece pensano che il linguaggio abbia un’influenza importante: se una lingua non ha una parola per un certo colore, chi la parla potrebbe avere più difficoltà a distinguerlo.

L’idea che i colori siano universali è in parte vera, ma è altrettanto vero che il modo in cui li categorizziamo dipende dalla nostra cultura e dalla nostra lingua. Quindi sono le diverse società che attribuiscono un significato a un colore e gli danno un nome. E lo stesso colore potrebbe avere significati diversi a seconda dell’epoca del popolo che consideriamo

Questo ha implicazioni interessanti per la psicologia, l’antropologia e persino il design: chi lavora con il colore deve tenere conto di queste differenze culturali. 

 

Fonti e approfondimenti

GLADSTONE, W., Studies on Homer and the Homeric age, Oxford University Press, Oxford 1858

KUSCHEL, R., MONBERG, T., “We don’t talk much of colour here: a study of colour semantics on Bellona Island”, Man IX, 1974

PASTOREAU, M., Blu, Storia di un colore, Ponte delle Grazie, 2002

ROMANO, E., Il lessico latino dei colori e la ‘cecità’ degli antichi verso il blu, 


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Fiesta de la Mare de Déu de la Salut

Cada año se celebra en Algemesí, Valencia, la fiesta de la Mare de la Déu de la Salut, que festeja a Nuestra Señora de la Salud.  Se trata de una fiesta religiosa y popular que tiene lugar en septiembre y que llama la atención por la viveza de sus celebraciones.

Es un momento en el que la comunidad se reúne para celebrar su historia y sus tradiciones. Fue declarada Patrimonio Cultural Inmaterial de la Humanidad por la UNESCO en 2011.

La celebración gira en torno a la figura de Nuestra Señora de la Salud, venerada por los fieles locales. Es una fiesta de bailes, representaciones y rituales medievales.

Un momento espectacular de la fiesta es cuando los jóvenes corren descalzos por las calles de la ciudad, portando imágenes religiosas en procesión. Esta práctica, que representa el vínculo entre el pueblo y su Virgen, es uno de los momentos más emotivos e intensos de la fiesta, símbolo de devoción y valentía.

La Festa de la Mare de Déu de la Salut representa un momento de profunda identidad cultural y tradición.

Desde el punto de vista turístico, la fiesta atrae cada vez a más visitantes, deseosos de sumergirse en una tradición arraigada en el pasado pero viva y vibrante. 

Así es, la Festa de la Mare de Déu de la Salut es un magnífico ejemplo de cómo se pueden preservar y celebrar las tradiciones locales manteniendo el vínculo entre la comunidad y su historia. 

L’autrice

Alba di Egness, madrelingua spagnola, laureata in economia e con un master in marketing, si trasferisce in Italia nel 2016 e si specializza nell’insegnamento dello spagnolo per studenti di madrelingua italiana. Content creator e Fondatrice dell’Accademia Egness, la prima scuola online di spagnolo per italiani.

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Cisco Packet Tracer: un laboratorio virtuale per dare vita alle reti

Nell’unità 2 del volume 3 del testo “Informatica bit a bit

(edizioni Tramontana, adottabile per i licei scientifici delle scienze applicate), abbiamo avuto l’opportunità di esplorare il potenziale di Cisco Packet Tracer.

Nell’attuale era digitale, acquisire conoscenze sul funzionamento delle reti informatiche è diventato un requisito essenziale e cruciale per il futuro professionale dei nostri studenti, tuttavia, spiegare concetti complessi come il modello TCP/IP, il routing, il funzionamento dei protocolli o le minacce alla cybersecurity attraverso la sola teoria può risultare astratto e poco coinvolgente. 

È qui che strumenti innovativi come Cisco Packet Tracer si rivelano alleati preziosi per la didattica, trasformando l’apprendimento in un’esperienza pratica, interattiva e profondamente significativa.

Cisco Packet Tracer è un potente software di simulazione di rete gratuito offerto da Cisco nell’ambito della sua iniziativa Skills for All, che prevede anche la frequenza di più corsi online gratuiti davvero molto interessanti.

Gli studenti possono simulare la creazione, la configurazione e il test di reti realizzate per la soluzione di problemi complessi, il tutto in un ambiente virtuale, senza la necessità di costose apparecchiature fisiche. 

In questo modo possiamo trasformare concetti teorici in esperienze pratiche, i nostri studenti possono costruire attivamente le proprie reti, trascinando e connettendo virtualmente router, switch, computer, server e altri dispositivi, possono poi configurare le interfacce, assegnare indirizzi IP, implementare protocolli di routing e osservare in tempo reale il flusso dei dati. Questa interazione diretta con gli elementi della rete favorisce una comprensione più profonda e duratura dei meccanismi sottostanti.

Gli studenti possono osservare i pacchetti di dati viaggiare attraverso i cavi virtuali, analizzare gli header dei protocolli e comprendere come vengono prese le decisioni di routing.

In un ambiente di laboratorio fisico, la sperimentazione con configurazioni complesse o l’introduzione di errori intenzionali può portare a danni alle apparecchiature, Packet Tracer offre un ambiente sicuro e isolato dove gli studenti possono sperimentare liberamente, provare diverse configurazioni, commettere errori e imparare da essi senza conseguenze reali. 

Come si è detto, Packet Tracer è un’applicazione completamente gratuita e accessibile a chiunque si iscriva a uno dei corsi gratuiti di Skills for All di Cisco, questa facilità di accesso elimina le barriere economiche e logistiche spesso associate all’allestimento di laboratori fisici, rendendo la simulazione di rete uno strumento alla portata di tutte le istituzioni scolastiche.

Scopri il corso Informatica bit a bit.

 

 

 

 

 

 

 

Il significato della Pasqua: tra fede e tradizione

La Pasqua è una delle festività più importanti e sentite nel mondo cristiano, celebrata per commemorare la resurrezione di Gesù Cristo. Questo evento, che secondo i Vangeli avvenne il terzo giorno dopo la sua crocifissione, rappresenta il fulcro della fede cristiana, simboleggiando la vittoria sulla morte e la promessa di una nuova vita.

Origini e significato religioso

La parola “Pasqua” deriva dall’ebraico “Pesach”, che significa “passaggio”. Questa festività affonda le sue radici nella tradizione ebraica, dove si celebra la liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù in Egitto, come narrato nell’Antico Testamento. Durante la Pesach, gli ebrei commemorano l’evento del passaggio del Mar Rosso guidati da Mosè.

Con l’avvento del cristianesimo, la Pasqua assunse un nuovo significato: il “passaggio” dalla morte alla vita di Cristo, simbolo della nuova alleanza tra Dio e l’umanità.

Per i cristiani, la Pasqua segna la fine della Settimana Santa, che inizia con la Domenica delle Palme e attraversa momenti cruciali come il Giovedì Santo, con l’Ultima Cena, e il Venerdì Santo, giorno della crocifissione di Gesù. La Domenica di Pasqua celebra il ritorno alla vita del Messia e la redenzione dell’umanità, portando un messaggio di speranza e rinnovamento spirituale.

La data della Pasqua varia ogni anno poiché segue il calendario lunare: si celebra la prima domenica dopo la prima luna piena di primavera, secondo il computo stabilito dal Concilio di Nicea nel 325 d.C.

Tradizioni pasquali

La Pasqua non è solo una festa religiosa, ma ha assunto nel tempo anche una forte connotazione culturale. In molte parti del mondo, le celebrazioni pasquali includono riti e tradizioni legate alla rinascita e alla primavera.

  • L’agnello. In molte culture, l’agnello pasquale rappresenta il sacrificio di Cristo ed è un piatto tipico della festività.
  • La colomba pasquale. Dolce tradizionale italiano, simboleggia la pace e la speranza.
  • Le processioni e le rappresentazioni della Passione di Cristo. In molte città e paesi, la Pasqua è accompagnata da riti suggestivi che ripercorrono gli ultimi momenti della vita di Gesù.
  • Le campane di Pasqua. In diversi paesi europei, le campane delle chiese rimangono silenziose dal Giovedì Santo fino alla Domenica di Pasqua, per poi suonare a festa in segno di gioia per la resurrezione.
  • Il coniglio pasquale. Questa tradizione, diffusa soprattutto nei paesi anglosassoni, ha origine nelle culture pagane e simboleggia la fertilità e la rinascita primaverile.

Pasqua nel mondo

Ogni paese celebra la Pasqua con usanze diverse, arricchendo la festività con tradizioni locali:

  • In Spagna, le processioni della Settimana Santa sono tra le più spettacolari e coinvolgono confraternite che sfilano incappucciate portando statue religiose.
  • In Grecia, la Pasqua ortodossa è molto sentita, con la tradizionale rottura delle uova rosse simbolo del sangue di Cristo e la frase “Christos Anesti” (Cristo è risorto).
  • Negli Stati Uniti, è popolare la caccia alle uova di Pasqua, un gioco per bambini in cui devono trovare uova colorate nascoste nei giardini.

Pasqua e spiritualità

Al di là delle celebrazioni esteriori, la Pasqua rappresenta un momento di riflessione profonda per credenti e non credenti. Infatti, il concetto di resurrezione può essere visto anche come un’opportunità di rinnovamento personale, un invito a lasciarsi alle spalle il passato e guardare al futuro con speranza e fiducia.

In un mondo segnato da difficoltà e incertezze, il messaggio pasquale di rinascita e amore assume un valore universale, capace di ispirare chiunque a cercare il bene, la pace e la solidarietà tra le persone.

 

Per approfondimenti, vai alla rubrica Faccio e imparo della rivista Raggi di Luce.

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No one puts their children in a boat unless the water is safer than the land – literature and refugees

The fleeing from one’s country to an area of safety has been an integral part of the human story since the beginning of society. Being forced to leave home and the familiarity of one’s nation whether it be from war, persecution or natural disaster has continued to be an important part of our history. The SDG 2030 goals have included some specific objectives to help to deal with refugees and displaced people by providing housing, jobs and the foundations to build a new life. However the SDG goals in themselves have the overarching function to alleviate, where possible, the need to flee in the first place. By reducing Poverty (SDG 1), Hunger (SDG2), Prejudice in all forms (SDGs 5 and 10) promoting peace (SDG16), almost all the 2030 goals work to reduce the “push” factors that create the situations where the only choice for people is to become a refugee or displacement person. As usual, literature considers the problem from both perspectives, refugees’ point of view and .

Warsan Shire

Warsan Shire is a Somali-British poet, writer, and activist, known for her powerful and evocative works that explore themes of identity, migration and displacement. She was born in Kenya to Somali parents in 1988 and moved to the United Kingdom as a young child. She was awarded the inaugural Brunel International African Poetry Prize and served as the first Young Poet Laureate of London. Moreover she is the youngest member of the Royal Society of Literature. She wrote two chapbooks, Teaching My Mother How to Give Birth and Her Blue Body and also the script of a short film titled  Girl Rising. Filmed in one of the largest refugee camps in the world, Brave Girl Rising tells how a courageous girl named Nasro, inspired by the magical dreams of her mother and the sisterhood of her friends, succeeds in getting the education she deserves. Shire’s poetry often draws from her own experiences as an immigrant and reflects the emotional and psychological toll of war and exile. She now lives in the US, in Los Angeles with her husband and children.

A Poem

In 2009 Warsan Shire visited the abandoned Somali embassy in Rome which had been turned into a shelter by some young refugees. This experience, she said, opened her eyes on the conditions of refugees in Europe. “I wrote the poem for them, for my family and for anyone who has experienced or lived around grief and trauma in that way.”

 

HOME

No one leaves home unless
home is the mouth of a shark
you only run for the border
when you see the whole city running as well

your neighbours running faster than you
breath bloody in their throats
the boy you went to school with
who kissed you dizzy behind the old tin factory
is holding a gun bigger than his body
you only leave home
when home won’t let you stay.

no one leaves home unless home chases you
fire under feet
hot blood in your belly
it’s not something you ever thought of doing
until the blade burnt threats into
your neck
and even then you carried the anthem under
your breath
only tearing up your passport in an airport toilets
sobbing as each mouthful of paper
made it clear that you wouldn’t be going back.

you have to understand,
that no one puts their children in a boat
unless the water is safer than the land
no one burns their palms
under trains
beneath carriages
no one spends days and nights in the stomach of a truck
feeding on newspaper unless the miles travelled
means something more than journey.
no one crawls under fences
no one wants to be beaten
pitied

no one chooses refugee camps
or strip searches where your
body is left aching
or prison,
because prison is safer
than a city of fire
and one prison guard
in the night
is better than a truckload
of men who look like your father
no one could take it
no one could stomach it
no one skin would be tough enough

the
go home blacks
refugees
dirty immigrants
asylum seekers
sucking our country dry
niggers with their hands out
they smell strange
savage
messed up their country and now they want
to mess ours up
how do the words
the dirty looks
roll off your backs
maybe because the blow is softer
than a limb torn off

or the words are more tender
than fourteen men between
your legs
or the insults are easier
to swallow
than rubble
than bone
than your child body
in pieces.
i want to go home,
but home is the mouth of a shark
home is the barrel of the gun
and no one would leave home
unless home chased you to the shore
unless home told you
to quicken your legs
leave your clothes behind
crawl through the desert
wade through the oceans
drown
save
be hunger
beg
forget pride
your survival is more important

no one leaves home until home is a sweaty voice in your ear
saying-
leave,
run away from me now
i dont know what i’ve become
but i know that anywhere
is safer than here.

“Home” is a poem that vividly describes the experiences of the refugees who are forced to leave their houses, their homelands. Home is not synonym of beautiful memories in this poem, but instead it’s an open cut on refugees’ skin that can’t be healed. Home is “the mouth of a shark”, home “won’t let you stay and the speaker says that when the situation at home is unbearable, everybody runs away. And the only way to be safe is running faster than the others. 

There’s no other possibility for them. Home is personified and is pushing them away. Through the repetition of no one, Shire wants to highlight the fact that there’s no other choice for refugees.

“no one puts their children in a boat
unless the water is safer than the land
no one burns their palms
under trains
beneath carriages
no one spends days and nights in the stomach of a truck
feeding on newspaper unless the miles travelled
means something more than journey.
no one crawls under fences
no one wants to be beaten
pitied
no one chooses refugee camps”

Throughout the poem, the speaker explains the tragic experiences refugees have to go through on their journey out of the country.  

People who have never experienced something like this, must understand that people don’t risk their own children’s lives by trying to enter foreign countries  unless that dangerous journey is still safer than the violence left behind.

 

A LESSON PLAN 

WARM UP – 5min

Consider the pictures. What comes into your mind? What is the issue presented?

 

LEARNING STATIONS – 40min

STATION 1

 

STATION 2

 

STATION 3

 

STATION 4 

 

What is Benjamin Zephaniah’s perspective?

Do you agree with him?

 

Don’t you know how to organize LEARNING STATIONS? Check this link.

 

FOLLOW UP – 10 min

CLASS DISCUSSION – 15 min

How does literature address the issue of migration?

Have the conditions of migrants changed throughout time? What are the difficulties they used to face? What are the difficulties they face now?

FOOD FOR THOUGHT – AN INTERACTIVE ACTIVITY – 20 min

If you were fleeing Syria for Europe, what choices would you make for you and your family? Take our journey to understand the real dilemmas the refugees face.

In che modo l’AI ha a che fare con il settore energetico?

E se ti dicessi che i sistemi energetici stanno imparando a parlare tra di loro esattamente come un bimbo impara a parlare dagli adulti che gli stanno attorno? 

Un paragone improbabile… Ma è esattamente cosi  

Come un neonato apprende i primissimi suoni tramite un flusso di informazioni monodirezionale che gli viene trasmesso dagli adulti che lo circondano, cosi ha funzionato la trasmissione di energia tra i sistemi e gli attori energetici fino a qualche tempo fa.

L’energia, infatti, è sempre stata trasmessa, tramite le reti e con un flusso monodirezionale, da centrali elettriche centralizzate direttamente alle nostre case. 

Ma mano a mano che un bimbo cresce, impara parole nuove, capisce nuovi concetti ed elabora ragionamenti complessi: si instaura quindi con il mondo un flusso di informazioni multi direzionale, in cui il bambino non solo riceve, ma dà anche il suo contributo agli ambienti esterni.  

Questo è esattamente il punto in cui ora si trovano i sistemi energetici. Grazie alla crescente domanda di elettricità, all’implementazione delle energie rinnovabili e agli sforzi per la decarbonizzazione, il flusso delle informazioni che i sistemi energetici devono trasmettere e gestire non è più monodirezionale, ma sta diventando sempre più interconnesso e digitalizzato. 

Ed è in questo scenario complesso l’intelligenza artificiale può fare la differenza!

Come sfruttare al meglio l’AI nel settore energetico? 

Nonostante si siano mossi solo i primi passi, è già chiaro che l’implementazione dell’AI in questo campo apporterà cambiamenti sorprendenti. Vediamo assieme alcune applicazioni in fase di sviluppo:

  • Miglioramento delle previsioni di domanda e offerta di energia: i sistemi di intelligenza artificiale riescono a elaborare e interpretare grandi quantità di dati in tempo reale. Ciò permette di prevedere meglio la domanda di elettricità, sia dalle centrali elettriche sia dalle case con pannelli fotovoltaici caratterizzate quindi da autoconsumo. Questo permette di ridurre gli sprechi e ottimizzare l’utilizzo delle fonti rinnovabili che, pur non essendo prevedibili, potrebbero essere sfruttate al massimo.  
  • Manutenzione predittiva: l’intelligenza artificiale aiuta a prevenire guasti e interruzioni nella rete elettrica. Grazie agli algoritmi di machine learning, si può monitorare costantemente lo stato delle infrastrutture energetiche e prevedere con grande precisione quando potrebbero verificarsi dei problemi. Questo significa meno blackout e più sicurezza energetica.
  • Efficientamento delle reti: utilizzando una serie di dati provenienti da sensori, contatori intelligenti e altri dispositivi dell’Internet delle cose (IoT) per osservare e controllare il flusso di energia nella rete, i gestori di reti elettriche potranno adattare la produzione in base al consumo, evitando sovraccarichi e sprechi di energia. Secondo l’IEA (International Energy Agency), questo tipo di ottimizzazione potrebbe migliorare l’efficienza delle reti fino al 15-20%. 

L’applicazione alle fonti rinnovabili e alla decarbonizzazione

  • Fonti rinnovabili: come accennato in precedenza, le fonti rinnovabili, come solare ed eolico, non sono né programmabili né prevedibili: il sole non brilla tutto il giorno e il vento non soffia sempre con la stessa intensità. Ma anche qui l’AI sta giocando un ruolo decisivo. Grazie a modelli predittivi avanzati, è in grado di anticipare quando e dove l’energia solare ed eolica sarà disponibile, permettendo di ottimizzare l’uso di queste fonti.
  • Decarbonizzazione globale: grazie all’intelligenza artificiale si potranno apportare miglioramenti nelle fabbriche, nella gestione degli edifici e persino nei trasporti. Un esempio? L’elettrificazione dei veicoli. L’AI potrà ottimizzare le infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici, assicurandosi che siano sempre alimentati dalle fonti rinnovabili nei momenti giusti.

Secondo alcune stime, entro il 2050, l’integrazione dell’AI nel settore energetico potrebbe ridurre le emissioni globali di CO2 di miliardi di tonnellate, avvicinandoci sempre di più agli obiettivi di neutralità climatica.

Non solo opportunità, ma anche rischi

Grandi cambiamenti portano con sé anche grandi sfide da dover sostenere, e in ambito energetico le criticità sono principalmente due:

  1. La carenza di competenze: gli esperti di IA e apprendimento automatico sono tra i professionisti più richiesti a livello globale, ma il loro numero è ancora limitato. Questo significa che il settore energetico deve competere con molte altre industrie per attrarre talenti, rendendo difficile l’adozione su larga scala di queste tecnologie. 
  2. Il consumo energetico dell’intelligenza artificiale: sembra paradossale, ma per rendere il sistema energetico più efficiente rischiamo di introdurre nuove richieste di energia. L’addestramento dei modelli di IA richiede enormi quantità di elettricità, al punto che un solo modello può consumare più energia in un anno di quante ne utilizzino centinaia di case.

Affrontare queste sfide non è impossibile, ma richiede un impegno coordinato tra aziende, istituzioni e ricercatori. L’intelligenza artificiale può davvero trasformare il settore energetico e farci fare un salto quantico importante nella gestione dell’energia, ma dobbiamo assicurarci che lo faccia nel modo giusto, senza lasciare indietro nessuno e tutelando il pianeta.

 

Rubrica a cura di Generazione Stem

 

Biografia autrice 

Matilde Montresor, con una laurea in Economia, sta attualmente partecipando al corso Energy Within Environmental Constraints erogato dall’Università di Harvard. Da quattro anni e mezzo lavora nel settore energetico e si impegna nella divulgazione delle tematiche ad esso correlate contribuendo anche al progetto di Generazione STEM

Attività 01

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Geografia e Scienze in classe prima: attività propedeutiche o discipline?

In classe prima della scuola primaria, geografia e scienze non sono considerate discipline a sé stanti, ma piuttosto ambiti di apprendimento esplorativi e propedeutici. L’obiettivo principale è quello di sviluppare nei bambini e nelle bambine la curiosità verso il mondo che li circonda e di fornire le basi per future conoscenze più approfondite.

Caratteristiche principali

  • Approccio ludico e sensoriale: le attività da proporre devono essere  prevalentemente di tipo ludico, esperienziale e sensoriale, per favorire un apprendimento attivo e coinvolgente.
  • Osservazione e scoperta: le proposte devono incoraggiare l’osservazione diretta dell’ambiente circostante, sia naturale che antropico, per sollecitare e stimolare la capacità di analisi e di scoperta.
  • Sviluppo di concetti base: esercitazioni, osservazioni, attività vanno di pari passo con i concetti base di orientamento spaziale, come destra, sinistra, alto, basso, e di fenomeni naturali semplici, come il tempo e il ciclo delle stagioni.
  • Integrazione con altre discipline: Geografia e Scienze deno essere sempre integrate con altre discipline, come italiano, arte e immagine, storia, matematica, ed. civica per favorire un apprendimento globale.

Esempi di attività:

  • Esplorazione dell’aula e della scuola per orientarsi nello spazio.
  • Osservazione e descrizione degli elementi naturali presenti nel giardino della scuola.
  • Attività di manipolazione di materiali diversi per scoprirne le caratteristiche.
  • Raccolta di foglie e fiori per osservarne le differenze e le somiglianze.
  • Disegni e rappresentazioni grafiche di ambienti e fenomeni osservati.

In classe prima geografia e scienze, quindi, sono strumenti per stimolare la curiosità, l’osservazione e la scoperta del mondo, ponendo le basi per un apprendimento più strutturato e specifico negli anni successivi. In classe prima, l’approccio a geografia e scienze deve essere graduale, esperienziale e ludico. 

Allegato 1 – fare Geografia e Scienze in prima

Allegato 2 – schede aggiuntive al percorso del testo

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