Il piano cartesiano in Scratch: da “problema” a risorsa

Sfruttare le risorse

Per creare storie, giochi e animazioni in Scratch è necessario capire come muovere personaggi e oggetti nello stage. Con alunni/e della scuola primaria, questo punto diventa uno scoglio da superare senza ricorrere a quella che sarebbe la spiegazione più immediata possibile, cioè illustrando come la posizione di un personaggio nello stage sia individuata dalle coordinate di un punto nel piano cartesiano. Chi si è trovato in questa situazione, ricorderà di aver trovato degli escamotage (ad esempio, la battaglia navale) per descrivere il concetto di piano cartesiano senza nominarlo. 

Nella scuola secondaria di primo grado, invece, ci troviamo di fronte al problema inverso, ossia introdurre il piano cartesiano usando un approccio più coinvolgente degli esercizi “carta e penna” (come i percorsi cifrati e il disegno di figure nel piano cartesiano). A questo scopo, possiamo sfruttare a nostro vantaggio il fatto che, nello stesso periodo, alunni ed alunne imparano i rudimenti della programmazione.  Il “problema” rappresentato dalla presenza del piano cartesiano in Scratch può quindi diventare una risorsa interessante: alunni ed alunne possono apprendere concetti di geometria mentre imparano a programmare

Costruire la conoscenza 

L’ambiente di programmazione Scratch è progettato per stimolare esplorazione e creatività. Questa caratteristica diventa un utile strumento da sfruttare, veicolando l’esplorazione verso la scoperta del concetto di piano cartesiano e delle sue leggi, mentre si impara a programmare. Le lezioni teoriche potranno prendere spunto dalle osservazioni annotate da alunni ed alunne: Cosa succedeva aumentando il valore di x? E se invece si sceglieva un valore negativo di y? Dal punto di vista della programmazione, un’attività di questo tipo si posiziona al livello introduttivo, richiedendo di scrivere semplici sequenze di comandi, sperimentando eventuali cambiamenti e modificando eventuali difetti. Dunque, imparare la geometria utilizzando Scratch non richiederà di accelerare l’apprendimento dei concetti di programmazione. 

Esercizi in progressione

Quando si tratta di far seguire gli esercizi alla lezione teorica, i percorsi cifrati “in versione Scratch” rappresentano un ottimo punto di partenza (esempio in figura). Poi, il solo limite è la fantasia, ricordando sempre di favorire l’esplorazione. In ogni caso, però, è bene prevedere degli esercizi “di riserva”, che possono aiutare a gestire alunni/e più veloci nell’apprendimento dei concetti di programmazione o della geometria. Si tratta di essere pronti a proporre esercizi che, da un lato, richiedano gli stessi concetti di geometria, ma maggiore dimestichezza con la programmazione. L’esempio nella figura potrebbe dunque essere esteso proponendo di cambiare il colore della penna, oppure di disegnare la stella un certo numero di volte cambiando il colore ogni volta (questo comporterebbe un approfondimento del concetto di ripetizione in una sequenza di comandi). Dall’altro lato, è bene aver pronti degli esercizi che richiedano ad alunni/e più veloci nell’apprendimento della geometria di esplorare in Scratch nuove leggi del piano cartesiano, mantenendo la parte di programmazione al livello base. 

Percorsi cifrati “carta e penna”

Tangram, vol. 1B, di L. Ferri, A. Matteo, E. Pellegrini – Rizzoli Education, 2020

Percorsi cifrati “versione Scratch”: completa la stella

Per approfondire

Blockchain I: la tecnologia dietro alle criptovalute

Sono oramai diversi anni che si parla di criptovalute: il Bitcoin, la cui invenzione ha dato una grande spinta a tutto il settore, risale al 2009. Al cuore del loro funzionamento c’è spesso una blockchain, un’architettura che può essere utilizzata in diversi contesti. In questo primo articolo ne presentiamo alcune caratteristiche.

Cos’è una blockchain?

L’esigenza a cui risponde una blockchain è quella di disporre di un registro digitale (nel caso delle criptovalute è l’elenco delle transazioni di denaro) che sia contemporaneamente distribuito e immutabile: per un singolo utente non deve essere possibile modificare o eliminare le voci del registro, ma in qualsiasi momento deve essere possibile leggerle e eventualmente aggiungerne alcune in coda. In questa maniera tutte le operazioni effettuate sul registro digitale sono tracciabili, anche se viene sempre garantito l’anonimato degli utenti.

Per avere una condivisione agevole del registro digitale conviene allora suddividerlo in una serie di parti, dette blocchi, che vengono ordinate in un’unica catena: la blockchain, appunto.

Decentramento e distribuzione

Ciascun utente possiede una copia di tutti i blocchi della catena, che sono condivisi in un’apposita rete P2P (una rete i cui nodi hanno tutti pari ruolo). Un vantaggio immediato nel non avere un’entità centrale è la maggiore trasparenza. Inoltre, l’elevata ridondanza di una blockchain consente di evitare la perdita di informazioni e dà a chiunque accesso pressoché istantaneo a una copia dell’intero registro digitale.

Una rappresentazione grafica di alcune tipologie di struttura di una rete. Da sinistra: una rete centralizzata, una rete decentralizzata e una rete distribuita.

Dalla struttura decentrata discendono anche vantaggi più tecnici: non si risente infatti dei malfunzionamenti di un particolare nodo, vanificando quindi eventuali attacchi malevoli di tipo DDoS (distributed denial-of-service), che mirano a sovraccaricare i nodi di una rete mettendoli fuori servizio.

Oltre le criptovalute

Le criptovalute sono solo uno dei campi in cui si è utilizzata una blockchain, ma non è certamente l’unico. Un settore in rapida evoluzione è, solo per dirne uno, quello degli NFT (non-fungible token), utilizzati per certificare autenticità e proprietà e quindi impiegati, per esempio, principalmente per la tutela della proprietà intellettuale e del copyright.

Nel prossimo articolo capiremo meglio come garantire la sicurezza e come il funzionamento di una blockchain abbia spesso un costo elevato, sia computazionale che ambientale.

Approfondimenti

Il bilancio delle imprese turistico-ristorative

Smart tips digitali per le scienze

Come ogni innovazione, anche le tecnologie digitali portano con se criticità e nuove opportunità. Premetto che per me, queste tecnologie rappresentano un mezzo per meglio veicolare le conoscenze: non sono il fine, ed è velleitario  pensare di sorprendere i ragazzi di oggi, “nativi digitali” con queste nuove tecnologie,  così come è importante dire che esse non sono sostitutive della lezione frontale e nemmeno delle lezioni laboratoriali perché ciò che gli alunni creano con le loro mani rimane loro impresso per sempre. 

Perché le smart tips ?

Le tecnologie digitali però possono costituire un valido ausilio per entrambe le modalità didattiche, grazie anche ai loro punti di forza. I software didattici infatti, se opportunamente scelti, sono immediati, attendibili e a costo basso o nullo. Il docente poi deve proporre agli alunni un percorso che dovrà essere guidato e finalizzato.

Vedere le molecole

Nell’ambito della chimica si segnala l’utilità del modellatore Avogadro che permette di “creare” e vedere le molecole. È dotato di varie funzioni fra cui quella di “riaggiustare” la struttura molecolare secondo i dettami della teoria VSEPR e permette la corretta visualizzazione di angoli e lunghezze dei legami. Dal punto di vista didattico è molto utile far realizzare agli alunni la struttura di una molecola partendo dal nome (con competenze che vanno dalla nomenclatura alla teoria VSEPR. È possibile rappresentare e comprendere le varie forme isomeriche (cis, trans, forme a barca o a sedia ecc. ) e ancora, amminoacidi, catene proteiche, lipidi e soprattutto acidi nucleici. Una possibile esercitazione consiste nel realizzare una sequenza di DNA (partendo dai nucleotidi) poi il trascritto di RNA quindi la proteina corrispondente, applicando così un ventaglio di competenze che dalle basi di biochimica arriva fino alla sintesi proteica. 

Guardiamo il cielo come Galileo…ma nel 21° secolo 

Stellarium Web è un simulatore della sfera celeste che permette di avere animazioni in tempo reale della volta del cielo. Opportunamente guidati, gli alunni scoprono il moto dei principali astri e di tutte le costellazioni, la posizione del sole nelle varie ore del giorno e il significato dei punti cardinali. In particolare è utile per sfatare certi miti, quali il sole che sorge sempre esattamente a est, o la stella polare allo zenit ecc. È interessante impostare le coordinate geografiche e temporali di un luogo per dar modo agli alunni di confrontare ciò che vedono nel simulatore e ciò che vedono nel cielo. Selezionando un singolo oggetto si ottengono ingrandimenti e informazioni su di esso

Dalla cellula al corpo umano 

In ambito biologico esistono innumerevoli app e filmati per i più disparati processi, accessibili grazie a YouTube. Una collezione interessante di animazioni è disponibile sul sito Virtual Cell (Vcell),  dove è possibile osservare, oltre alla struttura della cellula, anche numerosi processi metabolici e genetici quali ad esempio la trascrizione e la sintesi delle proteine. Zygotebody è invece un atlante anatomico interattivo che permette di manipolare il corpo umano togliendo o aggiungendo apparati. È possibile osservare il dettaglio anatomico, anche particolareggiato, di ogni organo (es. cuore) ed anche il suo rapporto con altre parti anatomiche (es. aorta, sterno, coste ecc.). Anche in questo caso è molto proficua una modalità di lavoro per obiettivi, ad esempio il compito di effettuare una stampa dello scheletro e dei vasi sanguigni decorrenti dal cuore fino agli arti. 

E infine

L’utilizzo di questi strumenti, unitamente alla modalità di lavoro in gruppo, permette di far affrontare agli alunni compiti di realtà, e di aumentare le loro competenze trasversali, dall’ambito ambito tecnico scientifico fino a quello relazionale e di stimolare nuove modalità di apprendimento come ad esempio l’apprendimento cooperativo e, in ultima analisi, consente loro di imparare divertendosi.

Figura 1: Molecola di Glucosio (da Avogadro)

Figura 2: Frammento di DNA costruito a partire dalla sequenza di nucleotidi “ATCCG” indicata a sinistra (da Avogadro)

Figura 3: Il cielo mattutino durante l’eclissi totale del 15/2/1961 come visto dall’appennino reggiano con la luna che copre completamente il disco solare (da stellarium Web)

Figura 4: Particolare dei vasi sanguigni e dello scheletro del bacino. Cliccando su ciascuna singola parte, ne compare il nome (da Zygotebody)

L’importanza delle api in agricoltura

L’uomo del Paleolitico, detto cacciatore-raccoglitore, si cibava del miele prodotto dalle api selvatiche. Questo avveniva ancor prima che, nel Neolitico, iniziassero le prime forme di agricoltura e allevamento. Successivamente agricoltura e apicoltura iniziarono un graduale e sinergico sviluppo che tutt’oggi continua.

Gli insetti impollinatori (api e farfalle i principali) svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione degli ecosistemi (ISPRA 2022) e si stima che la riproduzione di circa il 90% delle piante del nostro pianeta, dipenda dall’impollinazione animale. Nel dettaglio, il 70% delle più importanti specie coltivate di interesse agrario (115 colture), dipende dall’impollinazione degli insetti (Klein et al., 2007).

Senza questo stretto e vitale connubio riproduttivo tra insetti e piante, molte specie vegetali sarebbero a rischio di estinzione. Altrettanto importante è il ruolo dell’impollinazione da parte delle api che, con la loro attività, garantiscono la riproduzione di circa il 70% di tutte le specie vegetali; grazie a questi preziosi insetti viene così prodotto il 35% di cibo a livello globale.

La produzione agricola ha beneficiato negli ultimi decenni di un incremento di produzione di circa il 30% grazie proprio al lavoro svolto dagli insetti impollinatori.

Non da ultimo, l’allevamento delle api fornisce numerosi prodotti alimentari, cosmetici e curativi quali il miele, polline, pappa reale, cera, propoli e veleno creando un indotto importante. L’Italia è il quarto produttore di miele in Europa con 1,4 milioni di alveari censiti con una produzione annua di oltre 23 mila tonnellate (ISMEA, 2019). Nonostante ciò, il beneficio apportato all’agricoltura dagli insetti impollinatori, ed in particolar modo dalle api, porta ad un maggior ritorno economico rispetto ai prodotti dell’alveare precedentemente elencati che vengono quindi considerati come “prodotti accessori e secondari” (Marino, 2010).

Piante arboree quali ciliegio, pero, melo, agrumi e molte altre specie di interesse agronomico, evidenzierebbero un drastico calo produttivo in assenza di impollinazione entomofila.

L’attività degli insetti impollinatori, inoltre, aumenta la percentuale di allegagione, previene la cascola dei frutti, aumenta le dimensioni dei frutti ed il loro contenuto zuccherino (Marino, 2010).

La moderna agricoltura e le esigenze legate a una produzione sempre più alta, hanno incentivato tecniche colturali più intensive come la monocoltura, la monosuccessione e l’eliminazione degli habitat degli insetti impollinatori (siepi, filari e prati a margine degli appezzamenti coltivati). Accanto a questo, il controllo degli insetti patogeni con fitofarmaci non selettivi ha, negli ultimi decenni, decimato le specie impollinatrici selvatiche e non, portando sempre più ad una dipendenza della presenza delle api allevate per la salvaguardia della produttività delle colture (Silli e Bellucci, 2022).

La legislazione dell’Unione europea garantisce da sempre “elevati livelli di protezione della salute umana, animale e dell’ambiente”. Per questo motivo stabilisce che i pesticidi non debbano avere “nessun effetto nocivo per la salute animale” (Reg. EC n. 1107/2009). In conclusione, le politiche agricole attuali, tutelano sempre più modelli di agricoltura sostenibile salvaguardando la salute pubblica e animale nel rispetto e conservazione della biodiversità.

Video consigliati:

https://www.youtube.com/watch?v=eVIYdoQs3Ug
https://www.youtube.com/watch?v=v0k5z_a_vBs

Se cumplen cincuenta años de la tragedia de los Andes

El 12 de octubre en España se celebra el Día de la Hispanidad, en el que se conmemora la llegada de Cristóbal Colón a América. Es la efeméride más conocida, pero en este mes a lo largo de la historia sucedieron otros acontecimientos importantes y dignos de recordar. Hoy os hablamos de uno de ellos. Hoy recordamos de la tragedia de los Andes al cumplirse los cincuenta años del accidente aéreo acaecido el 13 de octubre de 1972 en la frontera entre Chile y Argentina.   

Efemérides de octubre
01/10/1541 Nacimiento del genial pintor el Greco.
01/10/1931 Establecimiento del voto femenino en España.
09/10/1967  Fusilamiento de Ernesto Che Guevara.
10/10/1830  Nacimiento en Madrid de Isabel II de Borbón.
13/10/1972 La tragedia de los Andes.
17/10/1920 Nacimiento del escritor Miguel Delibes.
17/10/1934 Fallecimiento del premio Nobel de Medicina Ramón y Cajal.
19/10/1989 Camilo José Cela gana el premio Nobel de Literatura.
19/10/1868 España adopta la peseta como moneda.
21/10/1496 Matrimonio de Juana la Loca y Felipe el Hermoso.
26/10/1520 Coronación de Carlos I de España como emperador del Sacro Impero Germánico con el nombre de Carlos V.
25/10/1881 Nacimiento de Pablo Picasso.
27/10/1553  Miguel Servet es quemado en la hoguera.

 

El avión, en el que viajaba el equipo de rugby juvenil Old Christians Club de Montevideo con sus familiares y amigos, se estrelló en la cordillera de los Andes: la poca visibilidad existente provocó que el piloto confundiera su posición y pensara que estaba descendiendo para aterrizar en Santiago, cuando en realidad se encontraban sobrevolando todavía las montañas.

De las 40 pasajeros y cinco tripulantes que viajaban, solo sobrevivieron 16 personas: tres tripulantes y ocho pasajeros murieron en el impacto y otras 18 personas fallecieron en la montaña.

Ocho días después del accidente, las autoridades al no encontrar rastro del avión en la nieve cancelaron los operativos de búsqueda a la espera de que el calor de verano derritiera la nieve y así poder buscar los restos mortales de todos los pasajeros y dejaron a los supervivientes a la merced del inclemente invierno andino y el hambre. 

Los supervivientes supieron que las autoridades creían que habían perecido y que el rescate había sido suspendido, escuchando un radiotransmisor hallado entre los restos de la aeronave. 

Los días y las semanas pasaban, la situación empeoraba y estos decidieron ir a buscar ayuda. Con este objetivo, el 12 de diciembre, casi dos meses exactos después del accidente, Antonio Vizintín, Fernando Parrado y Roberto Canessa se pusieron en marcha con la esperanza de encontrar a alguien y avisarle sobre lo sucedido. A los tres días, Vizintín regresó con el grupo por el cansancio y sus dos compañeros continuaron la búsqueda. El esfuerzo no fue en vano: al noveno día de caminata, Canessa y Parrado llegaron a un arroyo y en la otra orilla vieron un arriero. Le gritaron, pidiendo ayuda, pero Sergio Catalán, que así se llamaba este, no los entendía y por eso les lanzó papel y lápiz para que le escribieron una nota. Cuando leyó las pocas líneas escritas, les prometió que volvería al día siguiente con ayuda y así lo hizo, poniendo fin a la pesadilla que estaban viviendo.

El horror vivido por los supervivientes se ha plasmado en libros y en películas. Aquí citamos algunos títulos.

Películas

  • ¡Viven!, cinta basada en el libro homónimo que se estrenó en 1993
  • Alive: 20 Years Later (1993)
  • I Am Alive: Surviving the Andes Plane Crash (2010)
  • La sociedad de la nieve, cuyo estreno está previsto para 2023 en el cine y en Netflix

Libros

  • ¡Viven! El triunfo del espíritu humano (1974) de Piers Paul Read
  • Diario de un superviviente: Memorias de los Andes de José Luis Coche Inciarte
  • Milagro en los Andes (2006) de Nando Parrado
  • Tenía que sobrevivir (2016) de Roberto Canessa y Pablo Vierci
  • Desde el silencio: cuarenta años después (2019) de Eduardo Strauch

Otro material audio y vídeo

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Podcast

Le api: le specie più a rischio e le più importanti per la tutela della biodiversità e degli ecosistemi.

Introduzione: i servizi ecosistemici

Gli organismi impollinatori quali le api, i bombi e le farfalle sono fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi in quanto interagendo con il mondo vegetale permettono alle piante di completare il loro ciclo riproduttivo. L’impollinazione delle colture da parte degli organismi impollinatori, infatti, rappresenta un servizio ecosistemico intermedio di regolazione, ovvero reso dall’ecosistema a se stesso, necessario per la fornitura dei servizi finali per la fornitura di biomassa dalle coltivazioni e da cui dipende la fecondazione e la produttività agricola. L’impollinazione, quindi, può aumentare la resa, la qualità e la stabilità dei frutti e delle colture da seme. 

Un notevole numero di piante ha affidato agli insetti il compito di trasportare il polline da un fiore all’altro per favorire la fecondazione e, conseguentemente, la loro esistenza dipende dall’attività svolta dalle api. L’impollinazione è, quindi, fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio ecologico e della biodiversità.

Dall’analisi degli studi elaborati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), 71 – delle circa 100 specie di colture che forniscono il 90% del cibo nel mondo – sono impollinate dalle api. Si calcola che a livello mondiale tali organismi siano responsabili dell’impollinazione di più del 75% di tutte le colture e di oltre il 90% delle piante selvatiche. L’attività di impollinazione degli insetti genera, in ambito comunitario, un fatturato prossimo ai 15 miliardi di euro di produzione agricola annuale. Infatti ricerche condotte dalla FAO dimostrano come l’apporto degli insetti impollinatori possa far aumentare la produttività media agricola del 24 %. 

Gli organismi impollinatori garantiscono la sicurezza alimentare poiché con l’impollinazione sostengono la produzione di cibo diversificato e di qualità in grado di assicurare il progresso e il benessere degli uomini. La coltivazione di piante che dipendono dall’attività delle api rappresenta un importante fonte di reddito per gli agricoltori. Negli ultimi cinquant’anni la quantità di colture che discendono dall’impollinazione è triplicata. Infatti frutta e verdura come, ad esempio, mele, pere, ciliegie, albicocche, meloni, pomodori, zucchine, carote e cipolle ma anche noci, semi e semi oleaginosi si ottengono derivano dalla funzione svolta dagli organismi impollinatori. Inoltre l’attività delle api permette la produzione di foraggi per gli allevamenti, biocarburanti (da colza e mais), tessuti (cotone), medicinali e materiali da costruzione. 

L’ape, inoltre, si è rivelata un eccellente sentinella ambientale o indicatore biologico di diverse sostanze contaminanti presenti nei tre elementi (aria, acqua e suolo) dove esse si trovano disperse essendo in grado di fornire importanti indicazioni sulla qualità ecologica e sulla presenza di fonti di contaminazione ambientale in un dato territorio. L’ape, spostandosi da fiore a fiore, posandosi su rami e foglie, trasportando acqua e intercettando con il suo corpo peloso le particelle in sospensione, è in grado di fornire un dato medio estremamente interessante sugli inquinanti, sulle sostanze chimiche e sulla situazione paesaggistica di un determinato luogo e, conseguentemente, sull’efficacia delle misure e delle buone pratiche agricole attuate.

L’impiego dell’ape nel monitoraggio ambientale risale al 1935 quando Jaroslav Svoboda, dell’Istituto per le ricerche in apicoltura di Libéice, indicò le ripercussioni negative degli inquinanti industriali sulle api che bottinavano nei territori densamente popolati e industrializzati di Tfinec in Cecoslovacchia. Lo stesso Svoboda e colleghi osservarono un aumento dello stronzio 90 nelle api e nei loro prodotti all’inizio degli anni sessanta, probabilmente dovuto agli esperimenti nucleari nell’atmosfera in corso in quel periodo.

Alla fine degli anni settanta, Jerry Bromenschenk, dell’Università del Montana, impiegò le api per stabilire l‘impatto ambientale di una centrale a carbone da 350 megawatt, prima e dopo la sua installazione. Il fluoro, sottoprodotto della combustione del carbone, fu ritrovato nelle api a livelli molto più elevati dopo l’attivazione della centrale.

In Italia, B. Cavalchi e S. Fornaciari, della USL n. 9 di Reggio Emilia, hanno monitorato con successo nel 1983 la zona del comprensorio ceramico di Sassuolo-Scandiano, collocando alveari a varie distanze dalle sorgenti di emissione dei contaminanti (in particolare piombo e fluoro) ed impiegando come matrici api morte, api vive, polline, miele e propoli. Anche nelle città, dove le api riescono a sopravvivere bottinando nei giardini spartitraffico, sulle alberature dei viali e sui fiori dei terrazzi e dei balconi, si è fatto ricorso a questo prezioso insetto per il rilevamento di vari inquinanti urbani. 

Le api essendo connesse all’ambiente in cui vivono per l’intero ciclo vitale risultano estremamente sensibili ad ogni alterazione dell’habitat, a cui reagiscono con numerose risposte fisiologiche ed ecologiche che, nelle situazioni più complesse e critiche, possono determinarne la stessa morte ed accelerare il rischio di estinzione delle specie più sensibili con il successivo insediarsi e diffondersi delle specie più tolleranti ed adattabili. Nel dettaglio, le api attraverso fenomeni di bioaccumulo, scomparsa, mortalità e variazioni nel comportamento, sia come organismi singoli che come colonie, consentono di effettuare valutazioni sulla qualità dell’ambiente in cui le stesse vivono poiché hanno un elevato tasso riproduttivo, una grande mobilità e visitano un grandissimo numero di fiori ogni giorno (Fig. 1).

L’ape può essere definita come un sensore viaggiante poiché nei tragitti di andata e ritorno dall’alveare copre un’area avente un’estensione di circa 7 chilometri quadrati. Inoltre, se si considera che un alveare in buono stato è costituito da circa 10.000 individui bottinatori e che ogni insetto visita giornalmente circa un migliaio di fiori, allora si può dedurre che una colonia di api effettua circa 10 mil. di micro prelievi ogni giorno, e ciò escludendo il trasporto di acqua che nelle giornate calde può raggiungere anche il mezzo litro. Le api, quindi, sono degli organismi instancabili nella loro attività di raccolta di svariate sostanze quali nettare, polline, propoli, melata ed acqua.

Figura 1 – Le interazioni tra gli organismi impollinatori, l’ambiente e gli inquinanti

L’ape è un buon indicatore diretto dei prodotti chimici, specialmente insetticidi, e risponde alla loro immissione nell’ambiente con un’intensa ed estesa mortalità. Nel caso di principi attivi non particolarmente pericolosi, invece, l’ape svolge la funzione di indicatore indiretto, ovvero di organismo non sensibile ma esposto ed in grado di fornire informazioni sotto forma di residui. Infatti il polline raccolto dagli insetti, le analisi dei prodotti apistici e quelle effettuate sulle api morte consentono di avere indicazioni sullo stato ambientale e sulle sostanze tossiche con cui sono venute a contatto. In alcuni casi accurate analisi di laboratorio hanno riscontrato negli insetti e nei prodotti apistici le sostanze attive contenute in diversi prodotti fitosanitari nelle aree nelle quali gli insetti effettuavano i voli e bottinavano.

Per affinità di soluzione, il miele accumula antibiotici, metalli pesanti e idrocarburi, mentre nella cera si rinvengono diossine, furani, radionuclidi gamma emittenti ed altri contaminanti persistenti. Nel polline, invece, si riscontrano informazioni su microinquinanti organici, pesticidi e radionuclidi gamma emittenti. Nella tabella sottostante vengono illustrati brevemente i benefici e gli svantaggi derivanti dall’utilizzo degli organismi impollinatori come sentinelle ambientali:

Vantaggi Limiti
Veloce e continua rigenerazione nell’alveare L’utilizzo è influenzato dalle condizioni climatiche
Apparato boccale che permette di suggere anche il nettare dei fiori a corolla profonda Le api possono non tornare nell’alveare per mortalità naturale, per deriva, o per forte sensibilità agli insetticidi
Numerosi indicatori (bottinatrici) in ogni alveare Il censimento in tempo reale dell’intera famiglia per stadio e per età è obiettivamente difficile
Alta mobilità e un ampio raggio di volo che permette di controllare una vasta zona Esiste una tendenza non controllabile alla scelta autonoma alle fonti di cibo da parte delle famiglie
Facile da allevare e costi di gestione relativamente contenuti
Numerosi prelievi giornalieri
Ha il corpo relativamente coperto di peli che la rendono particolarmente adatta ad intercettare materiali e sostanze con cui entra in contatto.

Lo stato di salute degli organismi impollinatori

A partire dal 2008, la funzione svolta dagli insetti impollinatori è a rischio perché la moria delle api ha dimezzato la popolazione negli alveari italiani. Il loro declino è da imputare ai fattori connessi all’utilizzo dei prodotti fitosanitari, all’attuazione di pratiche agricole intensive, alla forte importazione di api regina e di sciami da Paesi terzi, alle patologie veterinarie che storicamente affliggono gli sciami, quali la peste europea, agli impatti causati dal cambiamento climatico, all’urbanizzazione, al consumo di suolo, ai cambiamenti di destinazione d’uso del suolo, all’impoverimento della biodiversità, alla perdita e alla frammentazione degli habitat, alla semplificazione del paesaggio, all’introduzione di monocolture e, per alcune specie, alla riforestazione naturale conseguente all’abbandono delle aree rurali. 

Inoltre, vari studi hanno ormai messo in luce un declino diffuso e generalizzato dell’ape domestica (Apis mellifera) causato dalla maggiore vulnerabilità nei confronti di patogeni, prevalentemente parassiti quali, ad esempio, Varroa destructor (acaro), Aethina tumida (coleottero esotico) e Vespa velutina (calabrone asiatico). A livello globale si stima che più del 40% delle specie di insetti sono a minaccia di estinzione ed, in particolare, gli ordini dei lepidotteri, imenotteri e coleotteri. In Europa nord-occidentale gli impollinatori selvatici sono in declino sia in termini di distribuzione che di diversità ed abbondanza. 

L’Italia è l’unico paese europeo che ha redatto la Lista Rossa per i due taxa (raggruppamenti) più importanti di animali impollinatori, ovvero gli apoidei e le farfalle diurne (lepidotteri ropaloceri). La fauna apistica italiana è una tra le più ricche del mondo in rapporto alla superficie del nostro Paese (fonte: WWF, 2020). In Italia sono presenti 151 specie di api native o autoctone, delle quali il 24% è considerato a rischio di estinzione. 

Dall’analisi delle segnalazioni pervenute da apicoltori e dai risultati dei progetti di ricerca (ad es. progetto SPIA-BEENET) si rileva che nel periodo 2015 – 2018 si è verificato un incremento dei casi di moria di api fino al 2017 ed una diminuzione nel corso del 2018, rispettivamente 31 nel 2015, 49 nel 2016, 50 nel 2017 e 32 casi nel 2018. Inoltre si osserva un maggior numero di morie nel periodo compreso tra aprile e giugno, coincidente con le fioriture primaverili delle specie vegetali durante le quali le api svolgono un’intensa attività di bottinamento che le rende maggiormente vulnerabili alle potature e agli inquinanti diffusi presenti nell’ambiente. 

Le condizioni ottimali o sfavorevoli per l’impollinazione

Per garantire l’impollinazione le api necessitano di tre elementi: luoghi adatti a nidificare, cibo (fiori) sufficiente e disponibilità d’acqua nei pressi dei siti di nidificazione. 

Per quanto concerne i fiori occorrono specie vegetali ricche di nettare e polline, autoctone e con fiori profumati di colore bianco, giallo, arancione, blu, porpora e violetto. Il colore dei fiori è importante poiché l’occhio delle api percepisce solo quattro colori (giallo – arancio, verde – giallastro e bluastro, blu e ultravioletto). Le api confondono il nero con il rosso ed, infatti, non visitano i fiori di tali colori, ad eccezione dei papaveri in quanto i loro petali non sono soltanto rossi ma presentano anche l’ultravioletto. A titolo di esempio, il colore rosso porpora viene percepito dalle api come blu, mentre il bianco come verde – bluastro. Ogni fiore, inoltre, ha una sua particolare superficie riflettente che lo diversifica dalle altre specie rendendo più agevole l’individuazione e l’impollinazione selettiva da parte delle api (Fig. 2).

Figura 2 – La visione delle api

Le specie vegetali idonee sono quelle aventi fioriture prolungate ed attive da marzo ad ottobre, ovvero essenze con fioriture primaverili precoci al fine di fornire polline per le nuove covate dopo il riposo invernale e/o fioriture autunnali tardive. Le condizioni ottimali per le specie impollinatrici sono rappresentate dalla realizzazione di un mix di diverse varietà di piante e dal loro posizionamento in zone soleggiate e protette dal vento. 

Le specie idonee sono, quindi, il tiglio (ottimale per gli impollinatori ed avente inoltre capacità media di rimozione degli inquinanti e basso potenziale di formazione dell’ozono, specialmente negli ambienti urbani dell’area mediterranea), l’acero campestre, il caprifoglio, il prugnolo, il salicone, il ciliegio (specie ottimale per gli impollinatori avente elevata capacità di sequestro di carbonio e un basso potenziale di emissione di composti organici volatili di origine biogenica e di formazione dell’ozono), il sanguinello, il glicine, il corniolo, la spirea, il ligustro, il lillà, la buddleja, il mirabolano, il laurotino, il tarassaco, le piante aromatiche (rosmarino, salvia, menta, timo, lavanda e origano) ed erbacee (crochi, aster e borragine).

Le piante aromatiche, oltre a svolgere un’azione repellente contro le zanzare, non forniscono solo un buon profumo ma sono caratterizzate da fioriture belle visivamente, prolungate nel tempo ed assai gradite agli impollinatori. Fra le piante erbacee si evidenzia che i crochi sostengono le api in occasione della ripresa primaverile, mentre le asteracee offrono vivaci fioriture quando le altre specie vegetali sono oramai sfiorite.

Le specie da non utilizzare, invece, sono quelle alloctone invasive – infestanti (quali l’Ailanto e la Robinia), tipi con polloni e radici invadenti, varietà allergeniche, piante velenose, generi con spine o che necessitano di cure con prodotti fitosanitari costanti e varietà a fiore doppio poiché i loro numerosi petali non permettono alle api di raggiungere il nutrimento. Le specie arboree prevalentemente adoperate per realizzare le siepi ornamentali (quali bosso, alloro, agazzino, lauroceraso e photinia), essendo sottoposte a potature che le rendono dei veri e propri muri verdi, non sono attrattive per gli organismi impollinatori.

Occorrerebbe inoltre evitare di effettuare trattamenti alle specie vegetali con prodotti fitosanitari (insetticidi, acaricidi, diserbanti o fungicidi) durante il periodo della fioritura: tali trattamenti non dovrebbero essere praticati non solo sulle piante più frequentate dalle api ma anche su tutte quelle che possono essere visitate dagli insetti impollinatori (quali soia, mais, vite, barbabietola da seme, ecc.). Se occorresse effettuare trattamenti durante la fioritura, anche se con prodotti ammessi come, ad esempio, gli anticrittogamici, bisognerebbe praticarli al tramonto quando le api non frequentano i fiori onde evitare effetti indesiderati sia sugli organismi impollinatori che sui prodotti da essi derivati. 

Occorrerebbe, altresì, avere l’accortezza di non effettuare trattamenti in prossimità della fioritura con sostanze tossiche o ad azione repellente per le api, in particolare insetticidi, se ad elevata persistenza o sistemici. In presenza di fioriture di piante spontanee adiacenti o sottostanti a colture da trattare, spesso più appetitose per le api rispetto a quelle coltivate, occorrerebbe prevederne l’eliminazione o lo sfalcio. Infine, riepilogando, i luoghi più idonei per gli organismi impollinatori sono quelli diversificati con un elevato effetto ornamentale, fioriture prolungate, limitate esigenze di manutenzione e gestione onde evitare l’utilizzo di prodotti fitosanitari e una maggiore necessità futura di potature e sfalci.